My body, their choice: la lotta delle donne in Argentina

My body, their choice: la lotta delle donne in Argentina

, di Lucy D’Cruz, il quale è stato inserito nella programmazione online del 4 ottobre. Lungometraggio che racconta fino alla 14esima settimana di gestazione, ma la sua legalizzazione è frutto di un susseguirsi di battaglie politiche e ideologiche. La regista Lucy D’Cruz, insieme a Andrew Gold, giornalista della BBC, nel documentario , quando il parlamento fu chiamato per la prima volta a votare sulla legge a favore della legalizzazione dell’aborto, che non passò al Senato: . Il Paese, soprattutto nelle settimane antecedenti al voto, era distrutto, diviso in due fazioni: da una parte i fazzoletti blu, un’elite cattolica tradizionalista che considera l’aborto un omicidio; dall’altra, i fazzoletti verdi, un crescente movimento di donne che combattono per il diritto a un aborto sicuro e legale. Una delle figure ricorrenti è Mariana Varela, attivista anti-abortista, conosciuta nel paese con il nome di Crazy Baby Lady a causa dei suoi feti di plastica che porta con sé nelle manifestazioni pro life per dimostrare l’idea secondo cui un feto è un bambino, dunque l’aborto è omicidio, e la vita non è una scelta. Dal dialogo con il giornalista Gold si può certamente notare la passione di Varela e l’attaccamento alle sue idee e posizioni; persino in caso di stupro, persino se la ragazza fosse sua figlia, Varela rimane convinta e “non ucciderebbe mai suo nipote”. non soltanto per le sue idee anti-abortiste, ma anche perché le sue posizioni confliggono con alcuni aspetti controversi relativi all’operato della sua famiglia durante la dittatura degli anni 70’ in Argentina: suo padre, Alberto Rodriguez Varela, infatti, è pubblicamente accusato di essere complice della tortura e delle sparizioni, nonostante Mariana Varela precisi che non ci siano state alcune accuse penali. Nonostante il forte impatto del movimento pro life, e nonostante l’aborto non fosse legale se non fino a pochi mesi fa, le interruzioni di gravidanza clandestine in Argentina sono numerorissime, effettuate in costose cliniche private oppure in strutture che non rispettano le norme di sicurezza, mettendo a repentaglio la salute delle donne. La seconda intervistata, infatti, è proprio un’espatriata irlandese che ha subito un aborto illegale; per evitare che venga arrestata o espulsa dal paese, la sua identità resta anonima. Dopo aver scoperto di essere incinta, ha chiesto in ospedale quali fossero le sue opzioni, ma . E’ stata quindi costretta a recarsi in una clinica privata per avere una pillola abortiva, ma l’unica cosa che ha ricevuto è stato un video in cui la si voleva convincere che stava uccidendo il suo bambino, e stava compiendo l’errore più grande della sua vita. Alla fine, tramite contatti di famiglia, ha potuto effettuare l’aborto solamente pagando 1000 dollari e rischiando la propria vita Per indagare sul ruolo di queste strutture, gli autori si recano in una finta clinica per aborti il cui fine non è di aiutare le donne che vogliono abortire, ma di scoraggiarle, perchè dopotutto “sono le madri del bambino, e c’è sempre un’altra via oltre l’aborto”. il motivo è prettamente religioso, non c’è una razionalità, ma non si può imporre questa scelta a tutta l’Argentina. Se una donna vuole abortire, allora lo fa, ma non è possibile che ciò avvenga in condizioni inadeguate, e non è compito di una persona al senato decidere se può abortire o meno”. Molto spesso, infatti, secondo la dottoressa, viene dimenticata la facoltà e il diritto di scelta della donna, essendo la sua vita ciò di cui si sta decidendo; ci si concentra molto sul feto e sul bambino, dimenticandosi ciò che prova e vuole la donna. Verso la fine del documentario, le immagini mostrano come, arrivati al giorno della votazione, fuori dal Senato la tensione tra i due movimenti è sempre più forte e in alcuni casi persino pericolosa, tanto che è intervenuta la polizia a sparare cannoni ad acqua e gas lacrimogeni sulla folla. Il verdetto del 2018 vede vincitori il movimento pro life, con il movimento dei fazzoletti verdi che non si dà per vinto ed è convinto di continuare a lottare, speranzoso. Il lavoro combinato del giornalista Gold e della regista D’Cruz funziona armoniosamente: Gold ci insegna che, a prescindere delle proprie idee, rimane fondamentale il rispetto e il confronto con il proprio interlocutore .  D’Cruz riesce invece, nonostante un tema così delicato, a raccogliere e raccontare tutte le voci e i protagonisti della storia, farli dialogare tra di loro creando un dibattito e un confronto, evitando così un racconto di parte e una presa di posizione troppo netta, lasciando spazio allo spettatore per decidere se e come posizionarsi.