Per la prima volta dal 1983 il centrosinistra argentino del partito peronista del presidente Alberto Fernandez perde la maggioranza al Senato e si sente tremare le gambe: cresce l’opposizione di centrodestra dell’ex presidente Mauricio Macri. Mentre la pandemia acuisce la povertà, si ripropone la sfida tra politiche espansionistiche e tagli alla spesa, come in Grecia nel 2009. Una politica di spesa domina la politica argentina dagli anni ’40 e ’50, quando il generale Juan Domingo Perón prende il potere e implementa una politica economica populista con l’obiettivo di modernizzare il Paese e trasformarlo in una potenza industriale.
Le politiche peroniste costituiscono ancora oggi il fulcro dell’azione politica argentina ed è per questo che il dibattito sulla loro reale efficacia è tuttora acceso. La caratteristica principale di queste politiche è l’implementazione di un largo sistema di aiuti economici pubblici destinati alle classi meno agiate e il pagamento dei debiti attraverso la stampa di moneta. Questo metodo ha portato a elevatissimi tassi di cambio con il dollaro (oggi un dollaro vale circa 103 pesos, circa 33 volte il valore del dollaro nel dicembre 2005), un’inflazione capace di raggiungere il 50% annuo, e una crisi economica che perdura da decenni.

Dopo di lui, l’alternanza tra dittature militari e deboli governi democratici durante tutta la seconda metà del XX secolo mina la stabilità economica e finanziaria dell’Argentina, la quale, sia durante i periodi di neoliberismo – dittatura militare (1975-1983), Menem (1989-1999) e Macri (2015-2019) – sia durante i periodi di forte populismo socialdemocratico, affronta sempre gli stessi problemi: un’inflazione alle stelle e un deficit pubblico sempre più consistente. Alla fine degli anni ’90 l’inflazione argentina raggiunge il tasso mensile del 200%, la disoccupazione si attesta intorno al 18%, il debito pubblico cresce per tutto il decennio, la corruzione dilaga, l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro e le spese di governo sono inoltre sempre troppo elevate. II Paese ha vissuto e vive ancora in un’epoca di default ciclici che lo costringono perennemente sull’orlo della bancarotta.
Ci sono stati recenti tentativi riformatori in senso opposto dal 2015 al 2019 durante la breve parentesi liberale del presidente Mauricio Macri, che ha perseguito la stabilizzazione finanziaria attraverso tagli alla spesa pubblica. La manovra ha scatenato il malcontento delle classi più povere e spianato il terreno per il ritorno dei peronisti al governo, avvenuto con le elezioni del 2019. Tuttavia, il perdurare della crisi economica spinge i cittadini a rivalutare anche il lavoro di quest’ultimo governo: alle elezioni di medio termine del 14 novembre 2021 la coalizione liberale di Juntos por el cambio (JxC) ha conquistato il 42,19% dei voti, contro il 33,83% del centro-sinistra. L’opposizione guadagna consensi, riproponendo lo scontro tra politiche espansive e austerità che in Europa ha dominato la doppia crisi 2008-2012, ma che in Argentina ha cause ed economia diverse.
A testimoniare la posizione dell’opposizione liberale sono Matías Rosales e Milagros Caneda. Matías è militante per il partito dell’opposizione Juntos por el Cambio di Mauricio Macri, e studente di Relazioni pubbliche. Milagros, neolaureata in legge presso l’Università di Buenos Aires, è un’ex funzionaria per il Ministero dello sviluppo durante il mandato di Macri (dal 2015 al 2019). Entrambi sono quindi legati a Juntos por el cambio, la coalizione di centrodestra creata nel 2019 per competere nelle elezioni legislative dello stesso anno e ottenere la ricandidatura dell’allora presidente Mauricio Macri (obiettivo non raggiunto a causa della vittoria del fronte peronista Frente de Todos). Costituisce un allargamento dell’alleanza Cambiemos dello stesso Mauricio Macri che vinse le elezioni nel 2015, uno schieramento politico di matrice liberale ispirato a ideali repubblicani e socialdemocratici.

La battaglia ideologica: tutti peronisti
Nella scena politica, sia in Argentina sia al di fuori del Paese, la figura di Perón è tuttora molto discussa. Sono passati quasi cinquant’anni dalla sua morte ma le sue scelte politiche suscitano ancora sentimenti contrastanti. All’epoca Perón ha goduto di ampio consenso popolare perché la sua ideologia di matrice populista-assistenzialista poneva al centro dell’attenzione il benessere della classe lavoratrice. Racchiudeva valori e aspirazioni che idealmente dovrebbero essere inconciliabili, ideali socialisti e populisti accostati a valori affini a quelli dell’autoritarismo e del fascismo. La politica di Perón si posiziona a metà tra capitalismo e comunismo: il mix ideale per riuscire a industrializzare il Paese e introdurre allo stesso tempo misure sociali a sostegno della popolazione meno abbiente.
È proprio questo sincretismo il motivo per cui il termine peronista è utilizzato per additare formazioni politiche sia di destra che di sinistra. Infatti, entrambi i nostri intervistati si dichiarano sostenitori del peronismo iniziale, ma non del peronismo che è andato formandosi negli ultimi decenni. «Se fossi nato in quell’epoca probabilmente anche io sarei stato peronista, ma il peronismo di oggi non è comparabile a quello originale». Matias conferma così che il concetto stesso di peronismo sembra essersi notevolmente evoluto con il passare del tempo sino a essere utilizzato con una connotazione negativa. Anche le parole di Milagros sono molto chiare: «la differenza più drastica tra il peronismo originale e quello strumentalizzato dal contesto attuale è che il peronismo di oggi non rappresenta più il popolo che rappresentava prima, bensì lo usa». Infatti l’intervistata afferma che, alla luce del malcontento causato dalle politiche restrittive di Macri, l’azione propagandistica della sinistra peronista degli ultimi anni per recuperare e mantenere il potere è stata quella di aumentare la porzione di cittadini beneficiari dei sussidi statali, in modo da assicurarsi più voti alle elezioni.

Secondo Milagros «il peronismo oggi è un concetto difficile da definire. All’inizio si trattava di un partito con idee molto interessanti e sotto alcuni aspetti veramente all’avanguardia. Perón era una figura molto popolare, ma il problema è che la sua ideologia è diventata ripetitiva. Considerando il lunghissimo periodo durante il quale il peronismo ha governato il Paese, bisogna chiedersi com’è possibile che dopo così tanto tempo l’Argentina abbia ancora gli stessi identici problemi. È un circolo vizioso, e qualcosa non sta funzionando». Quindi, secondo una parte dello spettro politico il peronismo è causa delle difficoltà economiche che l’Argentina vive oggi. Non nella sua forma iniziale, ma nella versione introdotta da Cristina Kirchner, presidente dal 2007 al 2015, la quale ha introdotto una serie di politiche di stampo fortemente populista-assistenzialista che hanno condotto l’Argentina in una fase di acuta recessione (tra queste la nazionalizzazione delle Aerolíneas Argentinas e dei fondi pensionistici, l’aumento delle imposte di esportazione della soia – prodotto di estrema importanza per gli agricoltori locali). È quindi contro questa forma socialdemocratica di peronismo che l’opposizione di destra punta il dito. Milagros ci riferisce che il governo attuale, presieduto da Alberto Fernández, definito dalla stampa nazionale e internazionale come “peronista moderato”, «ha delle basi peroniste ma è considerato Kirchnerista in quanto concretamente tali basi si differenziano molto da quelle a cui si ispirava Perón inizialmente.

Se chiedi a un sostenitore del governo attuale (o di quello di Cristina) se il kirchnerismo sia uguale al peronismo, quella persona ti risponderebbe che il kirchnerismo è la sua superazione. Noi conosciamo il peronismo per come lo leggiamo nei libri, ma il kirchnerismo lo stiamo vivendo, e secondo me sono più le differenze che le similitudini. Il kirchnerismo è un partito molto più vendicativo, che non collabora con il resto delle formazioni politiche. Sono persone che dicono che la patria è il prossimo, che bisogna lavorare insieme e difendere il popolo, però sono le stesse persone che poi votano in blocco senza valutare la qualità delle idee che vengono proposte in aula. Credo che nella storia dell’Argentina non ci sia mai stato un governo tanto corrotto e capriccioso. Quando le cose non vanno come vogliono loro, non fanno autocritica e non riesaminano le proprie mosse per capire dove hanno sbagliato, ma piuttosto danno la colpa all’estero, al popolo… e oggi alla pandemia».
Una vice ingombrante: Cristina Kirchner è ancora al vertice
Le principali cause che hanno intaccato l’immagine del peronismo fanno capo alle politiche della ex presidente Cristina, la quale ha scelto di emettere grandi quantitativi di moneta e di tassare ancor più l’esportazione dei prodotti agricoli, nel tentativo di risolvere i problemi con il finanziamento sui mercati e sostenere i dispendiosi piani sociali per diminuire la povertà e mantenere la propria popolarità. Milagros ci dice che «la popolarità dei peronisti/kirchneristi dipende dal fatto che propongono una visione di un “mondo migliore”: salari più alti per i lavoratori, aiuti per i poveri, piani sociali per uscire dalle situazioni di disagio, incentivi all’industria nazionale, ecc. L’idea di un mondo migliore fa gola a tutti e queste politiche suonano bene, ma come si possono attuare in modo sostenibile? Dopo le ultime elezioni i peronisti hanno ottenuto pochi voti, e cosa hanno fatto? Hanno dichiarato di voler ampliare la porzione di popolazione che ha diritto a ricevere i sussidi statali. Questo, in breve, vuol dire “ti compro, dandoti dei soldi con un sistema di assistenza, però poi non mi preoccupo di come tu userai questi soldi”, il che è come un premio per non fare nulla».
Anche secondo Matias l’ala socialista nazionale si è contraddistinta per aver «sporcato l’immagine del peronismo». Il motivo principale che sta a capo di questi sentimenti ostili contro i rappresentanti del peronismo moderno è la corruzione che ha caratterizzato gli ultimi mandati di questa fazione. A partire dall’ex presidente defunto Nestor Kirchner, la moglie Cristina e oggi Fernandez, la cui vicepresidente è proprio Cristina. Matias riferisce che «la corruzione e le effrazioni di questi governi hanno macchiato i nomi del peronismo. Perón era un migliore oratore, un migliore rappresentante, e il Paese crebbe. Il Kirchnerismo invece ha portato il Paese a un alto livello di corruzione». Le cause legali ancora aperte contro Cristina stanno a testimoniare l’opacità con la quale lei e l’ex marito, presidente dal 2003 al 2007, hanno condotto i propri affari. Stiamo parlando di scandali relativi a presunti scambi di tangenti per l’assegnazione di lavori pubblici, riciclaggio di denaro e occultamento di documenti storici. Cristina è attualmente senatrice, dunque è protetta dall’immunità parlamentare ed eventuali condanne potranno essere revocate con il consenso della maggioranza dei senatori. Dunque, il mantenimento della propria poltrona è nel pieno interesse della vicepresidente, e per assicurarlo è sicuramente necessario il supporto del popolo.

Malgrado il fallimento del primo mandato, oggi il centrodestra sembra avere una seconda chance
Milagros e Matias sono soltanto due delle voci che dall’opposizione che spera che le elezioni di medio termine del novembre 2021 possano preannunciare la svolta verso destra a livello nazionale: gli argentini sembrano propensi a voler dare una seconda possibilità alla coalizione di opposizione sia in Senato che alla Camera, anche se il precedente governo liberale ha fallito nel suo intento. Infatti, la breve parentesi del governo di Macri dal 2015 al 2019 non è riuscita a risollevare il Paese: durante la sua presidenza il debito pubblico ha raggiunto il 90% del PIL e le continue svalutazioni hanno alimentato l’inflazione e indotto i governanti a chiedere prestiti, puntualmente mal gestiti, al Fondo Monetario Internazionale. Il primo governo macrista quindi non ha riscosso il successo che si pensava. È stato l’unico presidente ad aver ottenuto l’incarico dopo un governo peronista e averlo nuovamente perso a favore dei peronisti dopo solo un mandato. Macri non è riuscito a conquistare il cuore degli argentini principalmente a causa delle politiche di austerità implementate per contenere l’inflazione e alleviare il peso del debito pubblico derivante dall’amministrazione precedente. I tagli ai sussidi per i servizi pubblici ha provocato uno degli aumenti dei prezzi delle tariffe pubbliche più notevoli di sempre (secondo la BBC), la liberalizzazione del tasso di cambio della moneta ha provocato una svalutazione del peso argentino del 40%, l’aumento dei tassi di interesse fecero perdere il controllo sulla quotazione del dollaro e sull’inflazione, il PIL scese di oltre il 2% (2,1%, 2,5%, 2,2% rispettivamente nel 2016, 2018, 2019) per tutta la durata del mandato (eccetto nel 2017, in cui crebbe del 1,6%). Quindi, malgrado le buone intenzioni il risultato è stato una popolazione più povera e un paese in recessione. Siamo costretti a parlare ancora oggi di crisi economica argentina perché la situazione sembra non migliorare: il settore economico è precario da decenni e questo è un sintomo di problemi strutturali del sistema socio-politico ed economico del paese argentino fedelmente costruito e fortificato nel tempo dai vari governi di centrosinistra, difficilmente scardinabile in un solo mandato di quattro anni.
Abbiamo chiesto allora agli intervistati quali fossero le criticità della vita quotidiana e cosa si aspetterebbero da un ipotetico ritorno dell’opposizione rappresentata dalla coalizione Juntos por el cambio. Matías riferisce che «i giovani si stanno rendendo conto che questa non è la strada giusta. Questo ingranaggio è contaminato, rotto, e non si regge più in piedi: i prezzi aumentano ogni giorno ma i salari no. Ogni giorno per non essere povero serve di più. Molti giovani stanno lasciando il Paese perché hanno capito che qui non funziona, e che si perda tutto questo potenziale in un Paese così ricco mi rattrista molto. È necessario un cambio politico, l’ingresso di nuove personalità in politica con nuove idee e soprattutto risposte diverse alle nostre esigenze. Mi fa arrabbiare che molti politici non si impegnino per il popolo e per i giovani, che abbiano tanti affari illegali, che i nostri lavoratori professionisti lascino il Paese per salari migliori, che non si riesca a trovare una soluzione che risolva i problemi sin dalla radice. Abbiamo bisogno di questo: un cambio radicale. Macri è la speranza di molti, soprattutto le persone della classe media e forse anche di quella alta. Il suo governo è stato di per certo più trasparente ed è stato capace di investire denaro in infrastrutture concretamente utili al riscatto del Paese». Secondo Milagros «il problema del nostro paese è che non riesce ad attrarre investimenti esteri. I default e il debito pubblico danno agli investitori esteri l’idea che l’Argentina non sia in grado di mantenere la sua parola. Una questione che mi fa arrabbiare quindi è che i governi chiedono continuamente prestiti all’estero, però non delineano un piano per ripagarli e piuttosto introducono piani sociali che abituano la popolazione al sussidio statale. La questione dei prezzi è un altro macigno. Non è possibile che in un Paese produttore di carne mangiare asado sia un privilegio. Mi chiedo continuamente quale sia il senso di dare sussidi alle famiglie perché i figli possano andare a scuola se poi il denaro non basta in primis per poter mangiare tre volte al giorno. Credo che l’unica colpevole qui sia la casta politica».
Quale il futuro del paese? Secondo l’economista Joseph Stiglitz, le politiche di austerità del Fondo Monetario durante il governo liberale Macrì hanno fallito. Ora, mentre l’economia reale cresce – un “miracolo Argentino” dell’economia durante il COVID – l’elevato indebitamento continua a esporre il Paese ad attacchi speculativi.
Samantha Wright
Fonte immagine di copertina: Time