Black Mirror, terza stagione: successo o delusione?

Black Mirror, terza stagione: successo o delusione?

Chi ha paura del futuro? Le prime due stagioni di Black Mirror avevano messo il mondo in guardia da un uso nefasto della tecnologia, riscuotendo il consenso di pubblico e critica. Nel settembre dello scorso anno la casa di produzione statunitense Netflix ha annunciato l’acquisizione dei diritti della serie ideata dallo sceneggiatore britannico Charlie Brooker e la produzione di nuovi episodi. Da quel momento tra i fan è montata l’attesa per non è una serie televisiva che si potrebbe definire perfetta, ma a) le tematiche trattate, molto attuali e b) la costruzione psicologica e sociale dei personaggi. È vero, le trame di alcuni dei sei episodi firmati Netflix non sono sempre scorrevoli e alcuni finali lasciati un po’ in sospeso potrebbero non andare molto giù allo spettatore. Ma il messaggio che Charlie Brooker vuole dare è molto chiaro ed è (quasi) l’unica cosa che conta in una serie come Black Mirror. Come nelle prime due stagioni infatti la forma e la struttura degli episodi non sono la centralità della serie, il cui scopo è evidentemente quello di far riflettere lo spettatore su alcune abitudini sociali che stanno prendendo sempre più piede condizionando le nostre vite. Abitudini sociali legate nello specifico alla tecnologia che dovrebbero rappresentare una qualche forma di progresso ma che in realtà, dato il libero utilizzo che l’uomo fa delle sue scoperte tecnologiche, finisce per diventare una sorta di trappola (ehi, non vi ricorda la gabbia d’acciaio di Webber?). ) sono tutte tematiche che, con l’avvento dei social network e più in generale con la realtà virtuale, stanno assumendo un significato nuovo, dove il pericolo sta nell’incapacità dell’uomo di distinguere fra buono e cattivo uso degli strumenti tecnologici in suo possesso. A mettere più ansia è forse proprio la deriva della realtà aumentata, come avviene nell’episodio horror , tematica già trattata anche nelle prime due stagioni e nello speciale di Natale : una deriva nella quale il rischio è una frattura fra ciò che è reale e ciò che viene invece percepito, con sullo sfondo l’affascinante (quanto pericolosa) prospettiva della clonazione della mente che altro non sarebbe se non un’alienazione da sé stessi. E qui veniamo alla loro meticolosa costruzione. Black Mirror non è infatti una serie che parla della deriva della tecnologia: è una serie che parla del suo È una serie che mostra un uso sregolato della tecnologia quando dettato dalla rabbia, dalla paura, dal cinismo, dalla sete di potere, dall’odio. Tutti episodi che raccontano della paura della morte, dell’odio verso l’altro, dell’egoismo calcolatore e di una vendetta che definisce una personale interpretazione della giustizia. In Black Mirror ogni personaggio ha una precisa storia nella quale potremmo tranquillamente identificarci, presi come siamo dal pubblicare foto e video sui social alla ricerca di like mentre rendiamo pubblico ogni istante della nostra vita in diretta su Instagram. Sempre più affidiamo alla tecnologia ogni aspetto della nostra quotidianità fino a quando, più che ad essere noi a non poterne più fare a meno, sarà essa a non aver più bisogno di noi Nella terza stagione di Black Mirror, la prima targata Netflix, alla fine di ogni episodio ero molto invogliato a guardare il successivo. Il problema è che questa curiosità derivava dalla speranza di trovarne uno all’altezza di quelli straordinari delle prime due stagioni e dell’ottimo supplemento natalizio menzionato in precedenza. Sfortunatamente Charlie Brooker mi ha fatto aspettare fino al sesto e ultimo mini-film (ed è proprio il caso di dirlo vista la durata di quasi un’ora e mezza), , per ritrovare l’originalità, la tensione e il cinismo che mi avevano fatto innamorare della serie. A mia memoria infatti la dilagante e terribile pratica dell’offesa online non era ancora stata trattata in maniera così efficace e dirompente. Inoltre la trama scorre ad un ritmo incalzante e si conclude (anche se non definitivamente) in un climax in cui le disastrose conseguenze dell’uso scorretto della tecnologia vengono mostrate senza remore. Insomma, tutto in rigoroso ed entusiasmante stile Black Mirror. Al contrario i primi cinque episodi mi hanno lasciato leggermente con l’amaro in bocca. nel filone della fantascienza e della critica alla società nell’era digitale. Si va dalla realtà virtuale e conseguente sviluppo di pericolosi mondi paralleli all’utilizzo da parte delle autorità governative di strumenti di manipolazione di massa; dall’invasione della sfera privata a scopo di estorsione all’esagerata importanza attribuita dai social network all’apparenza e alla reputazione. con i suoi riferimenti fin troppo scontati all’interno del mondo dei videogiochi e la sua costruzione narrativa scopiazzata da un qualunque film di Christopher Nolan. Anche non brillano per colpa di ambientazioni e andamenti alquanto prevedibili. Si salva forse l’essenziale e minimalista S Nelle prime due stagioni tutti gli episodi finivano male, per non dire malissimo, suscitando un senso enorme di inquietudine e angoscia. In questa terza stagione, invece, merita però un altro capitolo a parte. Invece di svolgersi nel futuro si svolge prevalentemente nel passato. I colori invece di esseri freddi e tetri, sono caldi e vivaci. Non si respira la solita drammaticità perché fondamentalmente si tratta di una storia d’amore che, per l’appunto, finisce bene. Dunque esso si configura come l’episodio di gran lunga più lontano dai canoni delle prime due stagioni. Ma non per questo è quello secondo me meno riuscito. Anzi, fatta eccezione per il suddetto finale bomba, è quello che mi ha convinto maggiormente per la sua creatività. Quindi la mia non intende essere una critica all’annacquamento del carattere disturbante di Black Mirror, in cui molti hanno visto una “americanizzazione” della serie dovuta al passaggio a Netflix. Non è che mi aspettassi necessariamente di vedere episodi molto simili ai precedenti. Anzi una certa evoluzione del format era in un certo senso auspicabile. 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