I cambiamenti climatici mettono a rischio le coltivazioni indigene e le culture tradizionali nell’Amazzonia brasiliana

Inondazioni, stagioni imprevedibili, e aumento delle temperature colpiscono direttamente sulla sicurezza alimentare del popolo indigeno.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese su Apublica.
Gli autori e le autrici sono Ana Amélia Hamdan, Paulo Desana, Daniela Villegas.

Traduzione di Kelly Ye King.


È domenica mattina, e a São Gabriel da Cachoeira, nello Stato dell’Amazonas nel nord-ovest del Brasile, la gente del popolo indigeno dei Tuyuka è pronta ad accogliere i visitatori al mercato settimanale. Tuttavia, tutto è stato preparato ben prima, con le coltivazioni di una zona agricola nella foresta vicino alla città, dove vengono coltivate manioca, açai, cará, banane, ananas, e tanto altro.

Mentre arrivano i visitatori, alcune donne tuyuka, da cui deriva il nome del mercato, lavorano l’impasto di tapioca, che andrà nel forno per essere trasformato in beiju (una sorta di torta salata tipica, n.d.r.).

Vengono serviti anche piatti tradizionali come il quihapira – brodo di pesce con peperoncino e tucupi, ovvero (succo estratto dalle radici della manioca, – e a volte anche le formiche, un ingrediente comune nella cucina locale, per non parlare poi del caxiri, la bevanda fermentata che anima le danze tradizionali. Tutta questa varietà deriva dal Sistema Agricolo Tradizionale del Rio Negro, il quale raccoglie tutte le conoscenze sull’agricoltura nelle roças (zone coltivate), negli orti e nei boschi, e si basa sull’equilibrio dei cicli della natura e sulla conservazione di una cultura che include scambi, rituali e benedizioni.

Ma questo sistema è sotto una pressione continua dovuta all’estrazione mineraria illegale, dal sistema economico poco sostenibile, dalla proposta di legge PL 191 che darebbe un via libera alle attività estrattive nei territori indigeni, e inoltre alla crisi climatica.

«L’anno scorso abbiamo perso due zone coltivate proprio perché l’estate non è arrivata nel momento che ci aspettavamo. Abbiamo potuto piantare i plátani, ma non abbiamo potuto piantare le manioche», afferma la coltivatrice tuyuka Florinda Lima Orjuela, una delle persone coinvolte nel mercato, mentre spiega alcune tappe di questo sistema: «Quando avviene un cambiamento nel ciclo, viene compromesso l’intero processo della coltivazione, del debbio (in agricoltura, la tecnica di taglia-e-brucia per fertilizzare il terreno, n.d.r.)».

Storie come quella di Florinda stanno diventando sempre più frequenti nel territorio, dove vivono 23 popoli indigeni, distribuiti in circa 750 comunità. Situato sulla riva del Rio Negro, il comune di São Gabriel e i suoi residenti hanno particolarmente sofferto a causa delle inondazioni da record che hanno colpito lo Stato dell’Amazonas negli ultimi anni.

Oltre alle inondazioni, gli effetti principali segnalati dai popoli indigeni sono stagioni imprevedibili, aumento della temperatura e cambiamenti nel ciclo ambientale, che impatta direttamente sulla produzione alimentare dei locali. Tanti di loro hanno cominciato a modificare la posizione delle loro coltivazioni e a gestire più di un terreno, e hanno anche dovuto cambiare il proprio orario lavorativo a causa della luce solare diventata più forte. Ma la domanda è: per quanto questi adattamenti basteranno?

Ciò che le popolazioni indigene osservano nella loro vita quotidiana è in linea con  il recente rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change – Ipcc) dell’Onu, che, per la prima volta, ha segnalato il rischio di perdite irreversibili nello stile di vita tradizionale dei popoli indigeni in Amazzonia.

Patrícia Pinho, ricercatrice e biologa dell’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (Institute for Environmental Research in the Amazon – Ipam), una delle autrici del rapporto, ha spiegato che i popoli indigeni sono più vulnerabili al cambiamento climatico.

«In Amazzonia, la biodiversità è strettamente legata al territorio, alla cultura e allo stile di vita. Quando si verifica un’erosione o un impatto sul territorio, c’è anche la perdita di conoscenze tradizionali. Non sappiamo più quando avverrà il ciclo, quali piante si devono coltivare, quando ci sarà la fioritura».

Una donna indigena lavora con la pasta di manioca. Paulo Desana/Agência Pública

Madri dei campi

Nel 2010, il Sistema agricolo tradizionale del Rio Negro è stato riconosciuto dall’Istituto del patrimonio storico e artistico nazionale (Institute for National HIstorical and Artistic Heritage – Iphan) come una parte del patrimonio culturale ufficiale del Brasile. In questo tipo di agricoltura, una porzione di foresta precedentemente usata per la coltivazione viene tagliata, lasciata a seccare, e poi viene bruciata. Nelle radure, le colture vengono seminate e coltivate per circa tre anni per poi essere gradualmente abbandonate.

Gli uomini tagliano la parte di foresta a cui sono interessati, e insieme alle donne eseguono il debbio. In seguito le donne prendono il comando dei campi. Sono loro che decidono cosa coltivare e con cosa sfamare la famiglia: manioca, banane, açai, bacaba, cupuaçu, peperoncino. Per i popoli indigeni, queste donne sono le mães da roça (madri dei campi).

Carine Viriato da Silva, coltivatrice della tribù dei Baniwa e residente della comunità Yamado, situata di fronte al lungofiume di São Gabriel, ha parlato di due esempi degli effetti dei cambiamenti climatici sulla sua vita quotidiana. Afferma che, dopo la raccolta della manioca, le donne di solito ne lasciano le radici in ammollo nei fiumi per renderle più morbide. Tuttavia, con il tempo è diventato impossibile farlo: l’aumento dell’acqua negli igarapé (piccoli fiumi nella foresta) ha fatto sì che le manioche cominciassero a essere spazzate via dalla forza dell’acqua.

Ci sono state conseguenze  anche nella coltivazione dei peperoncini, che sono un alimento fondamentale nella cultura dei Baniwa, poiché è l’elemento centrale di un sistema complesso di scambio di piantine che coinvolge relazioni famigliari e maritali. «Quando una donna si sposa e va a vivere nella casa del marito, la pianta di peperoncino deve accompagnarla. È la nostra tradizione, per questo il peperoncino non può mancare. Senza peperoncini, non mangia nessuno», racconta Carine.

Questo problema è principalmente causato dall’aumento delle temperature, che ostacola ostacolando la crescita della pianta. Ha spiegato l’agricoltrice Diva de Souza, la quale parla nella lingua indigena dei Baniwa e preferisce che Carine parli al suo posto.

«Ha visto sua nonna rimuovere la pianta di peperoncino ormai matura. Quando si sposta una pianta di peperoncino matura, le sue radici le permettono comunque di assorbire le sostanze nutritive dal suolo. Ma adesso, quando si rimuove  la pianta per piantarla in un altro posto, questa non riesce a tollerare la temperatura e comincia a seccarsi».

Cambiamenti nella pesca

Mentre le donne si prendono cura dei campi, gli uomini si occupano della pesca, e neanche i pesci sono sfuggiti agli effetti del cambiamento climatico. Alcir Ricardo, agricoltore e sorvegliante di Baniwa e marito di Carine, informa che i cambiamenti nell’andamento delle precipitazioni stanno impedendo ai pesci di prendere peso.

«Nella nostra cultura, quando iniziano le piogge inizia anche il piracema (periodo di riproduzione di alcuni pesci). Poi a giugno I pesci diventano grassi». Il problema, spiega Alcir, è che i cambiamenti nel regime delle precipitazioni, i muschi che di solito apparivano a giugno sono apparsi a maggio, prima del previsto. I pesci cominciano a nutrirsi di queste piante e perciò non ingrassano. «Quindi, i pesci non sono ancora grassi, e con ancora ma le piogge che arrivano in anticipo, i pesci rimarranno magri».

Alcir Ricardo, indigeno del popolo Baniwa, mostra i rifiuti che arrivano attraverso il Rio Negro alla comunità Yamado. Foto di Paulo Desana/Agência Pública

Rosivaldo Miranda del Gruppo etnico Pirataputa, che vive nella comunità di Açaí-Paraná nel Territorio indigeno di Alto Rio Negro (situato sulla parte inferiore del fiume Uaupés, a sua volta nel bacino del Rio Negro), ha notato un altro cambiamento importante: perfino i vermi che si trovano all’interno delle bromelie stanno diminuendo.

Normalmente questi vermi vivono sulla sponda del fiume, e quando il livello del fiume si innalza, si rifugiano nei fiori delle bromelie che sono in alto sugli alberi. Sembra che l’instabilità dell’andamento delle precipitazioni e delle inondazioni stia intralciando questo processo, ed è un aspetto che solo chi vive nella foresta può notare.

Fenomeni estremi sempre più comuni

Le osservazioni dei popoli indigeni sui cambiamenti dei cicli ambientali combaciano anche con le registrazioni più regolari dei fenomeni estremi in Amazzonia. La misurazione dei livelli d’acqua del Rio Negro è cominciata nel 1902. La più grande inondazione registrata era quella del 1953, finché il record non è stato superato nel 2009.

Seconde le statistiche, grandi inondazioni come quelle dovrebbero succedere con una frequenza di una volta ogni 50 anni. Tuttavia, il record è stato superato nel 2012, e poi ancora nel 2021, secondo i dati del Servizio geologico del Brasile (Geological Survey of Brazil – Cprm). Nel 2022, il livello d’acqua ha raggiunto i 29.76 metri, il quarto nuovo record da quando le misurazioni sono iniziate.

Luna Gripp, ricercatrice del Cprm, afferma che i fenomeni estremi stanno diventando sempre più frequenti e su larga scala, come quanto dimostrato dalla situazione nello Stato dell’Amazonas. Adesso sta facendo appello perché vengano proposte soluzioni regionali, tra cui consultazioni con popoli indigeni e comunità che vivono sul fiume per lo sviluppo di politiche pubbliche che possano ridurre gli impatti negativi e permettano un adattamento.

«I popoli indigeni sanno come comportarsi quando il livello d’acqua s’innalza,” afferma. “Ma le loro decisioni hanno bisogno di sostegno».

Gli indigeni vendono i prodotti dei loro raccolti in un mercato locale. Foto di Paulo Desana/Agência Pública

Fonte foto di copertina: Paulo Desana/Agência Pública

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