Nell’India rurale, l’assistenza materno-infantile ricade su lavoratrici che hanno il minimo indispensabile delle risorse. Mentre le famiglie delle persone che salvano le ringraziano, il governo a stento riconosce il loro sforzi.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su New Frame.
L’autore, Sanket Jain, è un giornalista freelance basato nello stato indiano del Maharashtra.
Traduzione di Gabriella Vignoli.
Rekha Dorugade è abituata a ricevere chiamate e messaggi angoscianti a ogni ora del giorno e della notte. Il 21 febbraio è stato un semplice “sta per partorire” alle undici di sera: nonostante la gamba fratturata e le due dita rotte, Dorugade ha preso torcia, cassetta del pronto soccorso, coperta e forbici e ha digitato il numero per l’ambulanza pubblica.
Dorugade viene dal villaggio di Pernoli, nello stato indiano del Maharashtra, ed è una delle cosiddette ASHA (Accredited Social Health Activist): operatrici sociosanitarie che forniscono assistenza e cure infermieristiche di base agli abitanti delle campagne. Ne viene nominata una ogni 1000 persone con lo scopo di agire da intermediaria tra le comunità rurali e il sistema sanitario indiano: incaricate di istruire la gente dei villaggi sul parto in ospedale, le vaccinazioni per i bambini e la contraccezione, le ASHA costituiscono la colonna portante della assistenza sanitaria nell’India rurale.
Il tragitto percorso da Dorugade, lungo 5 km, era pericoloso col buio, ma un qualsiasi ritardo sarebbe potuto essere fatale alla madre e al nascituro: “avevo così tanta paura. Se fai anche solo un errore, sei finita”, ha raccontato.

Una volta arrivata si è resa conto che la madre, Ranjana Jhore di 22 anni, doveva essere ricoverata. La struttura sanitaria più vicina era a 12 km di distanza e raggiungerla significava scendere per la ripida collina di Dhangarwada: grazie agli abitanti del villaggio, che hanno trasportato Jhore e Dorugade sulla tradizionale portantina in legno, le due donne sono riuscite a incontrare il medico a metà strada.
“Quella vista mi tormenta ancora- racconta Dorugade- ovunque puntassimo la torcia c’era sangue. Il dottore ha immediatamente bloccato e reciso il cordone ombelicale e portato di corsa madre e bambino in ospedale”.
I due sono stati dimessi quattro giorni dopo: “solo a quel punto ho fatto un sospiro di sollievo”, ha aggiunto Dorugade. Ignorava però ciò che l’aspettava.

Infatti, mentre la famiglia di Jhore le è stata riconoscente, i suoi superiori non sono stati affatto colpiti: “hanno ordinato un’inchiesta per investigare su come si sia arrivati a un parto in strada. Mi hanno urlato contro, chiedendomi perché non le avessi chiesto di rimanere nelle vicinanze dell’ospedale”, ha detto. Dorugade però lo aveva fatto, ben otto giorni prima della nascita: “ranjana mi diceva che c’era ancora tempo e ogni volta ha rifiutato le mie richieste”, ha spiegato.
Il resoconto di Dorugade è stato respinto dal dipartimento sanitario del quartiere. “Mi hanno detto che avrei dovuto contattare Ranjana per iscritto. Poi è iniziata l’ispezione di tutti i miei resoconti e passati interventi”. Dorugade, che negli ultimi 12 anni come ASHA ha aiutato migliaia di persone, aggiunge: “questo comportamento è stato umiliante e offensivo: nessuno di loro avrebbe rischiato la vita camminando con un piede rotto. Il dipartimento sanitario non capisce in che circostanze noi lavoriamo, né si è preoccupato di sapere se stessi bene”.
Sottovalutate e sommerse di lavoro
Dorugade non è l’unica a sentirsi così. Più di un milione di ASHA in tutto il Paese sono sopraffatte dalle 74 prestazioni mediche che devono essere in grado di fornire, tra cui assistenza pre- e postnatale, colloquio in preparazione al parto e fornitura di contraccettivi e medicine. La paga dipende dalla loro esecuzione.
Netradipa Patil, rappresentante sindacale di oltre 3000 ASHA nel distretto di Kolhapur, ha spiegato “a Maharashtra, le ASHA guadagnano in media dalle 3500 alle 4000 rupie al mese”. Sono equivalenti a una paga tra i 43 e i 49 euro mensili. Alle ASHA è stato inoltre promesso un compenso aggiuntivo di circa 12 euro al mese in seguito alla pandemia, ma molte “non ricevono questo denaro da molti mesi”, ha aggiunto.
Le prime ASHA sono state nominate in 18 stati nel 2006, al tempo della cosiddetta National Rural Health Mission, ossia un progetto lanciato con lo scopo di rendere l’assistenza sanitaria più accessibile alla popolazione rurale. Nel giro di pochi anni il ruolo di ASHA si è diffuso in tutto il paese e le operatrici si sono impegnate a costruire legami con le loro comunità e ha guadagnarne la fiducia: la loro introduzione ha inoltre contribuito all’abbassamento del tasso di mortalità materna dalle 254 morti per 100.000 nascite nel 2006 alle 113 nel 2018.
Nel luglio 2021, quando il Maharashtra occidentale è stato devastato dalla seconda inondazione in tre anni, Rupali Patil, un ASHA del villaggio di Tiravade, ha scoperto che le acque alluvionali avevano raggiunto i margini del centro abitato, che contava 1723 abitanti.
Patil sapeva che Vinita Desai avrebbe partorito nel giro di pochi giorni: nella terza settimana di luglio, due ore dopo averla visitata, ha ricevuto una chiamata che la informava dell’inizio delle doglie.
Patil ha portato la donna al vicino ambulatorio di Kadgaon: “il centro non era attrezzato per un parto cesareo e siamo state reindirizzate all’ospedale rurale Gargoti”. Patil ha trovato una ambulanza che portasse Desai fino alla struttura, che si trovava a 17km di distanza, e ha fatto il viaggio con lei. A causa dell’innalzamento del livello delle acque alluvionali però, l’ultimo pezzo di strada è stato fatto in barca: “subito dopo aver raggiunto l’ospedale, abbiamo scoperto che era pieno di pazienti Covid e siamo state reindirizzate a un ospedale privato a 40 km di distanza”.
Alla fine, Desai ha potuto sottoporsi all’intervento: “considerando le forti piogge e l’alluvione, tutti pensavano che Vinita non ce l’avrebbe fatta – racconta l’ASHA- Ma le persone si fidano di noi, come possiamo deluderle? Quello di cui le persone hanno bisogno, in momenti così duri, è qualcuno con cui parlare, ed è per questo che ho continuato a dirle che le possibilità c’erano e che non potevamo perdere la speranza”.
Sia Desai che suo figlio sono sopravvissuti perché Patil ha fatto tutto giusto prima, durante e dopo il parto: ha preso regolarmente appunti sul campo, è stata consistente nel venire a trovare la famiglia e nel fare visite di controllo. “I membri della comunità ci chiamano anche nel cuore della notte, ma noi non neghiamo mai il nostro aiuto”, ha aggiunto con orgoglio.
Un servizio di vitale importanza
Per una popolazione rurale di 833 milioni di persone l’India ha a disposizione 810 ospedali distrettuali, 155 404 centri minori o avamposti periferici, 24918 ambulatori pubblici e 5183 ambulatori di quartiere.
“Senza le ASHA, noi medici non possiamo lavorare per la comunità”, spiega Varsha Lokhande, un dottore nel piccolo centro di Ghalwad, nel Kolhampur. “Queste operatrici sono le uniche a conoscere l’anamnesi di ogni famiglia nella loro comunità”.
In campi mensili le ASHA si occupano delle donne incinte monitorando la loro pressione sanguigna, facendo screening ematici e misurando altri valori degni di nota. Aiutano anche a riconoscere le donne con gravidanze ad alto rischio che devono essere indirizzate verso ospedali pubblici meglio attrezzati, e le aiutano a raggiungerli.

“Senza le ASH niente di tutto questo può essere fatto”, spiega Lokhande. Un caso esemplare quello di Sonali Mane, la cui gravidanza è andata bene fino all’ultimo giorno: le era appena stata diagnosticata la febbre Dengue, una malattia virale diffusa dalle zanzare, quando le sono iniziate le doglie. Secondo Pornima Chudmunge, una ASHA di 28 anni proveniente dalla regione dello Shirol, nello stato di Kolhapur, l’ospedale locale ha chiesto che Mane fosse trasferita in una struttura meglio attrezzata, in quanto la sua situazione appariva complicata. Questo accadeva nel luglio 2020, nel pieno del lockdown, quando gli spostamenti erano fortemente limitati.
Chudmunge ha portato di corsa Mane in uno degli ospedali a Sangli, a 15 km di distanza: si è fatta strada tra i vari reparti, ha raccolto relazioni su caso e ha spiegato la situazione a uno dei medici esperti. Il dottore non credeva che madre e bambino ce l’avrebbero fatta e ha chiesto a Chudmunge di firmare alcuni documenti che sollevavano l’ospedale da ogni responsabilità. Lei è rimasta senza parole: “ero preoccupata, ma avere paura non aiuta”, ha detto. Una volta completati i documenti, Chudmunge ha chiamato i suoi superiori, tra cui le infermiere e un dottore in pensione che le hanno spiegato come aiutare la paziente: “le continuavo a dire che era forte e che avremmo affrontato questa sfida insieme”.

Nel frattempo, tutto ciò che Chudmunge riusciva a vedere in quell’ospedale erano pazienti che annaspavano in cerca di ossigeno: “in quel momento era importante salvare la paziente, non pensavo al Covid”, ha spiegato.
Mane ha dato alla luce una femmina il giorno dopo e Chudmunge è stata con lei per tutte le 72 ore successive, ossia le più critiche. Ha raccontato: “ero decisa a non muovermi dall’ospedale finché non fosse stata fuori pericolo. Avevo avuto a che fare con numerose gravidanze, ma non avevo mai visto un caso così complesso”.
“Le ASHA -ha spiegato- continuano a trovare modi per superare esperienze così pesanti. Il governò però paga solo dopo che protestiamo: quanto dobbiamo farlo ancora?”.
Le ASHA sono la più grande fonte di assistenza medica per le comunità nelle campagne, eppure sono state scoraggiate da anni di proteste inascoltate per una migliore retribuzione e maggiori benefici.
“E’ un caso, ma ‘Asha’ nella nostra lingua significa speranza, cosa che ora come ora abbiamo perso”, conclude Chudmunge.
Foto di copertina
7 marzo 2022: partendo da sinistra, una madre ascolta i consigli dell’ASHA Maya Patil su come fornire assistenza postnatale al figlio appena nato. La foto è stata scattata vicino al villaggio di Khutwad (distretto di Kolhapur, nel Maharashtra)
Tutte le fotografie sono di Sanket Jain