L’attivismo politico delle donne argentine, secondo Ofelia Fernandez, viene da lontano e fin dall’inizio non ha manifestato chiaramente il profilo del Femminismo attuale. Soprattutto rispetto alla così detta agenda politica. Ni una menos non lo gridavano le madri o le nonne di Plaza de Mayo, afferma questa giovanissima attivista ed ex dirigente studentesca in una intervista del passato febbraio. Però, aggiunge, era proprio a questo che si riferivano quando, ogni giovedì, si ritrovavano con il pañuelo blanco (fazzoletto bianco) in testa a pochi metri dalla Casa Rosada, la sede del governo argentino, rivendicavano il diritto di sapere che fine avessero fatto le loro figlie e le loro nipoti desaparecidas.
Già allora Ni una hija menos, ni una nienta menos era inconsciamente il grido di battaglia per una stagione di lotta che avrebbe condotto fino al primo Encuentro Nacional de Mujeres a Buenos Aires, nell’agosto del 1986, e poi a La Plata nel 2019. Non una città qualsiasi, ma l’”Atene d’America”, come venne ribattezzata a partire dagli anni ’20 del secolo scorso per via della sua prestigiosa Universidad Nacional (UNLP). Una città dalla forte connotazione politica. È proprio qui, in queste aule, che la famiglia Kirchner si è formata. Ed è sempre qui, a La Plata, che il 16 settembre ’76 si è consumata quella che verrà tristemente ricordata come “La notte delle matite”, quando otto giovani studenti delle scuole superiori vennero rapiti, torturati e fatti scomparire dalla polizia segreta del Regime di Jorge Rafael Videla. Colpevoli di appartenere all’Unione Estudiantil Secondaria (UES), un’organizzazione studentesca considerata sovversiva dalla Giunta militare per il solo fatto di pretendere sconti sui libri di testo e sui biglietti dell’autobus.

Il cammino fatto da quelle donne negli anni ’80, come in una staffetta olimpica, nel 2015 è passato ufficialmente nelle mani delle hijas (figlie) e della loro revolución (rivoluzione). Il bianco del fazzoletto è stato sostituito dal verde. Per il resto il Movimento Non una di meno è da considerarsi come il filo conduttore che, a detta di Belén Grosso, lega queste due generazioni di attiviste. Capaci, ognuna a modo proprio, di riscrivere il concetto stesso di impegno politico e di maternità.
Belén vive a Neuquén, nella Patagonia argentina, ed è una delle Socorristas en red, un collettivo femminista che conta varie delegazioni in tutto il Paese e che dal 2012 accompagna le donne nel delicato percorso dell’interruzione di gravidanza. Non è un caso, secondo lei, che il Movimento sia nato proprio qui, in Argentina, e che da qui, come una Marea (verde), abbia raggiunto quasi tutta l’America Latina. “La brutalità con cui iniziavano ad essere commessi i femminicidi ci ha convinte a dare un empujon”. Un colpo duro, ben assestato, a un sistema che non era più solo patriarcale e conservatore, ma anche estremamente violento con le donne. La chispa, la scintilla, che ha infiammato le polveri della protesta porta un nome e un cognome che sono diventati presto un simbolo. Lucia Perez nel 2016 aveva solo 16 anni quando è stata stuprata ed uccisa. La sua morte ha saputo mobilitare milioni di donne. Dando vita al più grande sciopero bianco della storia del continente. Oltre cinquanta collettivi femministi hanno marciato per le principali città dell’America Latina. Da Santiago de Chile, passando per Bogotà, fino a La Paz. Fermarsi, incrociando le braccia, mai come quella volta ha significato prendere la rincorsa per dare slancio ad un Movimento che da quel giorno non si è più arrestato. Superando frontiere e confini.

L’Argentina è il Paese latinoamericano con il tasso più alto di femminicidi. Come se non bastasse, è persino il Paese con il maggior numero di gravidanze in età adolescenziale. Ogni tre ore una bambina tra i 10 e i 14 anni è costretta a partorire. L’80% di queste gravidanze, secondo un rapporto dell’Unicef, sono il risultato di violenze sessuali domestiche. È proprio per questo che nel 2019 le Soccoristas en red hanno deciso di lanciare una campagna di sensibilizzazione. En un Mundo normal las niñas no son madres (in un mondo normale le bambine non sono madri) – recita lo slogan. Alla base di questa iniziativa, c’è la volontà di pretendere dallo Stato il rispetto dei diritti dell’infanzia, appoggiando la creazione di una rete di supporto per i più piccoli, oltre a garantire politiche sociali che, a detta di Belén, fino ad ora si sono rivelate insufficienti. In base all’attuale Legge sull’interruzione di gravidanza, datata 1921, in Argentina è concesso abortire solo in caso di provato rischio per la salute della gestante o in caso di violenza sessuale. Sulla base di questi requisiti, sempre secondo Belén, l’accesso al Sistema Sanitario Pubblico è ottimo. Rimane, però, il problema dei costi elevati, che negli anni hanno finito per dar vita ad un mercato clandestino che mette a repentaglio la salute di molte donne.

“Da anni ci stiamo impegnando per tessere una rete di collaborazione con medici e ginecologi (Red de profesionales por el derecho al aborto). L’obiettivo è quello di offrire un servizio sicuro per tutte le donne che vogliono abortire”. Le pillole, mi dice Belén, sono molto care. Se è vero che esiste un servizio sociale che copre la metà del costo della terapia, esiste però, allo stesso tempo, anche un mercato clandestino molto diffuso. “Le donne in molti casi vengono ingannate con pillole che non servono ad abortire. Chi ha accesso ai laboratori può procurarsi grandi quantità di Misoprostol, la pillola abortiva messa a disposizione dal Sistema Sanitario argentino, per rivenderla piuttosto facilmente nel marcato nero. Questo succede perchè, ad oggi, è ancora abbastanza complicato ottenerla. In farmacia bisogna andarci con un ricetta medica in duplicato per esempio”. A prescindere dal fatto che gli ospedali pubblici siano obbligati a garantire il servizio in Argentina ci sono, a detta di Belén, due tipologie di medici obiettori di coscienza. Quelli che pur non essendo a favore dell’aborto, per ragioni personali, consigliano comunque le cliniche alle quali rivolgersi per ottenere l’interruzione di gravidanza. L’altra, invece, cerca in tutti i modi di scoraggiarti. Provando a convincerti a portare avanti la gravidanza lo stesso.

Lo scorso 3 giugno gli antiabortisti, los pañuelos celestes (i fazzoletti celesti), hanno organizzato una manifestazione pubblica. Al collo portavano grandi cartelli sui quali c’era scritto: conmigo no cuentes (Non contate su di me) ed hanno chiamato a raccolta anche gli alunni e i professori delle scuole religiose. A quanto pare la fazione più dura degli antiderecho (antidiritto), come vengono chiamati dal Movimento proaborto, sembra essere la Chiesa evangelica. A molti di loro, secondo Marina la portavoce del Collettivo femminista Marea Verde Barcelona, interessa soprattutto proteggere il business clandestino. Ci sono cliniche private che vivono di questo. La terapia di Misoprostol può arrivare a costare anche 4000/5000 pesos (400/500 euro).
In Argentina l’inflazione è un problema con cui la gente ha imparato a convivere. “Tutto dipende dai soldi”. Marina non ha dubbi, la barriera non è né morale né tanto meno sociale. Le donne ricche possono abortire in modo sicuro, quelle poveri rischiano di morire. Essere seguiti da un medico o costretti ad andare dalla signora dietro l’angolo, che pratica l’interruzione di gravidanza con metodi tutt’altro che ortodossi, può fare la differenza. Quel pezzo di ferro nell’utero a raschiare via tutto quello che incontra sulla sua strada segna, ancora oggi, il divario sociale ed economico di un Paese che sta ancora facendo i conti con un enorme problema di disuguaglianza, aggravato dalla crisi economica del 2001 e mai del tutto risolto. E dove gli stipendi delle donne, nel settore privato, sono in media il 25% più bassi rispetto a quelli degli uomini.

La storia del femminismo in Argentina, così come mi è stata raccontata da chi la sta scrivendo da anni in patria o fuori, in un altro Paese, è fatta di piccole vittorie che assomigliano a pesanti sconfitte, tanta pazienza e moltissima fiducia nel futuro. Me lo hanno confermato i volti sempre sorridenti delle attiviste della Marea Verde che ho conosciuto a Barcellona in questi anni. Anche dopo che il Senato argentino, nel agosto del 2018, ha bocciato per la sesta volta un Progetto di legge sull’aborto legale e gratuito. Così, quella che sembrava una sconfitta dal sapore amaro come un sorso di mate si è rivelata, invece, una piccola ma decisiva vittoria. All’incirca un anno dopo, infatti, milioni di donne invaderanno le strade de La Plata nella più grande mobilitazione femminista della storia del paese. Marina ne è certa: “È solo una questione di tempo, prima o poi l’aborto legale e gratuito sarà legge”. Di quella notte d’estate di due anni fa, a parte l’amaro in bocca, è rimasta la mobilitazione permanente, gli incontri nazionali (organizzati ogni anno in una città diversa) e le campagne di sensibilizzazione. Come si legge sul gazzettino ufficiale del Collettivo, questa mobilitazione è un atto politico prima ancora che di responsabilità sociale.

Marea Verde Barcelona nasce proprio in seguito a quella votazione in Senato. Come una pulsione da parte di donne migranti che hanno dovuto lasciare il proprio Paese in un momento molto delicato, tanto dal punto di vista politico quanto sociale. Come Collettivo, la prima iniziativa pubblica è stata la consegna di un comunicato al Consolato argentino di Barcellona. Raccogliere firme e consegnare comunicati ai vari Consolati è una tradizione che risale alla metà degli anni ’70 e che si rifà agli esuli della dittatura. Serve per documentare la lotta per i diritti umani, oltre che ad avere un forte valore politico. Lo stesso è accaduto anche dopo la morte di Santiago Maldonado.

SOMOS LAS NIETAS DE LOS PAÑUELOS BLANCO Y LAS MADRES DE LOS PAÑUELO VERDE. (siamo le nipoti del fazzoletto bianco e le madri del fazzoletto verde)
In Argentina c’è una lunga tradizione di femminismo di strada, sostiene ancora Marina. “Noi siamo le figlie delle madri di Plaza de Mayo”. La strada trasforma la realtà, afferma, e quelle donne non le hanno mai abbondante, quelle strade. Si sono confrontate con il peggior terrore del mondo, e sono riuscite a far condannare alcuni dei responsabili di quel terrore. “Senza quelle donne non avremmo mai avuto le politiche sociali che a partire dal 2003 i Kirchner hanno introdotto in termini di diritti umani”. La parola chiave del Movimento è “multisettorialità”. Questo significa che non è mai stato il riflesso di un solo partito o di una sola classe sociale, tutt’altro. È trasversale e senza gerarchie definite. Tutte hanno il diritto di parola e una vale una. Con Las hijas, il Movimento Ni una menos si è fatto di massa. In molti casi sono state proprio queste giovani attiviste a spiegare alle loro madri l’importanza di una Legge sull’aborto legale, sicuro e gratuito. Il suo senso più profondo, che non c’entra solo con il sacrosanto diritto di scegliere sul proprio corpo. Ma che ha che fare, piuttosto, con un cambiamento epocale in termini di sessualità. Capace di spazzare via logiche e preconcetti arcaici e sessisti. Tanto da favorire l’approvazione della Legge per l’introduzione dell’educazione sessuale che in molte scuole ancora non era prevista.

Il femminismo argentino, secondo Marina, non si capisce senza la componente transessuale. “Il Movimento transgender è stato il primo a scendere in piazza contro la violenza machista e a favore dell’aborto legale. Prostitute e transessuali sono da sempre amiche e compañeras nella lotta” – afferma.
La pensa nella stessa modo anche Loli Colombo. Insieme a Virginia Salcedo e Malena Ludueña fanno parte del Collettivo Femminista Intersettoriale La Yesca. La principale ragion d’essere di questo Collettivo è soprattutto quella di mantenere rapporti con la politica locale. Fare pressione affinché le rivendicazioni del Movimento vengano ascoltate. “Il Femminismo attuale non può non includere la comunità transgender. La sofferenza di questa comunità è enormemente maggiore rispetto a quella che soffriamo noi donne in generale. Proprio per questo è stata creata la Red de trasporte trasfeminista (Rete di trasporto trasporto transfenimista), un servizio di taxi, tipo Uber, che accompagna a casa gratis prostitute e transessuali di notte. “Se non fraternizziamo tra di noi sarà impossibile che la lotta potrà condurci da qualche parte”. Dentro lo stesso Movimento ci sono diverse anime che lo rendono eterogeneo, dice, per questo è più corretto parlare di “Femminismi”. Una di queste anime, quella più radicale, tende a negare la rappresentanza transessuale. Malena, però, ci tiene a sottolineare che questa componente è nettamente minoritaria. C’è anche chi vorrebbe l’abolizione della prostituzione.

La Yesca è nato a Cañada de Gomez, nella provincia di Santa Fe, una cittadina di 40.000 abitanti fortemente conservatrice. L’irruzione sulla scena cittadina del Collettivo è stata come una bomba sociale e politica, tirandosi dietro le ire della componente più intransigente della comunità. “Ci siamo rese conto che non stavamo facendo abbastanza” – ammette Virginia. Così, nell’aprile del 2018, grazie ad un progetto fotografico che aveva come oggetto il fazzoletto verde, diventato ormai il simbolo del femminismo latino americano, è iniziata l’avventura di questo gruppo di attiviste. In breve tempo, mi spiega Loli, le donne della zona di sono organizzate dando vita ad un vero e proprio network femminista. “All’inizio quello che ci ha unito, ammette Malena Ludueña, è stata quel progetto fotografico, poi l’ideologia femminista ha fatto da collante.
ACÁ AMAMOS A CRISTINA (qui amiamo Cristina Kirchner)
Nella Provincia di Santa Fe l’aborto è stato depenalizzato. Qui, a differenza che nel resto del Paese, le donne che scelgono di interrompere la gravidanza non rischiano di incorrere in guai giudiziari. La Yesca, però, si batte perchè diventi legale, gratuito e sicuro in tutto il resto del Paese. L’Argentina è un Paese dalle forte tradizione religiosa. I gruppi antiaborto, mi spiega Malena, fanno puntualmente leva proprio sul rapporto con la fede per dissuadere le donne dall’abortire. Anche quando si tratta di bambine. Sono frequenti, infatti, manifestazioni e catene umane. Recentemente, sono arrivati persino a minacciare la costruzione di un cimitero per i feti abortiti. La questione, secondo Malena, si è completamente disumanizzata. “Medici e ginecologi che per tutta la vita si sono dedicati all’interruzione di gravidanza si dichiarano pubblicamente contrari all’approvazione della Legge per l’aborto legale, gratuito e sicuro. La salute delle gestanti è a tutti gli effetti un’attività molto lucrativa”. Non tutta la comunità religiosa, però, condivide questa visione delle cose. Il Collettivo Mujeres Católicas por el derecho a decidir (Donne cattoliche per il diritto a decidere), per esempio, appoggia il progetto di legge perchè considera l’aborto sicuro e gratuito soprattutto una questione di salute pubblica.
Oggi le speranze di milioni di donne in Argentina sono riposte nel neoeletto Governo del Presidente Alberto Fernandez, El Presi come lo chiama Belén Grosso scherzosamente, e nell’ultimo Progetto di legge elaborato dall’esecutivo per il momento, però, fermo al palo a causa del Covid19. Nonostante l’entusiasmo generale sia arrivato praticamente alle stelle, Marina teme che il Governo possa decidere di aspettare ancora un po’ prima di lanciarlo nell’arena parlamentare per via dell’incertezza che minaccia l’esito della votazione. Perdere, dice, significherebbe dover aspettare altri due anni prima di poterlo ripresentare nuovamente.

Il Femminismo argentino, tuttavia, sembra guardare più in là dell’approvazione della Legge. “L’aborto ormai, secondo Virginia, ha smesso di essere un tabù. Ha smesso di fare così tanta paura e ha iniziato ad essere considerato un diritto. Ti giudicheranno per questo, dice, però non è un nostro problema. La differenza tra noi e loro è che noi non vogliamo obbligare nessuna donna a fare qualcosa per cui non si sente pronta. Il tema aborto è stato ufficialmente sdoganato nel dibattito pubblico a partire dal marzo del 2018. Il merito lo si deve ad una trasmissione televisiva, el Intruso, in onda su America tv. Quella fu la prima volta che se ne è parlato pubblicamente, arrivando anche a coloro che in quel momento non ne sapevano praticamente niente.
Mattia Bagnato