lavoratrice cinese ristorazione

L’importanza della comunità cinese per l’imprenditoria italiana

A causa della pandemia da covid-19, nel 2020 le migrazioni sono generalmente diminuite. Gli arrivi in Italia, ad esempio, sono stati circa 248mila, in diminuzione del 25.6% rispetto all’anno precedente. Il calo dell’immagrazione non è un fatto recente e dovuto esclusivamente alle conseguenze della pandemia, quali il lockdown e la chiusura delle frontiere, ma è una tendenza che persiste negli anni. Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, la presenza di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia nel 2018 è circa 3.7milioni, 49 mila in meno rispetto al 2013. In generale, gli stranieri si distribuiscono in modo piuttosto equilibrato tra Europa (28%), Africa (32%), Asia (30%). La popolazione cinese è una delle più presenti nel territorio italiano, e costituisce l’8% degli stranieri in Italia, circa 310.000 persone. E, seguendo la tendenza generale, anche l’immigrazione della popolazione cinese negli ultimi anni è in calo.

Un percorso storico

Le migrazioni cinesi sono un fenomeno relativamente recente in Italia. Agli inizi del ‘900 c’è stata una moderata ondata migratoria di piccoli artigiani e commercianti, composta prevalentemente da uomini che miravano ad aprire una loro piccola attività commerciale nell’industria tessile, sartoria e artigianato.

Patrizia Battilani, professoressa di Storia dell’Economia e Storia dell’impresa all’Università di Bologna, in un’intervista a The Bottom Up ci spiega che a Bologna, negli anni ’30, una piccola comunità di persone cinesi ha iniziato a lavorare prima come venditori ambulanti per poi aprire piccoli negozi di artigianato, producendo articoli come borse e cravatte.
Ma a causa di un sistema autoritario e chiuso come quello cinese di inizio secolo, era molto difficile da emigrare dalla Cina: le politiche di Mao Zedong avevano portato il Paese a un isolamento dal mondo, incentrate sull’agricoltura e alla rivoluzione culturale interna di stampo comunista. Inoltre entrarono in un periodo di emigrazione restrittiva, caratterizzato da rigorose restrizioni e controlli sui cittadini in ingresso e in uscita dalla Cina, come il Regolamento temporaneo sull’Attraversamento in uscita o in entrata delle frontiere dei cittadini cinesi residenti all’estero del 1951.

Con il successore di Mao, Deng Xiao Ping e la sua “politica delle porte aperte”, che ha inaugurato un periodo di Cina globalizzata, verso la fine dagli anni ’70 è diventato molto più facile e accessibile spostarsi dal proprio Paese. La politica prevedeva la promozione del commercio estero e investimenti economici che portarono molti abitanti cinesi a disperdersi in Europa e in America. 

Questa apertura ha generato una seconda ondata migratoria decisamente più corposa e composta non soltanto da uomini, ma anche donne. Secondo i dati della professoressa Battilani, dal 1990 al 2000 i cinesi in Italia sono aumentati da 7.000 a 46.000.

Dopo l’inizio degli anni 2000, con la crisi economica mondiale e con la pandemia da covid-19, il numero di migrazioni ha subito un forte calo. Le poche persone che arrivano in Italia lo fanno per motivi di studio o per ricongiungersi ai propri familiari, già stabiliti nel Paese. Spendere diverse migliaia di euro partendo dalla Cina, Paese con enormi capacità economiche e in costante crescita, per arrivare in Italia, Paese in crisi e il lento avanzare economico, non sembra essere poi così vantaggioso.

mappa cina
Foto di ISPI

L’imprenditoria cinese

Il fatto interessante di questo fenomeno migratorio è la zona di provenienza. “Sebbene si pensi alla Cina come un vasto e popolato territorio, le migrazioni in Italia avvengono in una zona incredibilmente mirata”, ci spiega in un’intervista a The Bottom Up Daniele Brigadoi Cologna, professore dell’università di Insubria. “L’80% dei cinesi in Italia proviene dalla regione dello Zhejiang, in un’area di 60km in linea d’aria, tra due città: Wenzhou e Wencheng”, continua. Quelle che arrivano in Italia sono persone che provengono da una zona tradizionalmente periferica che li distingue da altri cinesi con diversa origine, condividono una loro cultura tipica, tradizioni e dialetti unici. A causa delle migrazioni, alcune piccoli paesi, periferie e attività storiche nell’entroterra di Wenzhou stanno sparendo o sono sparite. 

Essendo i cinesi italiani provenienti prevalentemente dalla stessa zona, lo Zhejiang, le migrazioni sono più che altro generazionali: solitamente il primo a partire è il padre, seguito poi da moglie e figli, che a loro volta hanno piantato le radici e costruito una famiglia in territorio italiano. Il lignaggio familiare è di fondamentale importanza per garantire un’emigrazione di successo, che comprendo avere un lavoro fisso, una casa e una stabilità economica necessaria alla famiglia.

Secondo diversi studi sulle migrazioni cinesi, come quello dell’Universita di Bologna, del Ministero dell’Interno, e di NuoveRadici.World, è emersa la caratteristica dell’autoimpiego e del lavoro autonomo. I migranti cinesi tendono molto spesso ad aprire una azienda privata acquistandola o da un italiano, o da un altro migrante cinese. L’imprenditoria è concentrata soprattutto nella filiera dei servizi: tessile, ristorazione, bar, parrucchieri, tecnologia, pelletteria e molti altri.
Per quanto riguarda il territorio bolognese, i dati della professoressa Battilani per il 2016 suggeriscono la presenza di 364 imprenditori cinesi nel settore tessile, moda e pellame, rappresentando il 27% degli imprenditori locali. Nella vendita all’ingrosso e al dettaglio sono presenti 375 imprenditori cinesi, mentre 536 nel catering. 

La comunità cinese si inserisce così in un settore in crisi, o in procinto di esserlo, riuscendo ad acquistare l’attività a un prezzo molto conveniente. Ma esiste un lato negativo: a causa degli intensi orari di lavoro, il commerciante ha poco tempo libero e poco tempo da trascorrere con la famiglia. Anzi, molto spesso capita che tutta la famiglia sia impiegata come forza lavoro per incentivare la  produzione e avere un maggior guadagno.

“Questa è un’imprenditoria di piccolo cabotaggio che ha poco profitto ma guadagna sul volume del proprio lavoro”, racconta Cologna. È un tipo di lavoro che punta al raggiungimento di obiettivi economici per riuscire a pagare gli studi ai figli e magari far sì che possano loro stessi aprire una nuova azienda. Infatti, “pochi hanno successo, molti falliscono, ma la maggior parte sopravvive”.

Le piccole realtà economiche sopravvivono anche grazie alla comunità cinese locale, che acquistano in quei negozi o usufruiscono dei loro servizi. Infatti, circa i 2/3 dei cinesi in Italia non conosce la lingua italiana e non ha bisogno di farlo vista la grande presenza di comunità sul territorio che aiuta e fornisce servizi a coloro che hanno difficoltà linguistiche.
“La comunità è importante anche per altri aspetti: considerando che gran parte della popolazione cinese viene dalla stessa provincia, per aprire la propria attività infatti fanno riferimento a un Clan cinese locale con le radici in Cina ma con una presenza in Italia, al quale chiedono un prestito che verrà poi estinto nel tempo”, continua il professore.

Arrivare per restare

Le persone cinesi che vengono qui in Italia vengono per restarci. “L’idea del ritorno in patria è un non-tema, anche durante la pandemia. Mi azzarderei perfino a dire che è più frequente il ricongiungimento dalla Cina in Italia e credo che gli ultimi ricongiungimenti negli ultimi anni sono state di padre e madri over 50-60 ”, spiega il professore Cologna.
Abituati a uno stile di vita e di welfare di stampo italiano ed europeo, capita che il cittadino cinese emigrato non si riconosca più e non si senta più a suo agio a vivere in Cina.

Inoltre, chi emigra dalla Cina spesso si trova a decidere se rinunciare alla cittadinanza cinese in favore di quella italiana, dal momento che la Repubblica Popolare Cinese non ammette la doppia cittadinanza costringendo i propri cittadini a scegliere l’una a discapito dell’altra. Infatti di 330.000 migranti cinesi in Italia ce ne sono solamente 15.000 che hanno la cittadinanza italiana, sia per motivi inerenti alle basse richieste o alla difficoltà nell’ottenerla. La Cina infatti è diciottesima per concessioni di cittadinanza in Italia: nel 2017 ci sono state solo 1583 nuove cittadinanze, di cui 1117 sono legate al compimento del 18° anno di età dei cittadini cinesi.

Filippo Scanni

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