MARINA DI RAVENNA – Un’estate come tante nella Riviera romagnola. Spiagge, buon cibo, divertimento per i molti in vacanza, diverse persone al lavoro.
Giulio, alla sua prima stagione, brevetto di salvataggio in mano, vuole guadagnare e trova lavoro presso la piscina interna di un bagno di Marina di Ravenna. Si trova a essere pagato la metà di quanto pattuito, in nero.
Marco lavora come cameriere per un bagno, ma le ore di straordinario non gli vengono retribuite, si dimette.
Ernesto, studente universitario, un contratto part-time mentre prepara gli esami della sessione di settembre. Viene assunto come bagnino di salvataggio, ma nel contratto risulta “bagnino” per la pulizia del bordo vasca e il posizionamento dei lettini. Viene inoltre pagato meno della metà di quanto stabilito dal contratto.
Le storie di Giulio, Ernesto e Marco (nomi di fantasia per tutelarne l’identità) hanno un fattore che le accomuna: lo sfruttamento dei lavoratori stagionali del settore turistico balneare. Ce ne siamo occupati in questo lavoro che riguarda la Costa Ravennate.

Prima stagione, nessun contratto
Giulio è un diciottenne alla sua prima stagione estiva. Si reca dal suo datore di lavoro, presso un noto bagno di Marina di Ravenna per fissare le condizioni del suo contratto. Le condizioni di lavoro sono dettate oralmente dal proprietario dello stabilimento. Il contratto scritto e regolare non arriva mai. «Te lo farò avere» ripete il proprietario per tutta la stagione. Giulio lavora come bagnino di salvataggio nella piscina interna del bagno per tre mesi. L’ultimo giorno di lavoro si reca dal proprietario, rassegnato ormai riguardo al contratto scritto, chiedendo almeno di ottenere il compenso pattuito di 7,50 euro all’ora. A questo punto, il proprietario rivela l’inganno: «Non era nient’altro che un accordo verbale», afferma serenamente, mangiandosi la parola data. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che Giulio era preposto alla sicurezza dei bagnanti, in quanto in possesso di un brevetto di salvamento con tutte le responsabilità annesse. «Alla fine sono stato pagato, ma interamente in nero e con una retribuzione oraria di 5,50 euro», racconta il lavoratore a The Bottom Up. Giulio, che viene pagato circa la metà di quello che spetta per legge ad un bagnino di salvataggio, vale a dire tra i 7,50 e i 9 euro l’ora, aggiunge: «Chi viene assunto per la prima volta viene fregato più facilmente, è ovvio. Uno stagionale al primo anno non conosce il mondo del lavoro, non sa come funziona non avendo fatto altre esperienze». Il lavoratore stagionale, oramai rassegnato riguardo all’esistenza del contratto regolare, vede quindi sfumare anche la sua legittima pretesa di ottenere una retribuzione adeguata e d’altra parte promessa a lui verbalmente dal datore di lavoro.
Il contratto? «Te lo farò avere»
«Capita spesso che genitori o amici ti incoraggino ad accettare proposte simili, con la solita scusa, dicendo che si tratta solo di una stagione di tre mesi in fondo, che bisogna darsi da fare e faticare come hanno fatto loro. I datori di lavoro sanno questo, e sanno benissimo che uno stagionale di questo tipo difficilmente li denuncerà all’Ispettorato del lavoro in caso di irregolarità», aggiunge. Oggi Giulio è un bagnino di salvataggio con diverse esperienze alle spalle, ma la sua carriera ha avuto questo infelice inizio. La sua storia non è un caso isolato.

Ernesto è uno studente che ha ottenuto il brevetto di bagnino di salvataggio, lavora come assistente bagnanti stagionale a Marina di Ravenna in piscine di campeggi vicini al mare. All’apertura di una delle sue prime stagioni di lavoro decide di accettare un contratto part-time per conciliare il lavoro con i suoi studi universitari. Quando Ernesto si presenta al primo colloquio conoscitivo, gli si presenta una persona che dice essere il suo responsabile, e che vedrà di fatto solo in quell’occasione. Si tratta di un referente dell’agenzia esterna che assume i bagnini di salvataggio per questi campeggi. Il referente, cordiale e socievole, si presenta al primo colloquio già provvisto di contratto. «Mi sembrava già che qualcosa non andasse, ma purtroppo ho lasciato correre. Non mi è mai capitato che al primo colloquio mi si proponesse già di firmare un contratto. Mi ricordo che il referente dell’agenzia ripeteva la parola 800 euro e cerchiava insistentemente quella voce sul contratto, con la penna, come se volesse dare particolare importanza alla cosa», racconta a The Bottom Up. Ernesto pensa di essere stato assunto come part-time di 3 giorni a settimana per 8 ore al giorno come bagnino di salvataggio, «Notavo che la dicitura non era bagnino di salvataggio ma solo “bagnino”, appunto. Si trattava di uno dei miei primi contratti, non ci ho dato peso». Le conseguenze arrivano alla fine del primo mese, quando riceve solo 300 euro in busta paga. «Ho scoperto che ero stato assunto come bagnino per la pulizia e il posizionamento dei lettini e venivo retribuito 4 euro l’ora». Il lavoratore, dopo avere minacciato la denuncia al suo ex datore di lavoro e dopo una serie di litigi telefonici, riesce ad ottenere un supplemento di 150 euro che comunque non andava a coprire interamente la cifra pattuita. La storia di Ernesto punta la luce nuovamente su una pratica analoga a quella subita da Giulio, quello dell’assunzione irregolare di bagnini di salvataggio.
Ho scoperto che ero stato assunto come bagnino per la pulizia e il posizionamento dei lettini e venivo retribuito 4 euro l’ora
A differenza di quanto accaduto a Giulio, il contratto c’è, ma il lavoratore viene fatto figurare come generico “bagnino”, fattispecie che non comporta l’incarico di salvataggio che invece è affidato a Giulio, che comporta responsabilità penali nel caso una persona annegasse. Prendendo il contratto alla lettera, avrebbe potuto rispondere a quell’offerta di lavoro anche una persona incapace di nuotare o semplicemente sprovvista di brevetto. Le storie di Giulio e Ernesto ci raccontano due pratiche distinte, entrambe che riguardano l’assunzione illegale di bagnini di salvataggio. Ciò che accomuna queste due storie è l’inesperienza dei bagnini neo-assunti e la loro buona fede nell’accettare l’incarico irregolare, dove i datori di lavoro hanno approfittato dell’inesperienza del lavoratore per negare il compenso pattuito e assegnare responsabilità non retribuite.

Ore di straordinario obbligatorie e non retribuite
Marco, ventidue anni, lavora come cameriere presso un noto bagno di Marina di Ravenna. Nella ristorazione presente all’interno dei bagni, dove i turni per la pulizia dei piatti e l’allestimento e sparecchiamento dei tavoli hanno sempre un inizio e una fine variabili, a seconda della quantità di clienti presente nel locale.Lavora una grande quantità di straordinari. Si rende conto in fretta, tuttavia, che gli straordinari che svolge sono implicitamente obbligatori, in quanto non c’è nessuna richiesta da parte del datore di lavoro ma è semplicemente tenuto a farli, e come se non bastasse non vengono retribuiti.
Le condizioni di lavoro sono quelle tipiche di un contratto a chiamata, o intermittente, e apparentemente regolari. Apparentemente perché, appunto, non c’è nessuna infrazione da parte dell’imprenditore fin quando non viene oltrepassato il limite legale con la mancata retribuzione delle ore di straordinario, che vengono però reiteratamente pretese dallo stesso.
«Ogni fine settimana facevo una media di due ore di straordinario sia il sabato che la domenica e non mi venivano retribuite. Ho deciso di licenziarmi da quel posto di lavoro» racconta Marco a The Bottom Up. «Dopo quella esperienza sono stato assunto in un’altra azienda dove avevo un contratto regolare e gli straordinari erano regolarmente pagati e tassati. In ogni caso è stata la prima volta che mi è capitata una cosa simile, prima ne avevo solo sentito parlare ma provarlo sulla propria pelle non è stato piacevole dice Marco, amareggiato dal ricordo.
facevo una media di due ore di straordinario sia il sabato che la domenica e non mi venivano retribuite.
La mancata retribuzione delle ore di straordinario è un fenomeno molto diffuso tra i lavoratori del settore turistico-stagionale a Ravenna. I lavoratori, nella paura di non essere più chiamati, in quanto spesso si tratta di contratti intermittenti, o per non avere ripercussioni da parte del datore di lavoro, tendono ad assecondare la richiesta e a svolgere gli straordinari senza porre troppe domande né al loro capo, né a se stessi. In genere questo avviene anche grazie ad una scarsa conoscenza dei mezzi legali a propria disposizione da parte di stagionali alle prime esperienze. Inoltre, come avveniva per Giulio con riferimento agli accordi verbali, anche per quanto riguarda le ore di straordinario non retribuite la pratica è normalizzata nella comunità ravennate: “Lo abbiamo fatto tutti”.

Sindacati e imprenditori: posizioni e confronti europei

Cinzia Folli, responsabile della segreteria generale FILCAMS (servizi, turismo, ristorazione) della CGIL a Ravenna, si trova ad affrontare ogni giorno diversi problemi che interessano i lavoratori del turismo nella zona della costa Ravenate: «Purtroppo l’assunzione in nero è una pratica molto diffusa nel turismo in generale» conferma Folli «riscontriamo molti contratti part-time dove il lavoro in realtà impegna tutta la giornata. In questi casi il datore di lavoro tiene un comportamento elusivo». In pratica, i lavoratori che di fatto hanno un impegno a tempo determinato e con turni fissi, vengono assunti tramite contratti a chiamata, e una parte consistente dello spettante stipendio viene dato in nero. In questo modo l’imprenditore riesce a ritagliare un maggiore guadagno per se stesso risparmiando sul costo del lavoro. Come agisce CGIL FILCAMS contro queste situazioni? «Noi agiamo con denunce all’ispettorato del lavoro se sussistano le condizioni per depositarle, e in molti casi ci interfacciamo con gli istituti di recupero del credito» afferma la sindacalista. Purtroppo, in caso di riconoscimento dei diritti pretesi per denuncia, la situazione che attende i lavoratori non sembra proprio una vittoria. Folli racconta di «cifre forfettarie» e «regolarmente inferiori rispetto a quelle che spetterebbero al lavoratore». Anche a causa della costante insoddisfazione degli operatori stagionali del turismo, soprattutto nel settore balneare, Folli riferisce che il sindacato sta registrando un notevole incremento delle dimissioni.

Negli stabilimenti balneari non c’è solo il problema del lavoro in nero. Da anni le concessioni pubbliche su cui insistono queste attività sono oggetto di una situazione di incertezza normativa, a causa della mancata applicazione della direttiva europea Bolkestein, che prevede la liberalizzazione delle concessioni. A questo proposito abbiamo interpellato Alex Giuzio, capo redattore di Mondo balneare, rivista online specializzata in balneazione e piattaforma commerciale degli imprenditori della balneazione. Giuzio sostiene che la responsabilità non sarebbe degli imprenditori, ma «imputabile alla politica italiana, che con frequenti cambi di governo e promesse mantenute a metà, come spesso accade, non si è mai assunta la responsabilità di regolamentare la situazione, di risolverla, di rendersi conto che si trattava appunto di una anomalia». Tuttavia, è impossibile non pensare agli ingenti profitti che entrano nelle tasche dei concessionari, dati i bassi canoni che sono tenuti a pagare e la tendenza a tagliare irregolarmente sul costo del lavoro. «In Italia, a differenza di altri Paesi membri, anche se i canoni sono molto più bassi, una serie di servizi sono onerati dagli imprenditori privati che hanno in gestione i lidi, come ad esempio la pulizia e l’allestimento delle spiagge o il servizio di salvataggio», risponde Giuzio «si è fatta una scelta diversa di oneri e costi per l’imprenditore demandati dallo Stato rispetto ad esempio alla Francia o alla Spagna, dove i servizi prima citati sono forniti dallo Stato direttamente. Il servizio di salvataggio, di cui conosciamo l’importanza, ha costi abbastanza elevati ad esempio». Un confronto tra le concessioni marittime in Croazia, Francia, Grecia, Portogallo e Spagna è disponibile sul sito della Camera.
Dove sono i controlli dello Stato?
I proprietari dei bagni sono tecnicamente dei “concessionari” per la gestione degli stabilimenti balneari. In pratica, lo Stato assegna la gestione di un’attività di sua competenza a un privato, il concessionario. Ci sono diversi esempi oltre alle concessioni balneari: quelle per le autostrade, per i fornitori di energia, per la gestione dei rifiuti. Per le spiagge, è l’Agenzia del Demanio a rappresentare lo Stato ed emanare l’atto di concessione. Come suggerito dalla conversazione con Giuzio, per i lidi sarebbe possibile una gestione pubblica? «La possibilità di gestione diretta esiste, ma non è mai stata messa in pratica» spiega Giorgio Pagliari, professore ordinario di diritto amministrativo presso l’università di Parma, ed ex-senatore del PD.
In generale, cosa succede se un concessionario viola la legge dello Stato? «Se il concessionario viola legge dello Stato viola automaticamente anche la concessione, dove è prevista la possibilità di revoca, quindi lo Stato può procedere alla ad attuarla», spiega Pagliari. La parola “può”, allude al fatto che, precisa «la conseguenza della violazione della legge statale dipende da una scelta dello Stato, e non è automatica e univoca». Un’altra cosa che l’Agenzia del Demanio può fare, infatti, è decidere di non punire una violazione se si tratti di un caso univoco ed isolato. Le basi di questa scelta sono la gravità della violazione e il contenuto degli obblighi derivanti dalla concessione eventualmente violati. È evidente quanto la legge conceda un largo margine di interpretazione.
Le testimonianze raccolte hanno messo in evidenza diverse pratiche illegali. Cosa potrebbe fare lo Stato? «L’assunzione irregolare di personale da parte di un concessionario è considerata nella prassi una violazione grave. Dipendenti, sindacati e anche comuni cittadini possono segnalare all’Agenzia del Demanio questo tipo di violazioni. L’Agenzia, inoltre, può implementare dei controlli propri o incaricare l’Ispettorato del lavoro per monitorare la regolarità dell’assunzione, che verbalizza all’Agenzia». A questo punto, se l’Agenzia del Demanio dopo i necessari rilievi rende definitiva la revoca sanzionatoria della concessione, il lido del mare torna di proprietà effettiva dello Stato, che prepara un nuovo bando per assegnare la gestione ad un privato.

Esiste quindi una cassetta degli attrezzi pronta all’uso, ma non è mai stata aperta. Perché? Una grossa parte del problema è il come vengono ottenute le concessioni: «Sono state rarissime le concessioni date con gare pubbliche» spiega Pagliari «Queste invece sono state rinnovate e prorogate a favore delle stesse persone per anni. Il lido del mare così finisce per essere considerato una proprietà privata e i controlli vengono meno». Il problema è noto: lo Stato italiano non applica, e continua a posticipare, l’applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein, una normativa europea che obbliga le concessioni a gara pubblica, e che le concessioni abbiano un limite temporale. Cosa che oggi non succede: i privati beneficiano di concessioni che costano poco e che durano per decenni (i dati mancano).
«E’ evidente che esista e sia esistita una lobby di pressione che abbia agito nei confronti della politica» commenta Pagliari «Questo sistema non è stato scalfito né dai governi di centro-destra né da quelli di centro-sinistra, esisteva già ad ogni cambio in cabina di regia». Il governo Draghi ha iniziato una riforma per attuare la direttiva Bolkestein, contro la quale si schiera che si scontra con la forte lobby dei concessionari, portatrice di interessi economici importanti legati agli investimenti fatti dai privati nei lidi in gestione, in grado di pesare sul potere pubblico. «Il futuro sarà determinato da scelte politiche nei confronti delle quali è difficile essere ottimisti, data l’esperienza del passato. Se non ci fosse stata la Bolkestein il problema in Italia non sarebbe mai stato neanche sollevato», conclude Pagliari. Il governo Meloni sta cercando di rinviare il più possibile l’attuazione della Bolkestein, andando a prolungare le rendite dei concessionari che, grazie anche a metodi associativi come ad esempio la cooperativa, sono vere potenze imprenditoriali.
Mattia Catalano
Fonte foto di copertina: Emma Graziani/The Bottom Up