Ateneu del Raval, dove un tempo si producevano fibre tessili oggi si (ri)costruisce il tessuto sociale

L’avvento della Rivoluzione industriale ha stravolto la società europea e non solo in termini di produzione. Ha obbligato a ripensare gli spazi pubblici e le dinamiche sociali. Con l’introduzione di grandi macchine a vapore, per lo meno in Cataluña, le non saranno più dei blocchi unici orizzontali ma inizieranno a svilupparsi anche in alteza. A partire dal 1830 interi quartieri di Barcellona, come , saranno protagonisti di questo epocale cambiamento urbanistico. Le fabbriche inizieranno propotentemente a disegnare la . L’industria prenderà il passo all’agricoltura, “rubbandogli le braccia”. I contadini in fuga dalla dalle campagne circostanti si riverseranno in massa in città. Dove inizieranno a prepararsi, letteralmente, a convivere nella nuova realtà sociale e lavorativa. che all’epoca iniziavano a spuntare un po’ in tutto il quartiere. Prima che Helena, Felipe e Nico decidessero di farla diventare la sede del loro progetto sociale, in questi enormi stanzoni il rumore assordante delle macchine industraili si mescolava alle urla dei bambini. L’odoro acre degli scarti di lavorazione copriva quello del baccalà e delle sardine che usciva dalle cuccine. Gli operai delle fabbriche tessili – uomini, donne e bambini – in questi “ Dopo qualche intervento di riqualificazione, tre anni fa, l’edificio è stato riconosciuto della città di Barcellona. “Quando nel 2015 abbiamo deciso di prendere in affitto la – racconta Felipe – dentro non c’era rimasto praticamente più niente. I vecchi affittuari, una compagnia teatrale, si erano portati via anche i cavi dell’eletricità”. Prima di dar vita all’ gestivano insieme un bar. Helena si occupa della contabilità adesso, Felipe invece ha studiato architettura in Cile. Nel 2006 è arrivato a Barcellona ed è venuto a vivere ne della città. Si sono resi conto in fretta che non era affatto facile. “Abbiamo optato per guadagnarsi piano piano la fiducia di residenti e Associazioni”. che ha organizzato in questi 5 anni, ma anche per il tentativo di mettere in contatto le mille anime che compongono compreso. Sono arrivati i problemi economici, conseguenza delle restrizioni imposte al settore della cultura e dello spettacolo, e il pericolo dello sfratto. Per questo qualche mese fa Helena, Felipe e Nico hanno intrapreso la battaglia per la sopravvivenza dell’ il contributo sociale e culturale offerto soprattutto ai gruppi più emarginati. Da tempo, ormai, chiedono alle Istituzioni locali di riconsiderare i parametri economici di allocamento. Troppo alto l’affitto per un progetto senza fini di lucro come il loro, che vive essenzialmente di donazioni. “L’ è uno spazio libero, indipendete dalla politica, e non riceviamo sovvenzioni pubbliche. A volte partecipiamo a singoli bandi. Ciò nonostante chiunque può accedere alla struttura, usufruirne gratuitamente per realizzare i propri : mostre, teatro o proiezioni cinematografiche”. Fino al marzo scorso, la principale fonte di finanziamento del l’ (dal nome del celebre vino aromatizzato molto apprezzato da questi parti). L’aperitivo musicale che ha contribuito a far conoscere l’ a detta di Nico, bisogna fare un salto all’indietro nel tempo e nello spazio. Quando gli erano veri e propri luoghi di dibattito e confronto. Dove le varie modalità di apprendimento servono, prima di tutto, ad imparare a conoscere l’ . “Quando ci propongono di ospitare qualche iniziativa artistica o culturale non guardiamo all’aspetto tecnico, ma al suo è tutta qui. Dove un tempo si fabbricavano tessuti industriali adesso l’obiettivo è quello di rafforzare il Sviluppare una rete di collaborazioni, secondo Felipe, è la strategia più efficace in contesti urbani come . Fondato da una coppia di coniugi colombiani, Silvia e David, circa un anno e mezzo fa per denunciare lo sfruttamento e le discriminazioni subite da questa categoria di lavoratrici. Anche le riunioni del si svolgono regolarmente qui. Il Collettivo è impegnato attiviamente contro la (i c.d. fondi avvoltoi). “Il vero beneficio viene dall’aquisizione e dalla vendita dell’intero edificio. I “ ” occupati servono da deterrente quindi, per convincere i proprietari dei singoli appartamenti a rivendere a prezzi più bassi”. Come nel caso dell’ , infatti, alla fine di settembre è stato ad un passo dallo sgombero. La Ciaxa Bank sembra avesse deciso di rientrarne in possesso. L’ennesima minaccia di sfratto nei confronti di uno . Capace, dal 2012 ad oggi, di dare assistenza saniataria e legale a centinaia di migranti esclusi, prima dalla voluta dal Partido Popular e oggi dall’attuale legge sull’immigrazione che il PSOE non sembra aver intenzione di modificare. “Di fronte a questa drammatica tendeza – sipega Nico – abbiamo deciso di fare qualcosa. Così è nato l’ , per rispondere ad una necessita o forse sarebbe meglio dire ad una mancanza: l’assenza di che non siano strettamente connessi al settore turistico. Ma che, invece, possano essere funzionali ad un quartiere dove la popolazione è per lo più migrante o anziana. Secondo Nico, che il quartiere si è attirato su di se negli anni. I furti e la droga ci sono sempre stati nel quartiere, ammette Helena. “Sono cambiati solo i protagonisti, prima rubavano e spacciavano gli spagnoli”. è un quartiere operaio. Il livello di scolarizzazione è molto basso. Si possono contare sulle dita di una mano le persone con un titolo universitario. Molti residenti, come dice Nico, si sono formati per la strada. “Conoscono il valore della lotta politica e non si fanno intimorire dal primo banchiere che passa. Gli stessi del 1976 che ha aperto, definitivamente, le porte al turismo di massa. Trasformare la propria casa in un è semplice e soprattutto conveniente economicamente. Il quartiere, secondo Felipe, è stato ripensato per servire la città non per offrire servizi essenziali ai residenti. La proliferazione del Senza nulla togliere agli artisti che negli anni hanno esposto le loro opere nel Museo, ammette Nico, il è una vera e propria isola all’interno del quartiere. Con tutta probabilità, aggiunge, nessuno dei residenti ci è mai entrato. La cosa peggiore è che il Museo è soltanto un bullone all’interno di un grande ingranaggio, studiato per favorire il . “Gli appartamenti turistici non fanno altro che far aumentare i prezzi generali degli affitti”. in cui è stato realizzato il MACBA. Il Museo di Arte Contemporanea da sempre al centro di mille polemiche. Nonostante le nobili intenzioni di fare de , come si legge in un cartello, con tanto di università, il quartiere non ha smesso di manifestare tutte le sue criticità. Il proceso di trasformazione, secondo Iñaki Garcia, è stato radicale. Trasformando drasticamente la demografia di un quartiere storicamente popolato da operai e migranti. “La riforma urbanistica con la quale negli anni ’90 l’Amministrazione Maragall ha promosso la realizzazione del MACBA doveva servire a portare i turisti ne . Si è detto che avrebbe reso il quartiere più dinamico. Ha finito, invece, per favorire la pressione dell’industria turistica”. La , la chiama lui. A discapito delle necessità più basiche dei residenti. Iñaki è un signore distinto di 63 anni. Ha consacrato quasi tutta la sua vita all’attivismo politico e alla lotta sociale. Oggi, è il Presidente di un’Associazione che si chiama . Con il tempo è diventato un vero e proprio referente per tutti i residenti. Dentro a quel piccolo ufficio, così pieno di oggetti che sembra un magazzino, sono state pianificate molte battaglie politiche. La sua esperienza gli ha insegnato che le persone non si mobilitano fino a che non si accorgono di essere manipolate in questo senso è irrapresentabile, secondo lui. Questo è un grande problema ma anche un enorme vantaggio. . Per soddisfare le necessità espositive del Museo, infatti, nel corso degli anni la struttura originaria è stato ampliata aquisendo alcuni edifici circostanti. Alcuni dei quali, prima della partecipato dal Comune di Barcellona, la Generalitat catalana e il Ministero della Cultura. Alle quali, fin dal 1987, è stata affiancata una La Rambla (2019) – Corteo di protesta organizzato dalle Associazioni di quartiere de Ha detta del Direttore, Ferran Barenbli, la scelta di costruire il MACBA nel centro della città è figlia di un modello molto diffuso nel mondo. Il lo definisce. “L’idea era quella di coinvolgere la città, ma soprattutto che fosse parte integrante del quartiere. Sviluppando delle dinamiche positive in un luogo dove non ce ne sona mai state”. Ferran Barenbli non ha dubbi, il Museo ha contribuito a migliorare il quartiere, ma la strada è lunga. “Non siamo un’Associazione di quartiere e non possiamo sostituirci alle Istituzioni”. Riconosce che il Museo ha una visione molto più ampia, che va oltre non ha molto a che fare a quanto pare. Un po’ come gli esclusivi programmi di formazione che si tengono in un . Ovvero, la tendenza a modificare il tessuto sociale, economico ed etnico di aree originariamente popolari. Tutto questo, secondo la Professoressa dell’Università Autonoma di Barcellona, passa per piani di urbanizzazione destinati a e non alla componente più debole della popolazione residente: anziani, disabili e minoranze. La più evidente conseguenza di queste politiche urbanistiche, ha detta della Professoressa Anguelovki, è quella che lei chiama l’ . Musei, ristoranti, alberghi e negozi alla moda, invece di aumentare la qualità della vita e la sicurezza creano emarginazione ed . Quando questo processo urbanistico e accompagnato dall’aumento del prezzo degli affitti e dalla speculazione edilizia, il rischio è che molte persone finiscano per perdere la propria casa e ritrovarsi da un giorno all’altro per la strada.