“She carries me through days of apathy
She washes over me
She saved my life in a manner of speaking
When she gave me back the power to believe.”
King Crimson, The Power to Believe
Molte domande, e così poco tempo per rispondere: già, ma quanto poco? È un po’ questa la domanda che tutti noi ci poniamo da quando è iniziata la quarantena (darò per scontato che tutti voi sappiate di cosa stiamo parlando): quanto durerà?
Come sapete, e se non lo sapete sapevatelo, io mi occupo principalmente di musichine strane, e dunque ho un’altra domanda: cosa accade alla musica in tutto questo?
I concerti sono stati temporaneamente aboliti – e sappiamo che sono la principale fonte di introiti per praticamente tutti gli artisti attivi al giorno d’oggi, tra vendita dei biglietti e di gadget – e i negozi di dischi sono chiusi da ormai un mese (per comodità, il riferimento è all’Italia, naturalmente, ma stanno chiudendo un po’ dappertutto, in quanto “non essenziali”). Incredibilmente, persino lo streaming è in calo. Dunque, la mia domanda è articolata in tre diramazioni: cosa succede all’industria della musica dal vivo? Cosa succede all’industria della musica su supporto fisico? Come verrà influenzato il nostro modo di consumare musica da questi strani giorni?

“Is this just another day, this God forgotten place?
First comes love, then comes pain let the games begin,
Questions rise and answers fall, insurmountable.”Pearl Jam, Love Boat Captain
La musica dal vivo
Naturalmente, il primo settore musicale a venire toccato da questa storia è stato quello della musica dal vivo: i concerti di musica leggera sono gli eventi più agglomeranti possibile, ed è naturale che siano stati sospesi per primi (abbastanza assurdamente, molto prima di anche solo pensare di sospendere le partite di pallone). Questo ha significato, oltre a posporre molti tour primaverili all’autunno e alcuni tour estivi addirittura all’anno prossimo, quando non a cancellarli direttamente per moltissime band, trasversalmente attraverso i generi. Ora, naturalmente i Rolling Stones si preoccupano poco se il tour viene spostato all’anno successivo: fatto salvo il rischio di morire di vecchiaia e conseguenze delle loro vite scellerate nel frattempo, vivono sereni. I problemi grossi sono per tutte le band tra il piccolo e il medio-grande. E di nuovo, anche qui molto dipende dalla potenza di fuoco: se i Katatonia forse riescono a sfangarla chiedendo a tutti per favore di comprare il loro disco, e facilmente funzionerà perché il loro pubblico è sufficientemente ampio e sufficientemente affezionato al supporto fisico, le band emergenti che si stavano appena iniziando a fare strada avranno dei problemi a recuperare degli introiti non tamponabili con la vendita dei dischi.
Tutto questo, naturalmente, senza contare la parte più numericamente significativa e importante dell’industria della musica dal vivo: tutti gli operai e gli impiegati che le consentono di funzionare, dall’apprendista montatore di palchi al fonico.
C’è chi, come i Radiohead, cerca di sollazzare i suoi fan tirando fuori dalla naftalina nastri video d’archivio, come questo spettacolare concerto di Dublino, registrato pochi giorni dopo l’uscita di Kid A.
“It’s funny you know,
‘Cos there’s an old rock ‘n’ roller
He’s got nowhere to go.
Did you ever think of taking him in?
Somebody help him, somebody please.”
Genesis, Another Record
I dischi
Quindi ci tocca ascoltare la musica a casa. È risaputo che da anni il mercato del supporto fisico per la musica vada riducendosi, nonostante il ritorno prepotente del vinile sul campo, e persino delle audiocassette ad affiancare il sempiterno CD – che, vorrei ricordare ai molti audiofili fasulli tra voi, in epoca di registrazioni largamente digitali ha una qualità di gran lunga superiore al vinile per una serie di motivi. Con gli anni, sempre più musica è diventata disponibile legalmente online. Persino io, che non ho Spotify perchè è un modo poco etico nei confronti degli artisti (che non paga ma è normale, perché nella sua orrenda versione base è gratis) di riprodurre musica, ormai posso trovare praticamente qualunque cosa su Youtube. Persino i Tool e i King Crimson, noti per la loro decennale opposizione all’utilizzo di internet, hanno caricato le loro discografie quasi complete (ti avrò, presto o tardi, Salival…).
Insomma: sembrerebbe che questa parte dell’industria sia trascurabile, eppure non lo è: c’è una minoranza consistente di appassionati che continua a comprarli, i CD, le cassette e i vinili. Con la quarantena, le possibilità si sono ridotte di molto, soprattutto per quanto riguarda le nuove uscite. Diversi artisti hanno dovuto posticipare le uscite trovandosi nell’impossibilità di stampare e distribuire il disco, o anche solo scettiche sul far uscire un prodotto che giocoforza non potrà essere acquistato nei negozi. In più, con i negozi chiusi, i dischi vanno ordinati online e fatti consegnare. E se i canali diretti, cioè gli shop online delle band e delle case discografiche, continuano a consegnare – sebbene con tempistiche estremamente dilatate – Amazon ha deciso di dare la precedenza ai beni di prima necessità e non rinnoverà lo stock di dischi fino al miglioramento della situazione.
Alcuni artisti, come i Cinque Uomini Sulla Cassa del Morto, hanno cominciato ad adattarsi: anche prima della quarantena, i mezzi digitali a disposizione nella nostra epoca consentono di registrare interi album comodamente da casa, e loro ci hanno regalato la dolcissima Non dimenticarti.
Bob Dylan ha fatto uscire un brano inedito di qualche anno fa, “Murder Most Foul” lungo 17 minuti, che gli ha regalato la sua prima volta al primo posto di una qualunque classifica Billboard (quella per i brani rock pubblicati digitalmente). Per pura coincidenza, nonostante le premesse (cioè: la sua durata) possano apparire grame ai non addetti ai lavori, è un brano splendido, emozionante e coinvolgente.
“How could it end like this?
There’s a sting in the way you kiss me
Something within your eyes
Said it could be the last time
‘Fore it’s over!”Ghost, Dance Macabre
Consumare
La fine della quarantena potrebbe essere il momento in cui ripensare il nostro modo di fruire la musica, ma possiamo cominciare già durante. Se Bandcamp ha trasferito il 100% dei ricavi degli streaming di una specifica giornata direttamente agli artisti, Spotify continua a non pagare. E sebbene la responsabilità ricada direttamente su di loro, siamo anche noi, fan, ascoltatori, consumatori, a dover riflettere sulle nostre abitudini, come scrivevo tempo fa.
Ho trovato molto affascinante che, secondo le statistiche di Rolling Stone, quelle che usa per creare le sue classifiche di vendita, gli streaming sono calati in media dell’8% sui vari servizi dall’inizio della quarantena. Non posso che chiedermi: perché? Una risposta immediata è che la comodità rappresentata dalla musica disponibile online non è più necessaria quando siamo chiusi in casa, se è l’unico motivo per cui ascoltiamo musica online. Mi spiego meglio: tutti quelli che hanno CD e vinili a casa ma quando escono, vanno a lavorare, vanno a fare sport, la ascoltano in digitale lo fanno perché è più comodo. Hanno tutta – o molta – loro musica in un unico posto: il cellulare. Però una volta a casa mettono su un CD o un vinile o una cassetta. Una ragione più gretta potrebbe essere che molti posti che fanno andare roba in streaming per circa 8 ore al giorno (avete indovinato: qualunque negozio o ristorante o bar o luogo di lavoro) sono chiusi, e i loro streaming non si sommano più alle graduatorie. La ragione più romantica, però, secondo me, che forse rappresenta una percentuale risibile della flessione ma non per questo meno rilevante, è che più di qualcuno starà riscoprendo il piacere di ascoltare la musica, di godersela, e per farlo ha deciso che era stufo di sentire le pubblicità di Spotify o Youtube. Qualcuno, tipo il sottoscritto, ha finalmente il tempo di farsi un riascolto cronologico della discografia dei Primus.
E dopo? Dopo chi lo sa. È complesso cercare risposte a domande su settori molto più rilevanti dell’economia – sebbene la musica faccia parte del mondo della “cultura” che occupa una generosa porzione di lavoratori italiani – quindi figurarsi se ci si scervellerà troppo sulle musichine strane. Eppure, un ragionamento andrà fatto! Dovremmo abituarci, forse, chi lo sa, a pagare per sentire un concerto, anche nel baretto del quartiere, anziché avere sempre tutto gratis. Dovremmo abituarci a comprare di nuovo i dischi, o a utilizzare piattaforme di ascolto digitale che condividono eticamente i ricavi. Potremmo riscoprire un valore, quello della musica, che forse stavamo perdendo o forse era cambiato sotto i nostri occhi e le nostre orecchie poco attente. Per il momento, metto su Synchronicity, che finiti i Primus avevo cominciato i Police…
Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus
L’immagine di copertina è presa da qui: è il ritorno del mio spirito guida, il personaggio di Jack Black in High Fidelity.
Questo argomento è molto interessante. Non penso che torneremo a comprare musica, finché ci sarà la possibilità di averla gratis. Senza contare che c’è una crisi economica devastante che è solo all’inizio. Cazzi amari ci attendono, sarà un bagno di sangue. Ma veniamo da una situazione già malata: esce troppa musica, ascoltiamo troppa musica, il digitale ci ha dato quantità ma ci ha tolto qualità (intendo nell’esperienza, non nella musica in sé). Rimarranno in pochi, fisiologicamente certe bolle scoppieranno, la nostra passione diventerà più salda e consapevole ma non darà il pane agli artisti. Questa è la mia opinione, non è molto ottimistica, non andrà tutto bene, ma sarò molto contento se si risolverà tutto.
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