È il 19 marzo 2023, una domenica soleggiata di inizio primavera, e nel campo profughi del distretto di Sikhiv, a Leopoli, nell’Ucraina occidentale, alcuni anziani chiacchierano seduti sulle panchine mentre dei bambini sfrecciano su dei piccoli monopattini a tre ruote. Una signora lavora all’uncinetto per realizzare delle calze da spedire ai militari ucraini al fronte. «Servono per fargli sentire il nostro supporto e la nostra vicinanza», racconta, mentre le mani continuano a intrecciare i fili. «Per san valentino abbiamo cucinato dei biscotti a forma di cuore da mandare ai militari di Zaporižžja. Sapere che c’è qualcuno che li aspetta e che li pensa, li aiuta psicologicamente». In sottofondo, i canti religiosi dell’imponente chiesa greco-cattolica alle spalle del campo, accompagnano i discorsi.

Trovandosi a poche ore di macchina dal confine polacco, Leopoli è diventata fin dall’inizio dell’invasione russa un luogo di transito per molte persone in fuga dalla guerra. Ma non solo. La città è diventata anche la casa di rifugio per centinaia di migliaia di sfollati interni. Secondo l’amministrazione di Leopoli, 600mila persone hanno soggiornato nella regione al culmine dello sfollamento, tra febbraio e aprile 2022, mentre attualmente se ne contano circa 250mila. «Le persone che arrivano e vogliono restare a Leopoli, le indirizziamo ad Arena Lviv, lo stadio da calcio della città, dove vengono registrate per ottenere un documento che attesti lo status di rifugiato interno. Questo documento permette loro di ottenere dei sussidi e una locazione in cui vivere temporaneamente», spiega Olha Shved, psicologa e coordinatrice dei volontari di Medical Psychology Lviv, progetto che offre sostegno fisico, psicologico e informativo alle persone sfollate.
Per far fronte a tutti questi arrivi, a Leopoli sono nati diversi campi profughi. Quello del distretto di Sikhiv, costruito grazie ai finanziamenti del governo polacco, è uno tra i più grandi. Le attuali residenze modulari, ovvero composte da prefabbricati – nel gergo “container” – installate nell’inverno del 2023 possono ospitare fino a 1400 sfollati. Prima di queste, le persone alloggiavano in tre precedenti campi modulari, attualmente disabitati perché si sono rivelati inadatti ad affrontare l’inverno ucraino: le pareti non erano isolate, luce e acqua spesso mancavano, e i bagni si trovavano al di fuori delle abitazioni.
«Adesso la situazione va meglio: luce e acqua non mancano mai, abbiamo un pasto al giorno e ascoltano i nostri bisogni», racconta una soggiornante del primo stabile all’ingresso dell’edificio.

Per poter accedere alle residenze modulari bisogna innanzitutto segnarsi in una lista d’attesa e la priorità viene data a donne con bambini e persone over 60. «Nei campi arrivano per lo più le famiglie povere. Chi se lo può permettere, ha affittato una casa in città». A parlare è Yuri Lifansè, responsabile della comunità di Sant’Egidio a Leopoli, centro che esiste dal 2000. Prima adibito agli uffici della comunità, con l’intensificarsi del conflitto si è trasformato in un centro di distribuzione diretta dei pacchi alimentari. «Questi cosiddetti container sono abbastanza scomodi, erano pensati prima di tutto per liberare le scuole e spostare lì le famiglie», continua Lifansè. Con l’arrivo massiccio delle persone in fuga dalla guerra, tra fine febbraio e aprile del 2022, le scuole si erano trasformate in centri di accoglienza per gli sfollati. Ma con il ritorno della didattica in presenza a Leopoli, a settembre del 2022, è stato necessario liberare le strutture scolastiche spostando i profughi in apposite residenze. «La città di Leopoli sta facendo di tutto per aiutare i profughi a trovare lavoro e a dar loro un posto letto, ma la gente è in difficoltà. Un conto è vivere lì per un paio di settimane, un altro invece è viverci per più di tredici mesi», precisa Lifansè.
«Molte persone stanno tornando nelle loro case, anche se si trovano in posti dove è ancora attivo il combattimento», commenta Olha Shved. I volontari inizialmente non riuscivano a comprendere questa situazione. «Ci dicono che preferiscono tornare lì piuttosto che sentirsi persi e disorientati in un’altra città o in un altro Paese». Per le persone anziane, invece, la situazione sembra essere esattamente il contrario: «Stanno arrivando molte persone da zone come Donetsk e Cherson, luoghi che prima erano talmente messi male che era difficile persino scappare», continua Shved. «Molti di questi rifugiati sono persone anziane, spesso senza famiglia e senza più una casa. In questo momento non sappiamo molto bene come gestirli, stiamo aspettando degli aiuti da parte del governo».
Oltre alle residenze modulari e inizialmente alle scuole, i profughi hanno trovato riparo nelle abitazioni messe a disposizione da privati, in dipartimenti universitari e nelle sedi di organizzazioni umanitarie e di comunità religiose. Questi alloggi temporanei, a più di un anno di distanza dallo scoppio del conflitto, si sono trasformati in abitazioni permanenti.
Dormitori comuni
L’Università del Politecnico di Leopoli ha messo a disposizione gli edifici 21 e 22, situati dentro al parco di Stryiskyi, sono diventati un dormitorio comune per circa 130 persone. Frigoriferi, microonde e scatoloni affollano l’atrio dell’edificio 21, che prima dell’intensificarsi del conflitto era la portineria del dipartimento di educazione fisica. Qui, un artista canta mentre pizzica le corde della sua bandura, uno strumento tradizionale ucraino simile al liuto. Avanzando dritti – dentro la palestra – le sagome delle persone sdraiate con il pigiama addosso si confondono tra le coperte variopinte.

«Inizialmente venivano accolti tutti, poi ci sono stati dei problemi con degli uomini che si ubriacavano e fumavano dentro le palestre. Per evitare situazioni del genere, adesso nel dormitorio vengono accolti solo uomini con moglie e bambini». Dice Eugene, un ragazzo di 19 anni, biondo e dallo sguardo sveglio, che ha vissuto sei mesi nell’edificio 21 del Politecnico. La gestione del dormitorio è affidata all’università con il supporto di volontari e di organizzazioni umanitarie, tra cui anche l’associazione italiana Mediterranea Saving Humans. «Ci sono molti anziani e qualche persona con disabilità», spiega il ragazzo. «I volontari li assistono quotidianamente accompagnandoli al bagno e portandoli dal medico quando ne hanno bisogno. Nei casi più gravi, invece, è la guardia medica a spostarsi».
Eugene viene da Donetsk, nel Donbass, studia Management dell’Hotellerie presso l’Università di Charkiv, che dall’invasione su larga scala russa, ha trasferito la didattica esclusivamente online. «I bombardamenti del 24 febbraio li ho visti e sentiti in prima persona, non riuscivo a prendere sonno». Eugene non vede la sua famiglia da sei mesi. «Io e i miei genitori eravamo già d’accordo che arrivati a Leopoli ci saremmo separati. Ho un fratellino di dodici anni e questa era la scelta migliore». Loro, infatti, sono stati accolti in Germania. Seppur esonerato dalla leva militare in quanto iscritto all’università, per Eugene, invece, non è stato possibile uscire dall’Ucraina: la legge marziale vieta agli uomini dai 18 ai 60 anni di lasciare il Paese. «Chiaramente mi manca la mia famiglia e cerco in qualsiasi modo di evitare i conflitti con i miei genitori per non appesantire la situazione». Con la sua ragazza, che si trova in Germania e non vede da un anno, si sente tutti i giorni, dalla mattina alla sera, fanno videochiamate e guardano film insieme. «Per me è molto difficile dover stare lontano da lei: abbiamo parlato di ricongiungerci, ma è molto in ansia per i bombardamenti».

Problemi di adattamento
Nonostante abbia imparato la lingua e si senta ucraino, Eugene viene dalle regioni dell’Ucraina orientale dove si è sempre parlato russo. In questo momento storico, essere russofoni in Ucraina può diventare motivo di discriminazione. «Una signora, quando ha sentito che parlavo russo, ha cominciato ad attaccarmi su questioni politiche e ci sono rimasto molto male. Alcuni invece fanno finta di non capire o ti ignorano quando sentono la pronuncia di alcune parole», racconta Eugene.
Per gli sfollati russofoni, la città di Leopoli ha attivato dei corsi in lingua gratuiti. Ma, oltre alle questioni linguistiche, le difficoltà di adattamento riguardano anche il piano scolastico. «Un profugo vive con l’idea di partire il giorno successivo, per questo molti di loro non vogliono costruire la vita nel posto in cui si trovano», spiega Yuri Lifansè. Nonostante la ripartenza della didattica in presenza molte delle persone sfollate hanno preferito non iscrivere i figli nelle scuole della città. «Ci siamo ritrovati in guerra subito dopo la pandemia, e tanti bambini continuano a studiare online», racconta il responsabile. «Poiché le scuole delle città occupate funzionano ancora, i bambini possono studiare a distanza nelle scuole di Mariupol o di Sjevjerodonec’k. Questo però crea dei problemi: i bambini non stanno in mezzo agli amici e ciò non li aiuta a integrarsi nella città».

Danni psicologici
I traumi del conflitto si riflettono sullo stato psicologico degli sfollati: attacchi di panico, disturbi da stress post-traumatico, sindrome del sopravvissuto. I volontari di Medical Psychology Lviv si trovano a gestire queste situazioni quotidianamente. «Capitano spesso ed è importante riuscire a tranquillizzare le persone che arrivano. Gli attacchi di panico sono i più frequenti, e la cosa sorprendente è quanto questi siano da manuale», spiega Shved. Tra febbraio e aprile nel 2022 la stazione della città era molto affollata, i volontari arrivavano a gestire anche quaranta casi di attacchi di panico al giorno, mentre adesso, su un turno di dodici ore, ne gestiscono mediamente una decina.
Gli eventi traumatici dei profughi che hanno vissuto da vicino la guerra si ripercuotono anche nell’abuso di sostanze. «Le persone fragili che in precedenza avevano delle dipendenze, in questa situazione di stress sono peggiorate nell’utilizzo delle sostanze», continua. «Ci sono anche le persone a cui sono esplosi vicino degli ordigni. Le riconosciamo subito, si tappano le orecchie perché i rumori esterni – soprattutto quando c’è molta gente – causano loro dei dolori fortissimi e per alleviarli spesso si rifanno sull’alcool; anche per questo motivo si creano delle dipendenze», conclude la psicologa.
Nicola Vasini
Fonte foto di copertina: Nicola Vasini
Interpreti: Pavlo Samulyak e Arina Skomorokhova