Papeles para todos! La battaglia del collettivo Sanitarios Inmigrantes Solidarios per regolarizzazione dei migranti in Spagna

Mentre le Brigate Mediche cubane, durante la crisi del Covid-19, volavano da un Paese all’altro per offrire le loro conoscenze e la loro professionalità, c’è un paese che, nonostante le ragioni storiche e i legami culturali e linguistici, ha deciso di fare a meno di questo prezioso aiuto. Eppure di supporto, nel momento peggiore della pandemia, i medici spagnoli ne avrebbero avuto davvero molto bisogno. Caduti come mosche sotto i colpi del virus. Vale la pena ricordare, infatti, che la Spagna è stato il Paese con il maggior numero di sanitari contagiati. La scelta di non usufruire del contributo di solidarietà offerto dalla piccola isola caraibica si unisce a quella, in parte politica e in parte burocratica, di non agevolare l’iter per l’omologazione dei titoli di studio in ambito sanitario a migliaia di immigrati presenti nel Paese. Arrivati prima, durante e dopo la crisi sanitaria. Latino americani per lo più, ma anche ucraini e africani. La loro e quella del Collettivo Sanitarios Inmigrantes Solidarios è la battaglia per il riconoscimento di queste carriere professionali: in molti casi decennali, costruite tra conflitti armati, guerre tra Maras, infezioni di dengue, zika e febbre di chikungunya. Abituati, purtroppo, a lavorare molte ore al giorno sotto una forte pressione psicologica e con poco materiale a disposizione. In altre parole, proprio nelle condizioni in cui il personale sanitario di mezza Europa si è trovato, di colpo, ad operare durante i mesi più duri del Coronavirus.

Una battaglia che si unisce a quella di altri 600.000 migranti in attesa di veder regolarizzata la loro situazione. Tutti uniti sotto il lemma: “Papeles para todos” (Documenti per tutti). Una condizione di invisibilità, contro la quale si battono varie associazioni locali e sindacati di categoria tra cui Top MantaLas Kellys, un piccolo sindacato nato nel 2016 per denunciare le condizioni di lavoro delle cameriere d’albergo. Oggi, però, sembra che quell’invisibilità si sia fatta ancora più drammatica, dimostrata dai molti focolai del virus che si sono riaccesi nell’ultimo mese in tutta la Spagna e che stanno interessando soprattutto i lavoratori stagionali. Come nel caso di Lleida, ai piedi dei Pirenei spagnoli. Ammassati dentro stanzoni senza finestre, in venti o in trenta, o nei campi senza nessuna precauzione igenico-sanitaria, i braccianti rischiano la vita, ogni giorno, per una paga di pochi euro. Da destra a sinistra, dal Partido Popular a PSOE, quasi tutti i Governi negli ultimi anni hanno usufruito del meccanismo della regolarizzazione straordinaria (art. 127 legge sull’immigrazione) per garantirsi le braccia necessarie in settori strategici come quello agricolo o edile. “L’attuale Legge sulla immigrazione – seconda Susan di SOS RACISM – ha trasformato il percorso per la regolarizzazione in una trafila amministrativa infinita.” È per questo che da qualche mese, da più parti, si sente ripetere che il tempo delle chiacchiere è finito, che è arrivato il momento di agire. Di riprendersi il futuro. Per farlo i Sin Papeles, i Senza Documenti, hanno annunciato una stagione di mobilitazione. All’interno di questo stato di agitazione sociale permanente il Collettivo Sanitarios Inmigrantes Solidarios ha trovato la sua perfetta collocazione.

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Yamile Caicedo è la portavoce del Collettivo, ma è anche un’infermiera con molti anni di esperienza alle spalle, otto dei quali trascorsi nell’Ospedale Mario Gaitán Yanguas a Soacha, dipartimento di Cundinamarca, nel Distretto di Bogotà. Gli altri a Aschau im Chiemgau, in Baviera per la precisione, dove si è trasferita 15 anni fa e dove, soprattutto, senza nessun particolare impedimento burocratico ha iniziato a lavorare, quasi subito, come ausiliaria di geriatria nella casa di riposo Seniorenheim Priental. “Ci sono Paesi che facilitano l’ingresso dei migranti nel sistema lavorativo. Soprattutto se specializzati. Uno di questi è senza dubbio la Germania”. Dopo un breve periodo di prova e un corso di omologazione di qualche mese, una volta a settimana, Yamile ha avuto la possibilità di accedere ad una delle posizioni disponibili. “A nessuno è interessato da dove venissi, se fossi in possesso di regolare permesso di lavoro o residenza. Hanno solo voluto testare il mio livello di preparazione e la mia professionalità”.

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Sanitarios Inmigrantes Solidarios durante la distribuzione dei kit

Insieme agli altri membri del Collettivo, ammette amareggiata, avrebbe voluto mettere a disposizione proprio quella stessa professionalità nella lotta contro il Coronavirus, se non le fosse stato negato dai Protocolli che regolano il settore sanitario. I quali impediscono di esercitare la professione medica e infermieristica, nelle strutture pubbliche, a chi non è in possesso della nazionalità spagnola, per esempio. “Inizialmente abbiamo chiesto di poter allestire e gestire, come volontari, un ospedale da campo nell’area metropolitana di Barcellona per far fronte al sovraffollamento delle strutture ospedaliere cittadine. Ci hanno risposto che non era possibile, perchè non era previsto dai Protocolli sanitari”. Così hanno deciso di organizzarsi diversamente. Con altri quattro o cinque colleghi, il 19 marzo scorso, hanno dato vita a questo Collettivo, che in pochi mesi conta già più di 200 inscritti e oltre 600 volontari occasionali in tutto il Paese. “L’idea è anche quella di farci trovare pronti. Quando arriverà il momento, il Governo non avrà più scuse. Qui ci sono tutti i nomi, cognomi e documenti vari per portare a termine il processo di regolarizzazione. Per continuare a rimanere aggiornati, durante la quarantena, abbiamo anche messo a disposizione del Collettivo corsi di aggiornamento online, in videoconferenza. È risaputo che in ambito sanitario è molto rischioso rimanere inattivi troppo a lungo”. Nel frattempo altri Paesi europei, Portogallo in testa, hanno preso la strada della regolarizzazione straordinaria visto il particolare momento storico. Ci si aspetta che lo faccia anche la Spagna. Così è stato annunciato lo scorso 9 luglio da Pablo Echenique, portavoce di Unidas Podemos: “Riconoscendo gli eroi del Covid-19 come compatrioti, mettendo fine alla situazione di irregolarità in cui sono costrette le persone migranti che hanno vissuto la crisi sanitaria”.

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Sanitarios Inmigrantes Solidarios durante la distribuzione dei kit

Come questa tenace infermiera colombiana, nazionalizzata tedesca, sia finita a Barcellona sembra essere la dimostrazione, inequivocabile, che molto spesso il destino sa essere davvero bizzarro, capace com’è di farci perdere completamente il controllo sugli eventi. Quando Yamile è partita dalla Germania per venire a trovare una delle sue tre figlie, doveva essere solo una normalissima vacanza di piacere. Un’occasione in più per riabbracciarsi. Il destino, appunto, in passato aveva deciso di tenerla lontana da loro per sei anni. Quando si sono rincontrare Yamile ha scoperto di essere diventata nonna da dieci giorni. “Questa volta mai avrei potuto immaginare di rimanere intrappolata in città per quattro mesi”. Bloccata dal Covid-19 e dalla conseguente quarantena imposta dal Governo Sanchez.

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Sanitarios Inmigrantes Solidarios durante la distribuzione dei kit

“In televisione scorrevano le immagine tragiche di ospedali al collasso, medici e infermieri stremati da turni massacranti. Davanti a quelle immagini ho pensato che non potevo restare a guardare. Dare vita a questo Collettivo non è stato complicato. Sono bastati un paio di messaggi su WhatsApp. Difficile, invece, è portare avanti il progetto quotidianamente”.  I membri di Sanitarios Inmigrantes Solidarios non percepiscono nessun compenso. Tutti, o quasi, fanno lavori pesanti e sottopagati. Molti di loro sono stati vittime di mobbing. All’occasione pagano di tasca loro il cibo, le mascherine che distribuiscono tra i senza fissa dimora, o la stampa dei foglietti informativi che “appiccicano” nei parchi pubblici e nei ritrovi abituali in cui i clochard passano la notte. Un gruppo di appoggio interno, invece, si occupa di offrire aiuto economico ai membri del Collettivo. Molti dei quali, in questi ultimi mesi, hanno perso il lavoro e la casa, non potendo più pagare l’affitto.

Molto spesso i volontari comprano drittamente i prodotti da distribuire

Il problema degli sfratti nella capitale catalana, negli ultimi anni, si è fatto molto serio. I marciapiedi della Città Vecchia (Ciutat Vella in catalano) iniziano ad assomigliare sempre di più a dormitori a cielo aperto. Il lockdown, poi, non ha fatto altro che trasformare il problema in una preoccupante emergenza sociale, tanto da obbligare il Govern autonomo a imporre un tetto massimo ai canoni di locazione, soprattutto nelle quartieri con un “mercato degli alloggi teso”.

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Il numero di senza fissa dimora è cresciuto considerevolmente negli ultimi anni

Pochi giorni prima di conoscere di persona i volontari di Sanitarios Inmigrantes Solidarios, al Collettivo è arrivata un’inaspettata donazione. Rosana, una cantante molto conosciuta in Spagna, ha sentito parlare di loro ed ha voluto offrire il proprio contributo. Circa 2000 kit per la barba, insieme ad altri prodotti per l’igiene personale (bagnoschiuma, shampoo e creme solari). Distribuire i kit nei quartieri più popolari di Barcellona è l’attività principale del Collettivo. Non la sola: il progetto YO TE APOYO (lettaralmente IO TI APPOGGIO) è nato per offrire assistenza agli anziani soli e non autosufficienti nelle faccende di tutti i giorni: fare la spesa o recarsi ad una visita medica.

Riconoscerli non è difficile. Basta seguire i piccoli carrelli delle spesa con cui i volontari girano per le stradine de El Raval o del Barrio Gotico. Hanno iniziato a farlo fin dai primi momenti della crisi sanitaria. Fra di loro c’è anche Evelin, una giovane volontaria di 24 anni arrivata a Barcellona dal Paraguay ancora minorenne. Da quando, ad aprile, è entrata a far parte del Collettivo mette a disposizione quasi tutto il tempo che le rimane al termine di una lunghissima settimana di lavoro. Sessantatrè ore settimanali per meno di 950 euro al mese. Ovvero quello che, dal 2020, dovrebbe essere il Salario Minimo Interprofesional garantito a tutti i lavoratori. Senza distinzione di sesso o età. Anche lei è venuta a Barcellona per ricongiungersi a sua madre che viveva qui già da otto anni. Sono entrambe infermiere ausiliarie. Tutte e due si battano perchè i loro titoli di studio vengano omologati dal Governo spagnolo. Durante la settimana Evelin si prende cura di due anziani signori. Dalle 9 di mattina alle 9 di sera. Tutti i giorni. Per 18 euro al giorno. Festivi compresi.

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Sanitarios Inmigrantes Solidarios durante la distribuzione dei kit

Il suo caso è molto emblematico, perchè Evelin si è diplomata come infermiera ausiliaria proprio a Barcellona. Ha seguito due corsi di formazione (il primo presso ENFERMERIA BCN e l’altro con FORMA’T) ed ottenuto il titolo ufficiale in un Centro specializzato nelle carriere infermieristiche, omologato dal Ministero della Salute. Ha provato per tre volte ad ottenere il NIE, il permesso di lavoro senza il quale l’omologazione del titolo pare non serva praticamente a niente. Per tre volte la sua richiesta è stata respinta. In Spagna lo chiamano “Arraigo social”. È la più diffusa modalità di richiesta di permesso di soggiorno tra tra i cittadini non comunitari. In base a quanto prevede la Legge sull’immigrazione, il richiedente deve dimostrare, conservando persino gli scontrini fiscali, di aver vissuto per un periodo ininterrotto di 3 anni in territorio spagnolo. Senza essere mai uscito dalle frontiere nazionali, di avere una famiglia legale in Spagna, di non avere precedenti penali a suo carico e, infine, di essere in possesso di regolare contratto di lavoro di almeno un anno o ,in alternativa, da quaranta ore settimanali. Secondo Evelin, ottenere un contratto a tempo pieno per chi non è cittadino europeo è praticamente impossibile attualmente. La pensa nello stesso modo anche Susan di SOS RACISM, secondo cui la nuova legge rende molto difficile contrattazioni di questo tipo. Prima di perdere definitivamente la speranza Evelin ha provato a fare ricorso. Ha contattato un avvocato ed ha portato l’azienda per cui lavorava in tribunale, ma non ha ancora ricevuto nessuna risposta. “Dopo tutto il tempo e i soldi che ho speso in questi anni, ormai mi importa poco cosa sarò da grande. Adesso voglio solo trovare un lavoro che mi permetta di ottenere il NIE.”

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Sanitarios Inmigrantes Solidarios durante la distribuzione dei kit

Molti credono che dopo aver trascorso 3 anni in Spagna si ottengano i documenti, ma non è così. Ci sono persone come Evelin che vivono qui da sei anni e mezzo, qualcuno anche da più tempo.

Il piacere di aiutare gli altri è la principale motivazione che ha spinge persone come Merla ad unirsi al Collettivo. “Quando vedo qualcuno vivere per strada mi piange il cuore”. In Honduras, questa minuta houndereña per metà giamaicana, ha lasciato suo figlio e sua sorella. Prima di trasferirsi a Barcellona ha lavorato per 22 anni come infermiera, tredici anni in un residenza geriatrica, i restanti nel reparto di pediatria.  È venuta a conoscenza del progetto di Yamile grazie ad un’amica colombiana con cui frequenta la chiesa del quartiere. Come tutti i suoi colleghi del Collettivo è in attesa che le venga omologato il titolo di studio. Il suo sogno sarebbe quello di terminare il corso per assistente sociale, che aveva iniziato nel suo paese, per aiutare tutti i sudamericani che vengono a vivere qui, dice. È nata a Ceiba, sulla costa atlantica, la quinta città più grande del Paese, famosa per il Grande carnevale internazionale dell’amicizia. Contraddizioni di un Paese sull’orlo del collasso: la corruzione politica e il narcotraffico, infatti, spingono ogni migliaia di persone come Merla a lasciare l’Honduras. La violenza e le guerre tra bande rivali, le Maras, hanno trasformato le strade in campi di battaglia. Nonostante tutto, però, non può fare a meno di sorridere quando pensa al suo Paese e ai paesaggi incontaminati.

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I volontari del Collettivo chiedono al Governo che venga istituito un meccanismo di “omologazione express”: rapido e definitivo, che gli permetta di accedere alla posizioni libere.  Il personale sanitario che ha affrontato la prima ondata di Coranavirus, assicura Yamile, è stanco e stressato. Chi ha potuto si è preso le ferie o si è messo in malattia. Molti, aggiunge, hanno addirittura paura di tornare in servizio perchè si sono ammalati di Covid-19 già una volta. Ad oggi, secondo lei, il Sistema Sanitario Nazionale spagnolo avrebbe bisogno di 30.000 nuove assunzioni tra medici ed infermieri. “Durante la crisi sanitaria è stato richiamato in servizio il personale in pensione. Ad un certo punto si è cominciato ad arruolare giovani specializzandi senza nessuna esperienza. Di loro, adesso, non si sa cosa ne sarà”. Immobilismo, questa è la parola che si sente ripetere più spesso.  Criticano il Governo centrale, per non aver ancora fatto nulla, ma anche la Giunta autonoma catalana. Accusano la Generalitat, in particolare, di aver iniziato l’iter per integrare 260 tra medici ed infermieri, ma di aver bloccato tutto all’improvviso. Il problema oltre alla volontà politica rimane la burocrazia. Troppo lunghi i tempi amministrativi rispetto alla velocità con cui corrono i cambiamenti sociali. Questi uomini e queste donne, che da qualche mese ormai scendono in piazza sotto il sole cocente, ne sono la prova.

Mattia Bagnato

Foto e video sono stati realizzati dall’autore del reportage.

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