Alla radice della violenza di genere: i programmi per uomini autori di violenza

Quando pensiamo alla violenza di genere, la nostra attenzione, filtrata in parte dai media, si posa principalmente sulle donne che ne sono vittime. Anche la maggior parte dei fondi e dei servizi previsti dallo stato dinanzi a tale fenomeno verte su di loro, ma a partire dallo scorso decennio, in Italia, la violenza ha iniziato ad essere considerata anche a partire dalle sue radici: la cultura patriarcale. Una sollecitazione è provenuta dalla Convenzione di Istanbul, che all’articolo 16 afferma l’importanza di “sostenere programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali, al fine di prevenire nuove violenze e modificare i modelli comportamentali violenti”. 

Tuttavia, accanto ai servizi rivolti a chi ha subito la violenza e in stretto coordinamento con essi, esiste anche un sistema di intervento e di trattamento per gli autori di violenza che pone come fine la messa in discussione e la presa di coscienza del proprio comportamento violento. 

I programmi per uomini autori di violenza  

Secondo i dati dell’indagine ViVa (Progetto di Monitoraggio, Valutazione e Analisi degli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne) dell’Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali (IRPPS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in Italia i programmi attivi al 31 dicembre 2017 erano 54, con 69 punti di accesso sul territorio nazionale. I programmi sono tuttora per lo più di piccole (80%) e medie dimensioni; quindi, coinvolgono non più di 50 uomini nel primo caso e 200 nel secondo. Gli uomini che nel 2017 hanno contattato il programma sono stati 1.199, i frequentanti 1.214, di cui 573 nuove prese in carico nell’anno.

Proseguendo il focus della violenza di genere sulla realtà vicentina del nostro precedente articolo, risulta utile conoscere la distribuzione, non ancora omogenea e sufficiente, dei centri per uomini autori di violenza nella regione Veneto: i servizi attivi, istituiti tra il 2013 e il 2019, sono 7 e ricoprono tutte le province, esclusa quella di Belluno. Secondo i dati risalenti all’anno 2019, registrati dall’Unità Organizzativa Cooperazione internazionale della Regione Veneto, le “prese in carico” effettive sono state 215. 

Le lenti con cui conoscere questo settore ce le offre il dottor Antonio Romeo, counselor e membro dello staff tecnico di “Cambiamento Maschile”: uno spazio di ascolto e di supporto per gli uomini autori di violenza fondato dalla Cooperativa Sociale “Una casa per l’uomo” in collaborazione con l’amministrazione comunale di Montebelluna (TV). 

Il cambiamento è possibile? Riflessioni dal basso

Lo scopo di questi centri consiste nell’interrompere la perpetuazione della violenza di genere commessa dagli uomini, cercando di renderli consapevoli delle sofferenze che determinano e delle origini che causano questi comportamenti aggressivi e lesivi della dignità della donna e, in secondo luogo, di chi ne risente indirettamente, come ad esempio i figli e i familiari. “L’aiuto che si vuole dare agli uomini”, spiega il dottor Antonio Romeo, “consiste nel promuovere un cambiamento per individuare una nuova identità maschile: essere maschi, senza essere maschilisti”. Si tratta di una riflessione che è sorta anche all’interno della rete nazionale Maschile Plurale, network che nasce nel 2007 in seguito alla pubblicazione di un appello intitolato “La violenza contro le donne ci riguarda (…)”, il 19 settembre 2006 su “Il Manifesto” e “Liberazione”. La sua divulgazione inaugura un percorso per il genere maschile che negli anni Settanta era stato avviato ed esplorato dalle femministe a partire da una riflessione sull’identità femminile. Gli uomini firmatari di questo appello e che aderiscono all’associazione traslano al maschile i quesiti che le femministe si sono per prime poste: “Qual è il ruolo dell’uomo nella società?” “Che cosa è imposto e cosa si può cambiare per migliorare la propria condizione?” 

Recentemente è sorta l’associazione Nuova Maschile Plurale APS come strumento operativo a servizio della rete di Maschile Plurale che si impegna nella ricerca-azione in tema di percorsi degli uomini autori di violenza e promuove produzioni, riflessioni e documenti di valenza politica, incontri ed eventi pubblici. Inoltre, si occupa di formazione nelle scuole e nelle università, per incoraggiare una presa di coscienza della “cultura patriarcale e maschilista che da millenni respiriamo”, afferma il dottor Romeo che è anche membro dell’associazione. Una formazione più specifica è poi rivolta agli operatori sociosanitari e alle forze dell’ordine al fine di intervenire con un approccio sensibile e adeguato nelle situazioni intrise di violenza di genere in cui operano. Infine, collabora con i centri antiviolenza e per uomini autori di violenza, anche all’interno di reti di prevenzione e contrasto della violenza maschile sulle donne. 

Un’altra rete nazionale che promuove attività simili è Relive Relazioni Libere dalle Violenze che, oltre a diffondere una cultura delle pari opportunità e dell’uguaglianza di genere, ha individuato delle linee guida a cui gran parte dei centri in Italia hanno aderito con il fine di uniformare le modalità di intervento e di valutazione dei programmi di trattamento. Cambiamento Maschile è fra i soci ordinari di Relive e ha aderito alle linee guida

Tentare un cambiamento

La realtà di Montebelluna racconta a The Bottom Up come a fruire dei suoi servizi siano uomini provenienti dai contesti più diversi. “Coloro che vi si rivolgono svolgono le più varie professioni e sono in età compresa dai 20 agli 80 anni”, spiega Antonio Romeo, sottolineando l’universalità del fenomeno. Contattano il centro perché inviati dalla partner, dal consultorio familiare dell’ULSS, dai servizi sociali, dalle forze dell’ordine o tramite avvocati quando, coinvolti in un processo, il giudice sospende condizionalmente la pena a patto che partecipino a percorsi specifici di recupero, secondo quanto previsto dalla legge 69/2019, chiamata anche “Codice Rosso”. 

Dal momento in cui gli uomini si rivolgono al centro vengono fissati cinque incontri individuali, durante i quali sia il diretto interessato che il personale comprendono la disponibilità a intraprendere il percorso e si accertano che la proposta sia adeguata alla persona. In seguito, vengono posti due principi necessari e fondamentali all’avvio del percorso, affinché esso sia efficace: la completa assunzione della responsabilità della violenza e la volontà a cambiare. Già al secondo incontro si chiede il contatto della partner che, a condizione del suo assenso, verrà in seguito tenuta al corrente dell’andamento del programma.

Il progetto prosegue con due fasi: la prima, della durata di un anno, segue un approccio psico-educativo e prevede incontri settimanali di gruppo nei quali vengono discussi diversi temi per volta (figli, emozioni, sessualità,…). 

Nel corso del secondo anno cambia il tipo di intervento: gli uomini partecipano ad altri incontri collettivi, guidati da un operatore o un’operatrice, in cui condividono le proprie esperienze e le difficoltà che incontrano. Questa seconda fase è definita di tipo esperienziale poiché i partecipanti, attraverso il confronto reciproco, sono incoraggiati nella ricerca di un modo non violento e rispettoso della dignità altrui per affrontare le proprie questioni. 

Durante questo percorso, essi hanno modo di esaminare le ragioni determinanti la violenza di carattere cognitivo, emozionale, culturale, personale e di affrontare gli stereotipi perpetuati da millenni che ne giustificano l’esistenza. Ciò che Antonio Romeo evidenzia, riguarda la possibilità che viene data agli uomini di esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri senza essere giudicati, andando oltre quel modello culturale che consente alle sole donne l’acquisizione di quella capacità “intrinseca” di saper affrontare le proprie emozioni. 

Essi vengono ascoltati, accolti e aiutati ad aiutarsi da sé, ricercando in se stessi le risorse per sostituire a una comunicazione aggressiva una relazione assertiva che prevede pari dignità e rispetto reciproco tra i partner (o in generale tra uomo e donna). 

La principale difficoltà che riscontrano è il riconoscimento delle forme di violenza che non siano fisiche: appare a molti naturale infatti comportarsi in un determinato modo, specialmente quando per generazioni l’aggressività, la svalutazione, l’umiliazione della donna, così come il controllo e la gelosia scambiati per amore sono stati legittimati e considerati normali, soprattutto all’interno delle mura domestiche. A causa di questa cultura patriarcale appresa fin da piccoli, questi comportamenti non sono di immediata evidenza negativa come altri fenomeni nocivi, quali alcool e droga ad esempio. 

A fine percorso, sono previsti tre anni di “follow-up” durante i quali gli uomini vengono assistiti in caso di bisogno e si verifica la riuscita del programma, anche in termini di un’eventuale recidiva. “Un dato incoraggiante riguarda quel 60% degli uomini che dimostrano un cambiamento”, afferma il dott. Romeo. Il 10%, secondo i dati raccolti nel 2019 dalla regione Veneto in tre centri, riguarda invece episodi di recidiva di violenza sia fisica che psicologica. 

Durante la pandemia, la convivenza forzata tra partner ha reso inevitabilmente più frequente il ricorso alla violenza causata, a parer dei maltrattanti, dalla provocazione della partner, rappresentando un’aggravante ulteriore per le situazioni già difficili. Per questo, il centro ha previsto durante i mesi di lockdown l’ampliamento delle ore di segreteria telefonica e la continuità dei colloqui a distanza, online. 

Molta strada ancora da compiere

È importante osservare quanto l’attenzione verso queste problematiche è risultata in crescita tra il 2014 e il 2017. In particolare, secondo i dati raccolti dal rapporto VIVA, il numero dei programmi è incrementato da 29 a 54. I servizi che hanno attivato collaborazioni con i centri antiviolenza hanno ottenuto il conseguente effetto positivo sulla capacità di intercettare gli uomini maltrattanti, sebbene solamente il 46% dei programmi le abbia realizzate. Inoltre, queste tipologie di trattamenti vengono sempre più garantite da un personale formato sulle specifiche metodologie di intervento con gli autori, elemento che permette di individuare fin dall’inizio il percorso più adatto per l’uomo. 

Tuttavia, permane in confronto alla distribuzione dei centri e servizi antiviolenza, un’insufficiente copertura territoriale dei programmi per autori. Inoltre, non tutti i programmi hanno colmato negli anni quella distanza dagli standard minimi individuati dal Consiglio d’Europa, che a sua volta hanno ispirato le linee guida del network Relive nel 2017. Le differenze di uniformità agli standard, riguardano sia la formazione del personale, che i tempi di contatto della donna vittima di violenza, così come la valutazione e le finalità dei percorsi di trattamento per autori di violenza.

Parallelamente, è altrettanto necessario però che, anche grazie al ruolo di associazioni e gruppi come Maschile Plurale e Relive, nell’opinione pubblica e nella cultura ancora troppo impregnata di patriarcato, avvengano “momenti di rottura” e di riflessione, per favorire la messa in discussione di pratiche date spesso per scontate. Innanzitutto, è fondamentale persistere nella ricerca di un’alternativa alla violenza – come indicato dal dott. Daniele Guoli, psicologo esperto in trattamento degli uomini autori di violenza -, educando con insistenza al dialogo e al confronto. 

Allo stesso modo, le finalità che il trattamento e il percorso che gli uomini intraprendono esigono un lavoro su sé stessi che richiede una rieducazione continua e determinata per tutta la vita, e che forse non verrà mai del tutto appresa. Certamente, un contributo rilevante nel ridefinire l’opinione pubblica potrebbe provenire dallo stesso linguaggio mediatico e dalle istituzioni che ancora spesso non si approcciano al fenomeno nel modo più corretto. Come? Cominciando con l’affermare in modo sempre più forte e chiaro che “la violenza è una scelta, non una perdita di controllo”.

Debora Visentin

Fonte immagine di copertina: Medical Xpress

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