Un tempo si diceva che un metodo infallibile per riconoscere un mafioso fosse guardargli le scarpe: costose, ma sempre sporche della polvere dei cantieri. Infatti, per molto tempo il settore delle costruzioni è stato la vocazione della mafia imprenditrice, regina del condizionare appalti pubblici e pilotare assegnazioni a proprio favore.
I tempi, però, sono cambiati. Le organizzazioni criminali hanno imparato a reinventarsi seguendo le esigenze dell’economia, divenendo abilissime a fiutare i settori più redditizi attraverso cui insinuarsi nelle ferite aperte della società. In ogni emergenza del passato – dalle ricostruzioni post terremoti, all’allarme rifiuti, alla crisi migratoria – hanno saputo volare sopra le disgrazie del Paese come avvoltoi, studiando il modo per trarne il maggior vantaggio possibile.
Anche in questi mesi, mentre l’attenzione delle cronache era completamente monopolizzata dalla pandemia e la macchina giudiziaria enormemente rallentata, la mafia ha trovato il modo di riconquistare parte del terreno sottrattole grazie a trent’anni di operazioni di contrasto delle forze dell’ordine e della magistratura. È riuscita a rilanciare la sua presenza in territori dove era stata decimata, mettendo in piedi una sorta di sistema di welfare mafioso fatto di pacchi alimentari e buoni spesa. Soprattutto al Sud molte famiglie di artigiani, ambulanti e operai, con il blocco delle attività produttive si sono trovate da un giorno all’altro a non potersi più permettere un pasto in tavola.
In una situazione simile mantenere l’integrità può diventare difficile, soprattutto se gli aiuti da parte dello Stato sono rallentati da procedure burocratiche, mentre le associazioni criminali bussano alla porta con un volto cordiale, quasi fossero enti di beneficenza volonterosi di farsi carico dei problemi della loro gente. In cambio contano sul voto delle famiglie riconoscenti alle prossime elezioni, o sul reclutamento per qualche lavoretto illecito quando sarà il momento. Giocano sulla fame, sulla paura e sulla sfiducia verso le istituzioni, investendo sul consenso sociale senza il quale il fenomeno mafioso non potrebbe esistere.
Non bisogna credere, però, che questo pericolo lo corrano soltanto le aree di tradizionale insediamento mafioso. La presenza della mafia al Nord è un fenomeno ampiamente documentato e profondamente compenetrato nel tessuto socio-economico (come dimostra la recente operazione “Isola Scagliera”), anche se preferisce il colletto bianco alla coppola. Si muove, infatti, all’interno dei mercati legali, investendo nel territorio le infinite ricchezze di cui dispone grazie ad attività illecite (come il traffico di armi e di droga). Ricchezze che vengono spesso accolte come un male necessario per consentire lo sviluppo, senza capire che l’infiltrazione economica è solo il primo passo verso un inesorabile accaparramento di potere. L’attuale momento di crisi è, dunque, l’ideale per l’imprenditore mafioso, pronto ad offrire liquidità alle imprese in ginocchio e trascinarle nel proprio circuito criminale.
Confcommercio ha stimato che sarebbero circa 270mila le imprese a rischio chiusura in Italia nel 2020, e molte di queste potrebbero intravedere nella mafia l’ultima possibilità per rimanere nel mercato, senza accorgersi che, contrariamente al detto, quel denaro puzza e accettarlo significa intraprendere un percorso che porta all’usura. Il fatto è che si tratta, ancora una volta, di denaro liquido e immediatamente disponibile, a differenza di quello delle banche. Inoltre l’usuraio mafioso non ha bisogno di garanzie, impone, inizialmente, interessi più bassi delle banche, si mostra comprensivo della situazione, e questo gli consente di accrescere la sua reputazione agli occhi degli imprenditori. Non fosse che, dietro tanta flessibilità, si cela il suo vero interesse: rilevare l’impresa. Dapprima mettendo un piede nei processi decisionali, poi strangolando l’imprenditore indebitato, fino al punto in cui questo mantiene solo apparentemente la titolarità e la mafia può servirsi dell’impresa per i suoi scopi, tipicamente il riciclaggio. Non è un caso che l’usura mafiosa sia in crescita soprattutto nelle regioni più floride, dove risulta più facile giustificare gli improvvisi aumenti di fatturato delle imprese infiltrate. È un circuito perfetto, che si chiude lasciando dietro di sé un impoverimento del territorio in termini di crescita economica, PIL e occupazione.
L’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata (CROSS) dell’Università degli Studi di Milano ha individuato gli altri principali obiettivi che i gruppi criminali perseguono attraverso l’infiltrazione nell’economia legale: il presidio del territorio grazie alla diffusione capillare delle imprese, l’inserimento negli spazi di socialità che consente di intrecciare una rete di conoscenze, l’alibi lavorativo per lo svolgimento di attività illegali, la creazione di punti di ritrovo per gli affiliati e l’aumento del prestigio del clan, anche per la possibilità di offrire posti di lavoro.

Come evidenzia la tabella, tratta dal rapporto del CROSS, le attività soggette ad infiltrazione sono numerose. Se in passato, come già evidenziato, il settore più interessante per le mafie è stato quello delle costruzioni, negli ultimi decenni la criminalità organizzata si è spostata verso i contesti che di volta in volta le consentivano maggiori profitti: imprese multiservizi (mense, pulizie, sanificazione), smaltimento dei rifiuti e settore agroalimentare. In questo momento le attività più colpite dalla pandemia, e che quindi consentono più margine all’usura mafiosa, sono le piccole e medie imprese, specialmente il comparto della ristorazione .
Un altro settore che si è mostrato estremamente permeabile alle infiltrazioni è quello della sanità, destinatario di una quota significativa della spesa pubblica e malato di una corruzione profonda che ha consentito il contatto tra uomini politici, personale medico ed esponenti della criminalità organizzata. La mano della mafia si è intromessa in concorsi, nomine e selezione del personale in nome di una logica clientelare che ha generato inefficienze e mala amministrazione. Inoltre la filiera sanitaria, in questo momento, offre gigantesche opportunità di guadagno per chi riesce ad accaparrarsi la produzione e la distribuzione dei dispositivi per la protezione personale (mascherine chirurgiche, guanti e tute), e lo smaltimento dei rifiuti contaminati. Sembra che la mafia si stia muovendo anche in quella direzione, come ha dichiarato Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano. La possibilità che gare d’appalto simili vengano distorte è elevata: l’urgenza ha costretto all’adozione di misure rapide e straordinarie, aggettivi che piacciono molto alle mafie perché generano incertezze procedurali e causano allentamenti nelle misure di controllo.
Qualcuno, come il presidente della Liguria Giovanni Toti, ha anche auspicato di derogare “almeno per due anni” al codice degli appalti, alle gare europee, ai controlli paesaggistici e ai certificati antimafia in nome della rapidità, fortunatamente non venendo ascoltato. Ragionare in questo modo porterebbe a vanificare gli sforzi di decenni di azione contro la criminalità organizzata, resi possibili da una normativa unica in Europa e nel mondo, perché figlia dei traumi che la mafia ha inflitto al nostro Paese e che ancora stiamo scontando.
Questo, però, non significa che sia solo un fatto italiano. La mafia, e in particolare la ‘ndrangheta, è ormai presente in tutto il mondo.

Nonostante le intelligence degli Stati coinvolti siano ampiamente a conoscenza del fenomeno, nelle opinioni pubbliche manca la consapevolezza che consentirebbe di adottare una normativa antimafia realmente efficace, come avvenuto in Italia. Questo è il motivo per cui la mafia italiana oggi tende al “forum shopping”, ossia a trasferire i capitali nei Paesi in cui l’attenzione è minore e le sanzioni più blande. Suona, quindi, un po’ stonata la reticenza di alcuni Stati europei a destinare i fondi per la ripresa al nostro Paese. Certo, sarebbe un’ingenuità non aspettarsi tentativi di appropriazione dei sussidi da parte della mafia, ma è necessario persuadersi che la mancanza di liquidità immediata farà – e sta già facendo – danni molto più gravi, inquinando silenziosamente ma irrimediabilmente le economie sane.
L’Italia, comunque, sta affilando le armi. Lo stesso Giuseppe Conte, nell’anniversario della strage di Capaci, ha scritto su Facebook “adesso più che mai dobbiamo vigilare. Le mafie si nutrono delle difficoltà dei cittadini. Per questo, di fronte alla pandemia che sta danneggiando il nostro tessuto occupazionale, il nostro sistema produttivo, la risposta dello Stato deve essere forte, rapida e incisiva” e che “il piano della mafia è destinato a fallire”.
La reazione in chiave preventiva si è attivata già alla fine di marzo, quando il Viminale ha indicato a questori e prefetti una strategia investigativa diffusa per individuare le aree maggiormente esposte ad infiltrazione, cui è seguita l’istituzione di una cabina di regia tra le forze di polizia aperta alla collaborazione di tutti gli organismi qualificati. Questo apparato si affianca al preesistente sistema di controlli gestito da UIF, Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia , che raccoglie da banche, commercialisti e notai le segnalazioni sulle operazioni sospette, trasmettendo quelle più a rischio alle autorità giudiziarie. Il governo, invece, in questi mesi ha preso una serie di provvedimenti per agevolare l’accesso al credito: il Decreto Liquidità ha rafforzato il Fondo di Garanzia in modo da poter garantire al 100% i finanziamenti alle imprese, e il Decreto Rilancio ha poi introdotto i c.d. contributi a fondo perduto per le piccole e medie imprese e per alcune categorie di professionisti. Inoltre, i rinvii sui pagamenti delle imposte, le indennità, i bonus, gli sconti sulle bollette, la velocizzazione dell’erogazione delle cig e l’introduzione del reddito di emergenza per le famiglie con ISEE inferiore ai 15 mila euro, sono tutte misure che contribuiscono a privare la criminalità del suo principale strumento di ricatto. L’unico problema è che servono un centinaio di disposizioni attuative prima che il Decreto Rilancio possa essere completamente operativo.
È importante che, nel tentativo di velocizzare questi processi, non vengano sacrificati i controlli che consentono di escludere la contiguità delle imprese alla mafia, e che prima di optare per una, pur necessaria, “sburocratizzazione” generale, ci si ricordi di distinguere tra la buona e la cattiva burocrazia.
Chiara Zannelli