Incendi Turchia 2021

La tremenda estate turca: tra cambiamenti climatici e profitto

Ondate di mucillagini, incendi, alluvioni: se l’estate di tutta l’area mediterranea è stata caratterizzata da catastrofi naturali, la Turchia più di altri Paesi ha assistito alle più disparate manifestazioni del cambiamento climatico.

Maggio 2021: la mucillagine invade il mar di Marmara

Difficile imputarle ad altra causa: è la fine di maggio quando il mar di Marmara che lambisce anche la costa di Istanbul si riempie di mucillagine. Uno strato profondo 30 metri uccide molte delle forme di vita presenti in mare e diffonde nell’aria un odore acre e nauseabondo. Il Ministero dell’Ambiente e dell’Urbanizzazione provvede ad una massiccia campagna di pulizia per evitare la proliferazione della sostanza grigiastra, talmente vischiosa da sembrare uno strato di cemento, e sebbene il fenomeno fosse stato principalmente provocato dalle temperature elevate, una parte della responsabilità è da attribuire all’inquinamento dovuto agli sversamenti selvaggi di acque reflue non purificate.

Mucillagine nel mar di Marmara ©Ansa via tg24.sky.it

Luglio 2021: gli incendi sulla costa dell’Egeo

Quello della mucillagine è un episodio che l’opinione pubblica ha politicizzato meno rispetto agli incendi che hanno colpito la zona dell’Egeo esattamente due mesi dopo. Circa 200 focolai hanno interessato 33 province del sud-ovest del Paese distruggendo 13mila ettari di bosco e uccidendo 8 persone. Anche in questa occasione si è condannata l’incuria umana, ma soprattutto si è da subito criticata la gestione governativa dell’emergenza. Infatti, pur ammettendo che le peculiarità di quei territori non abbiano agevolato gli interventi di soccorso via terra, la quantità di canadair si è da subito rivelata insufficiente. Come riportato da Sebnem Gumuscu sul Washington Post, fino al 2019 in Turchia questo tipo di incendi era stato efficacemente controllato dalla THK (l’Associazione Aeronautica Turca) una ONG fondata dallo stesso Mustafa Kemal Atatürk nel 1925 per potenziare il settore dell’aviazione. Di recente, però, un appalto della Direzione Generale Forestale ha modificato gli standard richiesti dai velivoli impiegati, parametri che i mezzi della THK non sono più riusciti a garantire. La decisione è stata interpretata come un tentativo di allontanamento della THK da parte dell’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito della Giustizia e dello Sviluppo) del Presidente Erdoğan, tentativo riuscito che ha, però, causato l’impreparazione del Paese davanti alla diffusione degli incendi. Anche la richiesta di aiuti da Paesi terzi è stata giudicata tardiva. Russia, Iran, Ucraina, Azerbaijan, Spagna e Croazia hanno messo a disposizione alcuni dei loro mezzi per fronteggiare l’emergenza dopo l’appello internazionale che Erdoğan ha lanciato solo il 2 agosto.

Non si può negare che dopo il tentato colpo di Stato del 2016, il libero arbitrio di qualunque associazione sul territorio turco sia stato molto limitato da controlli e restrizioni. Così come non si può non considerare la tendenza governativa alla privatizzazione delle risorse naturali e dei beni pubblici.

Alla ricerca di testimonianze dirette dai luoghi colpiti dagli incendi, è stata dura trovare qualcuno che volesse raccontare a The Bottom Up  la sua esperienza, per paura di ritorsioni da parte del governo. C’è un certo timore nell’ammettere che, forse, questi incendi non siano solo dovuti al surriscaldamento globale e che, se anche lo fossero, c’è chi non ha perso tempo ad approfittarne.

Villaggio di Cokertme, vicino alla città di Bodru,, Turchia. 2 agosto 2021. Foto: AP via Euronews

S. vive a Istanbul, ma ha molti amici nelle zone che sono state interessate dagli incendi e pensa che, sotto sotto, la maggior parte dei  turchi creda che il governo possa essere stato causa stessa del propagarsi degli incendi. “Forse parla la rabbia, ma non è un po’ strano che alcune grosse aziende di costruzione filo-governative, che da sempre hanno mire sulla costa dell’Egeo, abbiano già avuto il permesso di edificare sui territori bruciati e andati persi? Il profitto viene sempre prima di ogni cosa qui in Turchia, ed è semplice prendersi gioco di chi ha perso tutto promettendo case da sogno – che questa gente dovrà comunque ripagare negli anni – solo per costruire altri alberghi di lusso lì dove c’erano i boschi”.

S. si riferisce ad un Decreto Legislativo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ad un giorno di distanza dallo scoppio dell’emergenza, lo scorso 28 luglio. Il decreto effettivamente concede territori fino ad allora protetti per avviare investimenti edilizi che non tengono conto di eventuali ripercussioni sull’ambiente. Dopo 48 ore, invece, è arrivata un’altra proposta che riguarda prestiti e agevolazioni per le ricostruzioni: ci sono già le planimetrie, elaborate in tempi record da TOKI (in turco Toplu Konut İdaresi Başkanlığı) l’amministrazione per lo sviluppo edilizio che si occupa di progetti abitativi di massa sin dal 2002. Le foto dei progetti sulle future case che sostituiranno quelle andate perse sono state pubblicate su Twitter il 31 Luglio dall’account ufficiale di TOKI, accompagnate dalla didascalia: “Ci siamo mobilitati per cancellare gli effetti dell’incendio. Abbiamo preparato progetti per la ricostruzione dei villaggi, in conformità con l’architettura locale”. La condivisione ha suscitato grosse polemiche: ad esempio, il giornalista Emin Çapa ha ipotizzato che i progetti fossero stati elaborati ben prima degli incendi, sottolineando il fatto che non sia stata indetta alcuna gara d’appalto, mentre il professore Mehmet Köksal ha ribadito l’importanza di non coprire immediatamente le tracce del fuoco per poter indagare sulle cause scatenanti degli incendi. Perché nessuno ha ipotizzato una riforestazione di quelle aree?

Agosto 2021: frane ed alluvioni nelle regioni del mar Nero

Prima che si potesse continuare a discutere degli incendi appena spenti, un’inondazione senza precedenti ha distrutto il nord della Turchia, lungo le sponde del mar Nero, tra l’11 e il 15 agosto. Evento che ha devastato le province di Kastamonu e Sinop, ha portato molti palazzi a collassare su se stessi a Bozkurt, città che è stata inghiottita dall’esondazione del fiume Ezine e dalle frane sui monti Küre. Più di 80 morti registrate e centinaia i dispersi in quella che lo stesso Ministro dell’Interno Süleyman  Soylu ha definito “la peggiore inondazione della storia del Paese”, sebbene la regione sia avvezza alle piogge consistenti.

Veduta area di una zona vicina a Kastamonu, distrutta da un’inondazione. 11 agosto 2021. Foto: Demiroren News Agency DHA/AFP via Al-Monitor

In quei giorni, il rapporto sul clima delle Nazioni Unite ha confermato gli effetti sempre più importanti dell’innalzamento delle temperature, ma, anche in questo caso, gli esperti si raccomandano di non utilizzarlo come capro espiatorio. Il dott. Mikdat Kadıoğlu, professore nel Dipartimento di Ingegneria Meteorologica dell’Università Tecnica di Istanbul (ITU) e  membro della Facoltà del Centro di gestione dei disastri, ha affermato a BBC Turkiye che, sì, le precipitazioni sono aumentate e soprattutto il loro regime si è modificato, ma diventano pericolose solo se persone e strutture sono esposte e vulnerabili. Non c’è un vero e proprio controllo che vieti la costruzione a ridosso dei letti dei torrenti o delle aree di frana, aumentate a causa del disboscamento. Al Jazeera ha raccolto le testimonianze dei residenti che lamentano, ancora una volta, l’impreparazione delle autorità che non li hanno evacuati preventivamente. Tempestiva, invece, è stata la decisione di avviare una raccolta fondi per le popolazioni colpite, condotta dall’AFAD, la Presidenza per la Gestione delle Emergenze e dei Disastri. Tuttavia, l’opinione pubblica, ha ritenuto che i fondi ministeriali fossero più che sufficienti, trovando ingiusto che i turchi pagassero di tasca propria i danni causati da un governo che sperpera i soldi dei contribuenti “aiutando altri Paesi in difficoltà quando non può permetterselo”.

Già il 23 luglio, un altro nubifragio aveva ricoperto di acqua e fango le strade di Rize dove il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha le sue radici. In quel caso, Erdoğan aveva visitato i luoghi colpiti annunciando i nuovi progetti abitativi con TOKI: “Costruiremo più di 500 case seguendo l’architettura del luogo, con un fienile sottostante e la casa in cima. E costruiremo anche 5 case del tè”. Rize e dintorni sono conosciuti soprattutto per la loro produzione di foglie di tè, che Erdoğan ha distribuito come fossero caramelle gettando bustine “di stoffa ecologica” dall’autobus che lo trasportava. “Abbiamo protetto la natura affidataci dal nostro Signore, dalla campagna di imboschimento ai nostri progetti a rifiuti zero, con opere originali che abbiamo portato avanti in ogni campo. Oggi, chiunque abbia una coscienza coscienza apprezza i risultati conseguiti dalla Turchia nell’urbanizzazione e nelle infrastrutture” ha aggiunto il presidente Erdoğan nella stessa occasione. E se fosse proprio questo il punto? Se gli sforzi nell’urbanizzazione fossero di gran lunga più ingenti di quelli per ridurre l’impatto ambientale?

Turchia e ambiente: a che punto siamo?

La Turchia infatti è l’unico Paese del G20 – e il solo insieme ad Iraq, Libia, Iran, Yemen ed Eritrea – ad aver firmato, ma non aver ratificato gli Accordi di Parigi sul clima, anche se il presidente Erdoğan ha affermato che l’accordo sarà presentato al parlamento turco per l’approvazione il mese prossimo. Se è noto, come scrive The Arab Daily, che la Turchia non sia popolata da “gente a cui piace abbracciare gli alberi”, da Gezi Park al Kanal Istanbul ancora in fieri, sono tanti i cosiddetti “mega-progetti” del governo che hanno messo a repentaglio la salute della terra, dell’aria e del mare – e perfino la memoria storica, nel caso di alcuni ritrovamenti archeologici. Secondo il rapporto dell’OECD sul comportamento ambientale della Turchia (datato 2019), il Paese sembra aver aumentato, anziché diminuire, la produzione dei gas serra, e il combustibile fossile rappresenta ancora l’88% dell’apporto energetico, nonostante l’enorme potenziale per le energie rinnovabili. Inoltre, la Turchia tuttora non ha un piano nazionale per il riciclo dei rifiuti: infatti, il 90% di questi finisce in discarica così com’è, contro il 42% della media dei Paesi OECD. Sebbene lo Zero Waste Project, fortemente promosso dalla first lady Emine Erdoğan nel 2017, preveda di raggiungere il 60% di rifiuti riciclati solo entro il 2035, il piano di ridimensionare l’energia prodotta da combustibile fossile al 25% entro il 2023 sembra davvero un miraggio.

Paradossalmente, la Turchia è tuttora il maggior importatore di plastica al mondo, come ha denunciato Greenpeace a Maggio scorso dopo aver scoperto alcuni roghi di rifiuti provenienti da Germania e Regno Unito. “L’importazione di plastica dall’Europa alla Turchia non è un’opportunità economica, ma un rischio ambientale. Il passaggio incontrollato di rifiuti plastici verso la Turchia va solo a peggiorare i problemi già presenti nel Paese” ha affermato Nihan Temiz Ataş, a capo dei progetti di biodiversità per Greenpeace in Turchia. “Circa 241 carichi di plastica vengono scaricati qui ogni giorno, travolgendoci. Da quello che possiamo vedere sia dai dati disponibili che dall’esperienza sul campo, siamo la più grande discarica di plastica d’Europa”. Riuscirà un semplice schema di vuoto a rendere – che entrerà in vigore da Gennaio 2022 –  a fare un piccolo, ma concreto passo in avanti che possa quantomeno ridurre l’impatto catastrofico causato dall’inquinamento dell’aria, del suolo e del mare? 

I cittadini e le cittadine turche hanno quindi una grande sfida davanti a sè: cercare di salvare la propria terra da eventi tanto catastrofici come quelli della scorsa tremenda stagione.

Eleonora Masi

Foto di copertina: AP via Al Jazeera

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