ISIS prigionieri Siria attacco

L’ISIS colpisce ancora, ma c’è chi resiste

Il 20 gennaio 2022 si è verificato il più grande attacco coordinato dall’ISIS dallo scioglimento del califfato con la caduta dell’ultima roccaforte nel 2019. L’attacco alla prigione di Sina’a, nel distretto di Ghwiran della città di Al-Hasakeh, in Siria, è iniziato alle 19.30 circa con l’esplosione di un’autobomba fuori dalle mura della prigione, contemporaneamente i militanti dell’IS fuori dall’edificio hanno iniziato a sparare da più direzioni con armi pesanti, come dichiarano le Forze Democratiche Siriane (SDF), cioè l’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache che hanno il controllo dei detenuti appartenenti allo Stato Islamico.

Circa 300 militanti dello Stato Islamico hanno assaltato la prigione cercando di far evadere diverse centinaia di detenuti nel più grande carcere a guida curda. Nella prigione di Sina’a si trovavano circa 4.000 persone, tra cui 700 minori tra i 12 e i 17 anni legati all’ISIS. Questo attacco ha scatenato uno scontro armato durato sette giorni tra i militanti dello Stato Islamico e le SDF, insieme alle forze della coalizione internazionale guidate dagli Stati Uniti che hanno lanciato attacchi aerei per sostenere gli alleati curdi, come ha confermato il Pentagono venerdì sera.

“L’attacco è stato preceduto da un’autobomba”, conferma Nûrhat Hesen, giornalista di Qamişlo presente sul luogo e intervistato per The Bottom Up. “Questa esplosione ha aperto la strada all’attacco vero e proprio, in cui i militanti dello Stato Islamico hanno circondato gli edifici, uccidendo molte guardie carcerarie e prendendo il controllo del carcere. Questa situazione ha permesso a molti membri dell’ISIS che si trovavano detenuti di evadere e rifugiarsi nei quartieri di Ghweran e al-Zohour”.

Le cellule che hanno attaccato la prigione, insieme a molti dei detenuti, hanno aperto uno scontro con le SDF, che ha comportato la morte di quasi 300 persone, tra cui 251 militanti dello Stato Islamico, 27 membri delle forze curde e 7 civili, come dichiarato dalle Forze Democratiche Siriane.

Il 26 gennaio il portavoce delle SDF Farhad Shami ha annunciato tramite il suo profilo Twitter che l’operazione è terminata con l’intero controllo delle Forze Democratiche Siriane sulla prigione di al-Sina’a nella città di Al-Hasakeh e la resa di circa 3.500 terroristi coinvolti nell’ultimo ammutinamento. La maggior parte dei detenuti che erano riusciti a scappare dalla prigione sono stati arrestati nuovamente dalle forze curde, ma sono state avviate operazioni approfondite di perlustrazione nel carcere e nei quartieri della città e il Rojava Information Center annuncia che sono tutt’ora in corso irruzioni e operazioni di controllo in tutti i quartieri che circondano il carcere.

Detenuti che si sono arresi il 26 gennaio 2022. Fonte: SDF Press Center

La resistenza civile continua

Durante l’attacco alla prigione “i terroristi si sono ampiamente diffusi anche nei vari quartieri della città” sostiene Nûrhat Hesen, usando le case dei civili come basi per sostenere i loro attacchi e uccidendo almeno cinque persone. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari stima che circa 5.000 persone sono rimaste bloccate nell’area delle ostilità, cioè i quartieri di Ghweiran e Al Zouhour e circa 45.000 persone sono state sfollate in altre zone della città e nelle aree limitrofe. Inoltre il 24 gennaio è stato annunciato un blocco completo per la città e un coprifuoco parziale per il resto del Governatorato dalle 18:00 alle 06:00 senza che siano consentiti spostamenti tra le città. Mentre alcuni civili rimasti nella zona interessata dagli scontri hanno organizzato ronde per proteggere la propria comunità.

Cittadini che pattugliano il proprio quartiere nella notte del 23 gennaio. Fonte: Rojava Information Center

Tra i gruppi di persone impegnati a proteggere il proprio territorio c’è il Kongra Star Women’s movement, cioè  il congresso del movimento delle donne nel nord e nell’est della Siria fondato per la prima volta nel 2004 come organizzazione clandestina che cercava di coordinare le donne in un periodo di dominio del regime del Ba’th sull’area.

“Kongra Star è un movimento nato come organizzazione volontaria di donne che hanno come idea quella di proteggersi tra di loro e proteggere la propria comunità di appartenenza” afferma Muna Yuosf, membro di Kongra Star Hesekê intervistata per The Bottom Up, aggiungendo che il movimento si basa sul confederalismo, e che l’obiettivo è quello di creare un Rojava libero, una Siria democratica e un Medio Oriente democratico, promuovendo la libertà delle donne e del popolo. “L’organizzazione è composta da normali cittadine che si occupano di diversi settori, ci sono donne attiviste che lavorano in politica, mentre altre sono casalinghe che si battono per portare avanti i valori in cui crediamo attraverso la vita di tutti i giorni”. Infatti, in molte città, il movimento è responsabile del coordinamento, dell’attuazione e della supervisione delle decisioni e delle politiche di diverse istituzioni e assemblee decisionali. Nella loro lotta del movimento di rivendicazione di diritti e di protezione della comunità dai soprusi di un sistema patriarcale e violento, si inserisce anche la lotta contro lo Stato Islamico, che, secondo Yuosf, rappresenta una “organizzazione che sopprime i diritti delle persone e soprattutto delle donne”.

Pêncwîn Ali dell’organizzazione delle donne del Nord Est della Siria, il 24 gennaio 2022. Fonte: pagina Facebook del Movimento Kongra Star.

Dal 2005 queste donne sono state in grado di espandere i propri ideali e da un gruppo iniziale di dieci sono diventate un movimento esteso su un’ampia percentuale del territorio siriano, con lo scopo di organizzare la società in modo democratico e solidale. Infatti negli anni si sono impegnate a creare diversi comitati di educazione per le donne, di tutela della salute, ma anche di auto difesa attraverso gruppi misti di uomini e donne che hanno ricevuto un particolare addestramento per la difesa armata. Questi comitati hanno avuto, e continuano ad avere, un ruolo fondamentale anche nel recente attacco da parte dello Stato Islamico attraverso la resistenza sia fisica che ideologica. “L’obiettivo dell’attacco” sostiene Muna Yuosf, “era molto più ampio della semplice liberazione dei detenuti. Il loro obiettivo è quello di creare delle tensioni per sfavorire il clima di pace che si stava creando in questo territorio. I membri di Daesh non vogliono che si instauri un regime democratico e, anche attraverso questi attacchi, cercano di impedire la diffusione di un clima di democrazia e libertà”. Yuosf continua affermando che le donne hanno un ruolo centrale nella resistenza contro lo Stato Islamico; infatti, dopo questo attacco si sono organizzate per resistere e per “pulire la città da Daesh”, riuscendo a riavere il controllo, “ma questo non significa che l’ISIS sia finito”.

“Noi resisteremo, anche se non abbiamo il sostegno né del governo siriano, né della comunità internazionale, alla quale vengono fatti continuamente richiami per alleggerire il peso dei prigionieri e rimpatriare i propri cittadini”. Inoltre, quando la battaglia tra i combattenti dello Stato Islamico che hanno assaltato la prigione di Sina’a e le Forze Democratiche Siriane si è conclusa, il portavoce Farhad Shami ha affermato con chiarezza di avere “urgente bisogno di nuove prigioni, che siano più grandi, più sicure e più lontane dalle aree residenziali”.

L’organizzazione Stato Islamico, quindi, non è morta, ma tenta con i mezzi in suo possesso di far sentire la sua presenza. Nessuno ha dimenticato la brutalità con cui agisce, ma la resistenza civile non si abbatte e continua a fare del proprio meglio per non soccombere alla violenza.

Anna Toniolo

Foto di copertina: Rojava Information Center

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