Sono pochi i chilometri che separano i campi profughi, formali e informali, della Bosnia dall’Unione Europea. Pochi chilometri che segnano una frontiera pressoché aperta per i cittadini con passaporto UE, pericolosa e quasi invalicabile per chi in tasca ha il documento “sbagliato”. Per chi scappa dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Siria e, a piedi, cerca di raggiungere i Paesi europei sperando che lì i propri diritti saranno, finalmente, tutelati. È l’ultima tappa della rotta balcanica, il “the game”, l’azzardo finale che segnerebbe l’approdo a una speranza di futuro dopo mesi di viaggio.
Le violazioni dei diritti umani, però, al confine tra Bosnia e Croazia sono all’ordine del giorno. Contro le persone migranti, contro le associazioni e chi agisce solidarietà, fino a coinvolgere – in maniera non violenta – anche una delegazione di Europarlamentari italiani del Partito Democratico (gruppo S&D). Il gruppo – composto da Brando Benifei, Pietro Bartolo, Pierfrancesco Majorino e Alessandra Moretti – è partito lo scorso 29 gennaio da Bruxelles alla volta di Bihac, in Bosnia, ma che il giorno successivo è stato bloccato e rincorso dalla polizia croata che gli ha impedito di attraversare il confine.
L’obiettivo era far luce sulle violazioni dei diritti umani sulle persone migranti su quel confine così caldo, nel gelido inverno balcanico. Inaspettatamente la delegazione si è trovata essa stessa bloccata dalle forze dell’ordine di un Paese, la Croazia, che è parte dell’Unione Europea e che loro, in quanto eurodeputati, rappresentano. Un paradosso che, da solo, evidenzia il clima di esacerbata tensione che caratterizza la chiusura dei confini promossa e finanziata dall’UE stessa.
Ne abbiamo parlato con l’Onorevole Brando Benifei, classe 1986, uno dei più giovani europarlamentari italiani e capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo dal 2019.

Insieme ai colleghi Bartolo, Moretti e Majorino, hai partecipato a un viaggio in Bosnia per monitorare ciò che accade ai confini dell’Unione Europea con le persone migranti. A sorpresa, la vostra delegazione è stata respinta dalla polizia croata. Puoi raccontarci cosa è successo?
Uno degli obiettivi del viaggio era quello di osservare con i nostri occhi cosa accadesse al confine tra Croazia e Bosnia. Tuttavia, a poche centinaia di metri dal confine, una decina di agenti di polizia, armati di tutto punto, ci ha impedito di proseguire formando un posto di blocco improvvisato. Neanche l’intervento telefonico dell’ambasciatore croato in Italia è riuscito a sbloccare la situazione. La nostra insistenza ha anzi fatto irrigidire gli agenti. A quel punto ci siamo incamminati pacificamente per tentare di oltrepassare il blocco, rimanendo comunque sempre all’interno dei confini europei e dunque senza infrangere alcuna norma in vigore. Ma gli agenti ci hanno seguiti e fermati nuovamente, formando poi un cordone e impedendoci definitivamente di proseguire.
Cosa avete fatto dopo? Che tipo di spiegazione avete avuto dalle autorità croate?
Fortunatamente, a seguito della brutta esperienza con la polizia croata, la nostra missione è proseguita come previsto. Ci tengo tra l’altro a precisare che il programma della nostra visita era stato reso noto in anticipo sia alle autorità croate che a quelle bosniache. Nonostante ciò, abbiamo ricevuto gravi accuse dal Ministro dell’Interno croato, Davor Božinović, che ha insistito nel dire che volevamo in qualche modo infrangere la legge croata oltrepassando il confine. Si tratta ovviamente di falsità, un tentativo da parte delle autorità croate di strumentalizzare quanto accaduto invece di affrontare l’incessante problema delle condizioni di vita dei migranti.
Questo episodio ha sicuramente segnato la visita e catalizzato l’attenzione mediatica, ma puoi raccontarci com’è proseguita, chi avete incontrato e cosa vi hanno raccontato?
Com’è ormai tristemente noto, il nome che i migranti stessi danno ai loro tentativi di oltrepassare i confini europei è “the game”, il “gioco”. Un gioco crudele che li costringe ad attendere il buio per cercare di attraversare il confine tra Bosnia e Unione Europea. Coloro che riescono a raggiungere l’UE, arrivando in Croazia, sperano di ottenere lo status di rifugiati o richiedenti asilo. Tutti quelli che invece non riescono a passare, vengono respinti a decine di chilometri dal confine, in mezzo alla neve, spesso subendo anche il sequestro o la distruzione immotivata e illegale di telefoni cellulari e denaro in loro possesso. Negli ultimi mesi poi le condizioni climatiche, le conseguenze della pandemia e l’incendio che ha colpito il campo profughi di Lipa hanno notevolmente peggiorato le condizioni di vita di queste persone, con una risposta da parte delle autorità croate e bosniache del tutto inadeguata. Il nostro obiettivo era quello di capire effettivamente cosa stesse accadendo e portare all’attenzione delle istituzioni dell’UE e dell’opinione pubblica tutta la gravità della situazione.

Una volta rientrati, la situazione politica interna ha distolto l’attenzione da quanto continua ad accadere lungo la rotta balcanica e assorbito parte delle vostre energie. Che seguito avete dato o volete dare a questa visita?
Il nostro obiettivo di portare questo tema all’attenzione dell’opinione pubblica europea e delle istituzioni stesse è stato raggiunto, è di questo sono davvero felice. Io e miei colleghi abbiamo partecipato a numerosi eventi che ci hanno permesso di raccontare la nostra esperienza. Anche la stampa italiana si è dimostrata ricettiva a riguardo. Il rischio di un mancato seguito era ben presente, ma così non è stato.
Il 18 febbraio, infatti, anche la Commissaria Europea alle migrazioni, Ylva Johansson, si è recata in Bosnia-Erzegovina al campo di Lipa, per un viaggio di due giorni nel cuore della rotta balcanica, per discutere di come migliorare concretamente le condizioni delle persone che affrontano oggi questo durissimo viaggio. Si tratta di un primo fondamentale passo verso l’intervento diretto della Commissione Europea a cui sono orgoglioso di aver contribuito.
Non è una novità che lungo la rotta balcanica i migranti siano vittime di violenze atroci, denunciate da ONG e realtà locali, molte delle quali perpetrate dalla polizia croata. Croazia, che è stato membro dell’Unione Europea e che nel 2019 ha ricevuto una valutazione positiva da parte della Commissione e degli Stati Membri UE per la sua entrata nell’area Schengen. Nelle conclusioni di questa valutazione si legge che la Croazia avrebbe dovuto continuare “a lavorare (…) all’attuazione di tutte le azioni in corso, in particolare nella gestione delle frontiere esterne”. Come possono convivere i principi cardine dell’Unione Europea (compresi quelli della Carta europea dei diritti fondamentali) con questo tipo di gestione delle frontiere?
È evidente che alcuni Stati Membri, tra cui la Croazia, siano in grave ritardo con l’adeguamento agli standard UE di gestione dei flussi migratori. Il fondamentale lavoro delle ONG e di alcuni media molto attenti ci permette di conoscere queste situazioni di criticità, nonostante spesso le autorità tentino di insabbiarle. Recentemente sono emerse anche preoccupanti notizie riguardanti Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Occorre più monitoraggio e trasparenza da parte delle istituzioni europee, e noi parlamentari stiamo proprio cercando di fare questo, per portare poi la Commissione stessa a intervenire.
Per quanto riguarda la Croazia, il governo attualmente a capo del paese non si sta dimostrando sufficientemente ricettivo tanto delle proprie obbligazioni europee quanto degli standard di salvaguardia del benessere dei migranti che arrivano al confine croato. Credo però che con l’opinione pubblica e le istituzioni europee sempre più coscienti delle tragiche condizioni di vita dei migranti, che noi abbiamo potuto vedere in prima persona, le cose possano effettivamente migliorare, anche in Croazia.
Un altro tema fondamentale quando parliamo di gestione dei flussi migratori verso l’Unione Europea attraverso la rotta balcanica riguarda i respingimenti. Nel mese di gennaio, il Ministero dell’Interno è stato condannato proprio per questa condotta illegittima. Ma non è un argomento soltanto italiano: lo scorso dicembre il Border Violence Monitoring Network ha presentato proprio al Parlamento Europeo un report dal titolo “Black Book of Pushbacks”, che racconta le storie di oltre 12.000 persone che sono state rimbalzate da Italia, Croazia, Grecia, Slovenia e Ungheria fino a fuori dall’UE. Queste denunce e questi dati ci sono, come gruppo S&D a livello di Parlamento Europeo avete promosso o avete in programma delle iniziative per far fronte a questa situazione?
Ho letto con attenzione il report presentato dal BVMN, dove trovano purtroppo conferma tutte le preoccupazioni espresse da me e i miei colleghi italiani ed europei negli scorsi anni. Come ha ricordato il Presidente Sergio Mattarella qualche mese fa, l’Italia è accoglienza, è protezione. Anche per questo andremo avanti senza sosta a indagare, a raccontare, a denunciare. E soprattutto fare il nostro lavoro di legislatori europei, per cambiare le regole e costruire un sistema più solidale e più funzionante per tutti.
Da molti anni ormai il gruppo dei Socialisti e Democratici chiede agli Stati Membri di adottare soluzioni durature su asilo e migrazione, basate sulla solidarietà e sull’equa condivisione delle responsabilità. Il Parlamento Europeo sta lavorando intensamente sulle recenti proposte della Commissione, che necessitano di ulteriori miglioramenti. Nonostante una mancanza di solidarietà in queste proposte, causata dai soliti egoismi dei singoli stati, faremo del nostro meglio per rendere la solidarietà una realtà praticabile. Questo è l’unico modo per evitare scene inaccettabili come quelle viste in Grecia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina dove persone vulnerabili sono soggette a condizioni terribili, lasciate senza riparo e senza le protezioni umanitarie di base, a poca distanza dalle frontiere esterne dell’UE.

La “crisi” dell’immigrazione in Bosnia, per l’appunto, non è una novità, ma una condizione ormai endemica che si replica ogni anno da quando sulla rotta balcanica ha prevalso una politica di chiusura dei confini. Tutto pare indicare che l’UE continuerà con questa politica. Qual è la tua posizione personale a riguardo? Quali impegni pensi di prenderti come Europarlamentare?
Davanti a quello che sta accadendo fra Croazia e Bosnia, come in molti altri punti nevralgici del flusso migratorio, l’Europa ha il dovere di essere presente, giusta, unita. Noi Parlamentari Europei abbiamo poi il dovere di controllare cosa accade dove anche risorse europee vengono spese, anche a livello di Frontex e Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.
Personalmente mi sono sempre battuto per la difesa dei diritti dei migranti, che rientrano nella fascia di popolazione più debole, e continuerò a farlo in ogni sede. Una vita dignitosa è un diritto per tutte e tutti, migranti e non. Ma bisogna dirlo con chiarezza: le tragedie che continuano a verificarsi, come il terribile incendio del campo di Lipa o i quotidiani soprusi sopportati da centinaia di migranti che tentano di raggiungere l’Europa si possono evitare, senza impoverire e danneggiare nessuno, ricordando che siamo tutti esseri umani. Quello che io e i miei colleghi in Parlamento chiediamo all’Europa è che investa nell’integrazione, incrementando le risorse utilizzate e senza che vengano tolte ad altre problematiche sociali.
Lo scorso settembre la Commissione ha proposto un nuovo Patto sull’asilo e le migrazioni, per tentare finalmente di superare i noti limiti di Dublino. Si tratta certamente di un buon primo passo, dopo anni e anni di immobilismo in sede di Consiglio, ma certamente non sufficiente. Sono emerse criticità che noi parlamentari del gruppo Socialisti e Democratici stiamo cercando di affrontare e risolvere in Parlamento.
Angela Caporale
Dove non è indicato diversamente, le fotografie sono gentile concessione dell’On. Benifei.
