Recentemente mi è capitato di avere una discussione al ristorante con una persona che rievocava con malinconia i pranzi consumati a scuola quando era bambino. Per me sono sempre stati uno dei peggiori ricordi dell’infanzia. Precotta pasta collosa di farina bianca, secondi sciapi di carne e pesce accompagnati da qualche foglia di insalata, grovigli di spinaci e terribili frittate che come spugne si piantavano sullo stomaco e mi tenevano compagnia per l’intero pomeriggio. Come capirete, non entravo in refettorio saltellando di gioia. Erano i primi anni ’90, quelli in cui gli italiani ancora credevano in un futuro di prosperità e benessere (ingenui), quelli della piena globalizzazione, delle confezioni monoporzione in plastica e del boom dei fast food. L’educazione alimentare nelle scuole era ancora lontana da venire, tra le corsie dei supermercati vedevo ciliegie in novembre, cavoli a luglio e cocco 365 giorni l’anno: per quanto mi riguardava, tutto era possibile.
Nel frattempo son passati almeno 25 anni e qualcuno si è accorto che tutto questo invece non era sostenibile. E lo spettro si è arricchito di complessità, perché parlare di alimentazione oggi significa occuparsi di salute, cambiamento climatico, inclusione sociale. Il punto non è più solo la mia terribile frittata, ma quello che ognuno di noi mette nel proprio piatto, che può diventare uno strumento di lotta e di protezione dell’ambiente. “I nostri figli stanno crescendo in un mondo dove tutto è a loro disposizione al prezzo più basso. Pomodori in inverno, fragole in autunno, pesci che arrivano dall’altra parte del mondo venduti a nemmeno 3 dollari. La loro dieta è sia la causa che il risultato di un sistema che non sta solo uccidendo noi, ma sta uccidendo l’intero pianeta”. È con queste parole che il giornalista investigativo Benoît Bringer apre il suo ultimo lavoro, Food for Change, un viaggio tra esperienze e comunità che stanno reinventando nuovi modelli alimentari nel rispetto dell’uomo e della natura.

Bringer, noto per aver fatto parte del team Panama Papers dell’ICIJ, ritorna al Terra di Tutti Film Festival (che l’aveva già visto vincitore con il documentario Paradis fiscaux: la casse du siecle) virando questa volta dall’inchiesta al reportage. Food for Change verrà proiettato il 7 ottobre alle 18, presso il cinema Odeon a Bologna. Per provare a dimostrare che “si può cambiare il mondo con una forchetta”. Si parte dal Sud della Francia, nella piccola cittadina di Mouans-Sartoux, dove una classe passeggia su terreni agricoli, rispondendo a domande su cibo biologico e insetticidi di fronte alle quali io alla loro età avrei semplicemente fatto scena muta (come amava dire la mia maestra). Nel 2008 questa amministrazione ha avviato un progetto che l’ha portata a realizzare la prima azienda agricola municipalizzata di tutto il Paese, che approvvigiona le mense scolastiche con cibo 100% biologico.
Bellissimo, ma: “Choose local, organic products and reduce food waste” è possibile su scala globale? Sembrerebbe di sì. Per dimostrarlo la troupe si sposta a Malmö, terza città della Svezia, dove ogni giorno a scuola vengono serviti pasti 100% di origine biologica. Qui il tema del km0 è messo da parte – il cuoco ci parla del “mango chutney”, non tipicamente svedese – ma apportando altri importanti cambiamenti la città è riuscita a ridurre la produzione di gas serra derivanti dalla filiera alimentare del 20% rispetto al 2002 e oggi si candida a diventare carbon neutral entro il 2030, nel rispetto degli obiettivi dell’Agenda 2030. Questo è possibile soprattutto riducendo il consumo di carne, per questo sia qui che in Finlandia, ad esempio, i menu vegetariani sono diventati la normalità per alunni e alunne.

Bringer vola poi in Brasile, dove l’agricoltura intensiva e industriale fa da padrona, contribuendo a deforestazione e distruzione degli ecosistemi. Tra incendi e diseguaglianze sociali, c’è però un progetto pioniere dal quale prendere esempio: è il ‘Programma nazionale di alimentazione scolastica’, introdotto dall’ex presidente Lula da Silva (e stranamente mantenuto da Jair Bolsonaro) con l’obiettivo di risolvere le carenze nutrizionali dei bambini in età scolare e migliorare le condizioni economiche dei produttori. Di fatto, dal 2009 questo Programma ha obbligato i Municipi ad acquistare almeno il 30% dei generi alimentari dai piccoli produttori locali per rifornire le mense scolastiche, cambiando sensibilmente la vita di agricoltori come Francisco Souza o Yvone Ribeiro Machado, le cui storie sono state raccolte in Food for Change.

La morale sembrerebbe essere: se vuoi, puoi. Lo spiegano bene i diversi chef intervistati da Bringer, da François Pasteau che nella sua cucina trasforma solo alimenti coltivati nella Regione parigina, senza buttarne via nulla, a Gilles Daveau, insegnante di cucina alternativa; e infine Alain Ducasse, 32 Stelle Michelin (scusate se è poco), che riesce a declinare questo messaggio in un concetto semplice quanto essenziale: essere consapevoli di quel che mangiamo e delle modalità con le quali scegliamo di consumare, altro non è che “una scelta politica”.
Roberta Cristofori
Immagine di copertina: Terra di Tutti Film Festival