Nel percorso della nostra crescita incontriamo diverse agenzie educative che ci formano come persone, la prima è la famiglia. Si tratta del luogo in cui il bambino impara le prime parole, crea i primi rapporti, apprende le prime regole di comportamento all’interno della società in cui vive. Il contesto spazio-culturale in cui ci troviamo, infatti, influenza il modo in cui percepiamo le cose, la nostra visione del mondo, le nostre idee.
Cosa succede nel momento in cui un gruppo, una famiglia si sposta da un contesto culturale ad un altro? Quali sono i conflitti con la propria cultura d’origine? Ne parliamo con giovani nate o cresciute in Italia.
Italiano, straniero, o una via di mezzo?
“Da dove vieni?” può sembrare una delle domande più facili a cui rispondere, ma non per tutti. Gli italiani di seconda generazione, infatti, si trovano in una condizione abbastanza complicata perché vengono considerati italiani dai propri parenti all’estero, stranieri nel paese in cui vivono, oppure come una via di mezzo tra queste due realtà. Per queste persone è difficile definire la propria identità culturale.
Le seconde generazioni di stranieri in Italia si trovano di fronte a un bivio con due culture, a volte anche estremamente differenti tra di loro. Di fronte a una situazione di questo tipo, quali sono le opzioni? Mantenere la cultura dei propri genitori, abbracciare invece la cultura del paese in cui si è nati e/o cresciuti, oppure trovare una via di mezzo che inglobi gli elementi considerati positivi di ciascuna cultura. La terza è un’opzione rischiosa perché non sempre ciò che si ritiene positivo, giusto, appropriato, lo è anche per gli altri.
Vergogna e onore, concetti legati e che legano
La paura è quella di non essere accettati e rifiutati dalla propria comunità nel momento in cui si mettono in atto dei comportamenti considerati “devianti”, che vanno a marcare quello che è considerato il “senso dell’onore”. Infatti, i giovani che decidono di adottare dei comportamenti diversi da quelli attesi vengono spesso rifiutati non solo dalla comunità, ma anche dalla propria famiglia d’origine. Il comportamento viene etichettato come una situazione non desiderabile, un esempio da non seguire per coloro che non vogliono fare la stessa fine: essere rifiutati, o peggio, come abbiamo raccontato nella serie sul diritto d’onore in India.
Dove avvengono i conflitti tra la cultura d’origine e quella di destinazione? Si tratta di azioni semplici come vestirsi in un determinato modo, non essere praticanti, avere un’identità di genere diversa rispetto al proprio sesso di nascita, voler condividere la propria vita con una persona diversa rispetto a quella della comunità di appartenenza.
“Mio padre non mi parla più, mi ha rinnegato come figlia perché mi sono innamorata di un ragazzo italiano e mi sono fidanzata con lui. La mia fortuna è stata che almeno mia madre e i miei fratelli continuano ad essere in contatto con me, ma non abito più con loro. La cosa triste è che sono stata costretta a rinunciare a qualcosa, al rapporto con mio padre e questo non era ciò che desideravo”, ci racconta Fatima, ragazza di origini marocchine, arrivata in Italia alla fine degli anni ‘90, quando era ancora una bambina.
Il modo in cui veniamo educati influenza la nostra mentalità ed anche il nostro grado di apertura verso il mondo, verso ciò che è diverso. I valori che ci vengono trasmessi possono essere visti come dei limiti, degli ostacoli che non ci permettono di poter fare determinate esperienze perché vengono ritenute sbagliate, vergognose. La parola “vergogna”, infatti, viene usata per far capire ai giovani, fin da quando sono piccoli, cosa è giusto e cosa non lo è, ciò che è opportuno fare rispetto a ciò che non si deve mai fare. La vergogna di aver un figlio considerato “diverso” diventa un marchio difficile da cancellare.
In alcune culture come quella medio orientale e nordafricana la reputazione all’interno della propria comunità è di fondamentale importanza. L’opinione degli altri risulta essere la cosa più importante, anche a costo della tua felicità e quella della tua famiglia. Infatti, anche se i genitori possono capire alcune cose, non sono disposti ad accettarle per paura di essere rifiutati a loro volta. [questo è più forte per genitori emigrati? da una parte si è meno immersi nella cultura di origine, più contaminati, ma dall’altra si è più legati a dinamiche di comunità (lavoro etc come raccontavi. Nel caso, riesci ad inserire un’altra intervista su questo aspetto?]
Laddove il legame con la comunità di origine e la religione, la tradizione o entrambe le cose non è forte, è presente una maggiore apertura culturale e accettazione di valori distinti da quelli di nascita anche da parte degli stessi genitori. “Le donne in Kurdistan, per esempio, non sempre hanno la possibilità di continuare gli studi, si sposano molto giovani e vengono relegate al ruolo di madri e mogli. Le ragazze curde che vivono in Europa, invece, puntano a una realizzazione personale attraverso gli studi che permetta loro di essere indipendenti economicamente e in questo sono sostenute anche dalla famiglia”, ci racconta Zeynep.
Il peso delle malelingue
A volte le parole feriscono più delle armi, rovinano rapporti, cambiano per sempre l’esistenza delle persone. Il conflitto non è sempre a viso aperto, spesso si nasconde dentro il pettegolezzo, il cui oggetto sono soprattutto le giovani donne desiderose di ottenere emancipazione, di vivere la propria vita come desiderano. Criticate da donne e uomini che potrebbero essere i loro genitori, ma anche da coetanei che hanno mantenuto più saldi i valori della propria comunità d’origine. Giovani che quindi si sentono controllate, osservate, non completamente libere dalle malelingue sul loro conto che arrivano ai loro genitori.
“Mi controllavano i social, come mi vestivo, se avevo foto con ragazzi o se frequentavo certi posti e riferivano tutto ai miei genitori con parole forti come: tieni a bada tua figlia, è diventata occidentale, hai fallito come padre e come madre, come genitore”, racconta Zahra, ragazza di origini marocchine. Questo tipo di pressione sociale non avviene solo per i giovani di origine medioordientale e nordafricana. Lo dimostrano le testimonianze raccolte da Carlotta Favaro sulle seconde generazioni cinesi, che subiscono uno specifico termine dispregiativo dalla comunità di origine.
Europa, terra di opportunità
Gli italiani di seconda generazione, essendo entrati in contatto con due o più culture, hanno la possibilità di scegliere, in qualche modo, a quale realtà appartenere e a dare la propria definizione di ciò che loro ritengono giusto. Queste persone non si riconoscono completamente nella cultura dei propri genitori perché sono nati e cresciuti in una realtà diversa, a volte completamente opposta, e sono desiderosi di cambiamenti e per questo compiono determinate scelte.
Il fatto di trovarsi in Europa permette a queste persone di vivere numerose opportunità rispetto ai propri connazionali, come ci racconta Elif, ragazza curda residente in Germania, “non mi interessano le voci della gente su ciò che sono o su cosa dovrei fare, tanto la gente parla sempre. Sono felice di vivere in Europa ed avere la possibilità di essere me stessa al cento per cento, mi sento libera”.
Medine Mehmetoglu