Quando pensiamo a un luogo in cui imparare a leggere, a scrivere, a contare, a parlare in una determinata lingua pensiamo a un’istituzione chiamata scuola. Immaginiamo bambini dietro ai banchi che seguono la lezione dei loro insegnanti. Non è però sempre così: esiste un tipo di “insegnante” diverso, per adulti, a domicilio: si tratta di figli e figlie di genitori immigrati di prima generazione.
Una spalla su cui contare
L’analfabetismo è un problema che si riscontra ancora oggi in numerose aree del mondo, in particolare in Asia e in Africa, dove i bambini sono inseriti all’interno del mondo del lavoro già in tenera età, essendo questi una forza necessaria al sostentamento delle proprie famiglie.

Spesso, queste persone non hanno avuto la possibilità di studiare: un limite importante, soprattutto se sono persone che migrano in un altro paese senza saperne la lingua. Quando sai già scrivere, leggere o contare risulta più semplice imparare a farlo in un’altra lingua. Se, invece, bisogna imparare tutto da zero, la situazione è molto più complicata e serve un aiuto. Aiuto che nelle famiglie straniere spesso arriva da un alleato inaspettato, i bambini. Sono loro a seguire i genitori, passo a passo, nel percorso di scolarizzazione, a partire dal sostegno nello svolgimento dei compiti fino alla lettura.
Piccoli insegnanti: i bambini
Questi bambini crescono parlando fluentemente due lingue, quella materna e quella dello Stato in cui vivono. Traducono correttamente il messaggio da una lingua all’altra e, in questo modo, la comunicazione non si interrompe.

Dal momento in cui imparano a leggere e scrivere cominciano ad aiutare i propri genitori nella compilazione di documenti e pratiche, e già prima svolgono l’importante ruolo di mediatori linguistici. Aiutano i genitori a muoversi e integrarsi in un contesto spazio-culturale diverso rispetto a quello di nascita.
Sapere ciò di cui si sta parlando è necessario per queste persone soprattutto nel momento in cui devono esprimere la propria opinione, le proprie idee, la propria posizione. “I miei figli mi hanno sempre aiutata, senza di loro io e mio marito non saremmo riusciti a fare molto e di questo ne siamo grati. Mia figlia maggiore, in particolare, mi è stata sempre di grande aiuto perché oltre ad aiutarmi in casa, mi ha insegnato a leggere e a scrivere, a parlare l’italiano in maniera corretta, mi ha insegnato ad aprirmi agli altri” racconta Fatma, donna curda, madre di quattro figli.
È importante sottolineare che l’aiuto di questi “piccoli insegnanti” ha permesso nel tempo ai propri genitori di raggiungere traguardi importanti, da quelli più piccoli come acquistare il biglietto dell’autobus,a quelli più grandi come il conseguimento della patente di guida.
Figli maggiori, maggiore responsabilità
L’espressione “cavarsela da soli” rappresenta perfettamente la situazione in cui si trovano i figli maggiori nelle famiglie straniere. Oltre ad aiutare i propri genitori nelle faccende domestiche, fin da piccoli aiutano anche i propri fratelli con i compiti, un aiuto che loro non hanno mai ricevuto.
Passano la propria infanzia da un ufficio ad un altro, da un documento all’altro in questura, a scuola, in comune, per essere d’aiuto ai loro genitori che, non sapendo la lingua o non conoscendola completamente, si troverebbero in difficoltà. Infatti, la compilazione delle domande di rinnovo della carta di identità, del permesso di soggiorno o la lettura delle bollette, dei referti medici richiede un linguaggio specifico, tecnico, più complicato rispetto al linguaggio colloquiale.
Compiono sacrifici, si comportano come degli adulti, anche se in realtà sono solo dei bambini. Il fatto di vivere all’interno di una famiglia in cui i genitori fanno affidamento sui propri figli aumenta e rafforza il loro senso di responsabilità, che si sviluppa già in tenera età. Insegnano ed aiutano i propri genitori in molte cose, dall’uso del cellulare alla compilazione di documenti, pratiche, e-mail. Come racconta Elif, “è difficile essere la figlia maggiore. Nonostante io abbia molti fratelli alla fine chiedono più aiuto a me, per i miei genitori sono come un punto di riferimento e quando hanno bisogno di qualunque cosa cercano me”. Si tratta, dunque, di un ruolo che si mantiene nel tempo, in un percorso che inizia fin dall’infanzia.
Un ruolo che dà soddisfazioni
Quello dei “piccoli-insegnanti” è un ruolo difficile ma che può dare delle grandi soddisfazioni: “è stupendo vedere come mia mamma interagisce con le persone! Prima aveva paura di sbagliare pronuncia, di sbagliare i verbi, adesso la vedo più sciolta e non si fa tanti problemi”. Ciò che i figli con genitori di origini lontane vorrebbero di più è il raggiungimento di una maggiore autonomia e realizzazione personale nella vita dei propri genitori.
Si tratta di un dovere o di un piacere? Come racconta Beritan, ragazza di origini curde, “mi rende felice il fatto che io possa nel mio piccolo migliorare la vita delle persone che ho intorno, non lo vedo come un peso. Forse quando sei più piccolo vedi questo ruolo più come un peso perché comunque non puoi vivere un’infanzia al cento per cento, non sei mai stato un bambino spensierato al cento percento e devi essere per forza più maturo rispetto ai bambini della tua età. Mia mamma non mi ha mai chiesto di insegnarle a leggere e a scrivere. Sono io che ho voluto farlo, di mia spontanea volontà. Vorrei che lei possa avere ciò che non ha avuto perché ha tanta voglia di imparare, se lo merita”.
Medine Mehmetoglu