Covid-19: la Corea del Nord ha davvero zero casi?

Secondo le affermazioni ufficiali rilasciate dal governo di Pyongyang, in Corea del Nord non sarebbe stato registrato nessun caso di Covid-19. Questo farebbe della piccola Repubblica Democratica uno dei pochi Paesi ad essere scampato alla pandemia. Una notizia certamente positiva, considerato il grave tasso di povertà della popolazione e l’inadeguatezza delle infrastrutture sanitarie nordcoreane. Ma le cose stanno effettivamente così?

Le misure adottate dal regime di Kim Jong Un

La Corea del Nord è stata uno dei primi Paesi ad attuare misure restrittive per prevenire il diffondersi del Coronavirus. Già il 21 gennaio 2020, quando il virus aveva iniziato a far suonare i campanelli d’allarme in Cina, il governo aveva predisposto la chiusura delle frontiere, con la sospensione del turismo e dei relativi visti d’accesso (la Corea del Nord ammette in genere l’accesso di un numero limitato di turisti stranieri e solo come parte di tour organizzati da agenzie autorizzate dal governo, N.d.R.). Ha inoltre imposto la quarantena al personale diplomatico di stanza a Pyongyang, inizialmente per un periodo di 14 giorni, esteso poi a un mese. Gli scambi commerciali con l’estero, un’ampia percentuale dei quali avviene con la Cina, storica alleata della Corea del Nord, sono drasticamente diminuiti. Nella retorica del regime, questi provvedimenti sarebbero serviti a impedire la penetrazione del virus nel Paese e a scongiurare l’emergenza sanitaria che ha invece colpito gran parte del resto del mondo. Sono in molti, tuttavia, a ritenere che la realtà sia ben diversa da quanto affermato dalle fonti ufficiali e che si tratti piuttosto di un tentativo di scongiurare il caos sociale e il collasso totale del già precario sistema sanitario nazionale.

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Storie di morti sospette, censura e propaganda

È purtroppo difficile stimare quale potrebbe essere la reale entità del contagio, ma negli ultimi mesi fonti internazionali hanno riportato notizie di diversi casi quantomeno sospetti. Il Daily NK News, quotidiano online con sede nella vicina Corea del Sud e contatti all’interno del Paese, all’inizio di marzo raccontava già di almeno 200 soldati contagiati. Più recentemente, sono trapelate voci di quattro medici deceduti in seguito a complicanze respiratorie e di undici morti tra i detenuti del carcere di Chongori, nel nord est del Paese, anch’essi con sintomi simili a quelli provocati dal Coronavirus. I comunicati ufficiali hanno parlato di “sistema immunitario debole” quale causa dei decessi, ma permangono forti perplessità, tanto più che le autorità carcerarie pare abbiano proceduto a una disinfezione dell’intero complesso, oltre che dei corpi delle vittime, e dato ordine alle guardie di non lasciare che i detenuti venissero a conoscenza delle morti.

Dal canto loro, i media del regime continuano a filtrare attentamente le notizie riguardanti il virus. Il Rodong Shinmun, giornale ufficiale del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori di Corea, ha lodato l’efficienza con cui le istituzioni statali e il sistema sanitario si sono adoperati per affrontare la situazione, coordinando le politiche antiepidemiche a livello nazionale al fine di condurre i test necessari tra la popolazione e di assicurare l’isolamento di coloro a cui è stata imposta la quarantena preventiva.

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Anche in Corea del Nord vige il distanziamento sociale

L’informazione sulla situazione interna al Paese è comunque molto scarsa, tant’è che, presumibilmente, i cittadini comuni non sono veramente al corrente di quanto stia accadendo. Seo Jae-Pyeong, attivista di stanza a Seoul ma originario della Corea del Nord, ha spiegato a al-Jazeera che essi “lo vedono essenzialmente come una malattia allarmante”, malattia che ha comunque avuto un impatto sulla loro vita di tutti i giorni, mettendo in luce le contraddizioni del regime. Il Ministero dell’Istruzione ha imposto la chiusura delle scuole e lo slittamento dell’inizio dell’anno accademico, previsto per marzo, a causa della “diffusione globale della pandemia”. Come in gran parte dei Paesi contagiati, le lezioni sono poi iniziate per via telematica, nonostante un’ampia porzione degli studenti non abbia accesso a Internet. Anche il reclutamento dei giovani per il servizio militare obbligatorio, che ogni anno avviene tipicamente nei mesi di marzo e aprile, ha subito variazioni. Sembra infatti che gli insegnanti delle scuole superiori abbiano fatto visita agli studenti nelle loro case per informarli dei loro doveri, facendogli peraltro firmare una dichiarazione scritta in cui acconsentivano a proseguire con il processo di arruolamento.

Misure, queste, che vanno ad aggiungersi a una serie di provvedimenti interni di natura più generale adottati dall’inizio della pandemia: obbligo di portare la mascherina, forti limiti agli spostamenti individuali, forme di distanziamento sociale simili a quelle che abbiamo imparato a conoscere in Occidente. Perfino le sentitissime celebrazioni per il compleanno di Kim Il-Sung, storico fondatore della Repubblica, previste per il 15 aprile, sono state annullate. E sono in molti a chiedersene il motivo, se il Paese, come afferma il regime, è davvero riuscito a scampare al pericolo della penetrazione del coronavirus.

Pyongyang tra emergenza sanitaria, sanzioni e aiuti internazionali

A due mesi e mezzo dall’inizio dell’emergenza, Kim Jong-Un ha disposto un parziale allentamento delle misure di emergenza. Le scuole torneranno ad aprire, data l’impossibilità di portare avanti efficacemente la didattica online in parte della nazione e il rischio che questo si traduca in gravi lacune nell’educazione dei giovani nordcoreani. I ragazzi che studiano in scuole in territorio cinese sono stati esortati a fare ritorno nella vicina Repubblica Popolare, essendo loro, nelle parole di Kim, “la colonna portante degli sforzi del nostro partito per coltivare i talenti.” Secondo le fonti del Daily NK News, molti dei genitori degli studenti non sarebbero tuttavia d’accordo con la decisione delle autorità: “temono che i loro figli possano contrarre il Covid-19 in Cina. Ciononostante, essi tengono per sé le proprie preoccupazioni, perché opporsi all’ordine verrebbe visto come un rifiuto dei favori dello Stato.”

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Quella che emerge è un’immagine altamente incerta e opaca, in cui permangono forti dubbi riguardo all’azione del regime e al suo grado di capacità di gestire una situazione potenzialmente esplosiva.

A marzo Kim Jong-Un ha interrotto mesi di silenzio diplomatico inviando una lettera al presidente sudcoreano Moon Jae-In, in cui esprimeva la propria solidarietà per lo sforzo portato avanti da Seoul nel contrastare l’epidemia. A detta degli osservatori, questa avrebbe potuto essere una prima mossa per recuperare il dialogo in vista di una possibile richiesta di assistenza. Teoria, questa, che parrebbe confermata anche da quanto riportato dal Financial Times alla fine dello scorso mese: Pyongyang avrebbe chiesto segretamente aiuto ai suoi principali interlocutori internazionali per far fronte all’emergenza sanitaria, data in particolar modo la carenza di kit per effettuare tamponi ai potenziali infetti. Il problema principale rimane però legato alle sanzioni internazionali imposte nel corso degli ultimi anni alla Corea del Nord, sanzioni che non solo ne hanno indebolito l’economia e i servizi pubblici, ma che comportano altresì ritardi e difficoltà per le organizzazioni umanitarie attive nel Paese (Croce Rossa, Unicef, Medici senza frontiere) nel consegnare aiuti e garantire assistenza alla popolazione.

Alessia Biondi

Immagine di copertina: Flickr

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