Mentre arriva la letterina dall’Europa sulla manovra finanziaria – che più o meno, come al solito, cita: per ora andate avanti, ma non esagerate con le spese -, ha senso, per chi scrive, fare il punto su un tema che fino a qualche giorno fa era saldamente presente nei salotti politici italiani (ovviamente, prima che la trovata pubblicitaria dei 4500 emendamenti prendesse la scena): la riduzione del limite all’uso del contate.
Per ora, a quanto ci risulta, i fatti rimangono i seguenti. Il governo ha proposto, nella legge fiscale 2020, cioè nel documento attuativo della legge di bilancio, la riduzione del limite del contante come mezzo di pagamento. Dai 3000€ del governo Renzi, Conte passa a 2000. Soglia che si ridurrà ulteriormente a 1000€ a partire dal terzo anno di attuazione. In realtà, la storia del limite all’uso del contante è lunga. Come mostra la tabella qua sotto, si passò dai 5000 del governo Prodi II ai 12500 del Berlusconi IV, per poi scendere giù fino a 1000 con Monti e risalire con Renzi. Il resto, è cronaca di questi giorni.
Anno | Governo | Soglia Contante (euro) |
2007 | Prodi II | 5,000 |
2008 | Berlusconi IV | 12,500 |
2010 | Berlusconi IV | 5,000 |
2011 | Berlusconi IV | 2,500 |
2011 | Monti | 1,000 |
2016 | Renzi | 3,000 |
Il problema di fondo è capire il perché della riduzione al limite del contante. Quali benefici essa può portare e quali problemi risolvere. Come spesso accade nel dibattito italiano, c’è un problema di fondo che finisce per confondere obiettivo e strumento.
Si tratta di una misura volta a ridurre l’evasione fiscale o è uno strumento per colpire attività criminali? Spoiler: noi propendiamo per la seconda.
Già a partire dalla legge 197 del 1991 – spinta da Falcone – lo scopo del limite al contante NON è principalmente la lotta all’evasione fiscale, ma quello di “prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”, come scritto nel testo della norma. Ancora, il decreto legislativo 231/2007, che rimise mano al limite del contante, aveva come titolo “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo”. E noi crediamo che, in fondo, anche la nuova normativa abbia la stessa ratio.
Limite al contante come strumento anti-riciclaggio
Il meccanismo pratico è il seguente. Se andate in banca a depositare 1000€, la persona allo sportello, seguendo la norma, probabilmente farà una segnalazione all’antiriciclaggio. Perché? Beh, il contate permette l’anonimato e quindi è lo strumento preferito per acquistare e vendere nel mercato nero. Insomma, parliamoci chiaro, quando comprate dallo spacciatore, non pagate con il bancomat.
Ergo, ridurre il limite al contante vuol dire far scattare prima la soglia di attenzione, cercando di tracciare il maggior numero di transazioni possibili.
Seppure la tracciabilità sia un concetto che si sposi bene sia con la lotta all’evasione sia con l’antiriciclaggio, il limite al contante è lo strumento per (obiettivo) contrastare la criminalità.
Quindi, attaccare il governo basandosi sul fatto che la riduzione al limite del contante non sia utile alla lotta all’evasione è una critica parziale. Allo stesso modo, sostenere la legge basandosi sulla lotta all’evasione non ha alcun senso.
Contante: facciamo il punto
La domanda a questo punto sarebbe: il limite al contante permette di contrastare efficacemente la criminalità? Per rispondere a questa domanda serve uno specialista del settore e noi, citando Totò (al contrario), “modestamente NON (NdR) lo nacqui”. Ci sarebbero poi da affrontare numerosi problemi nella misurazione delle variabili e della specificazione, ma questa è materia per econometrici (che più o meno siamo, ma possiamo evitarvi la pantomima e andare al punto).
Per fare il punto della situazione, analizziamo l’intervento in materia di Luigi Federico Signorini, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia. Nel documento presentato lo scorso 12 novembre, si fa notare che “il Governo non ipotizza che questo incentivo determini alcuna emersione di base imponibile negli anni di programmazione“. Quindi, anche questa volta non è per l’evasione. Tuttavia, continua Signorini, è “plausibile che nel medio periodo esso possa contribuire a ridurre la propensione a evadere“. In particolare, cita un paio di lavori scientifici che sembrano trovare una correlazione negativa tra cashless ed evasione. Cioè meno denaro uguale meno evasione. Ma insomma, nei fatti l’obiettivo non è l’evasione fiscale.
Infine, Bankitalia sottolinea che “sulla base delle elasticità generalmente stimate, ci si può attendere, come effetto congiunto dei provvedimenti di incentivo previsti dal Governo, un aumento delle transazioni elettroniche dell’ordine del 10 per cento”. Ora, 10% in genere è un numero bello sostanzioso, però parliamoci chiaro, partiamo praticamente da zero e culturalmente l’uso di moneta elettronica è ancora tutt’altro che radicato. Insomma, è un piccolo, molto piccolo, passo verso la modernità.
E allora, il PD l’evasione fiscale?
Ma ritorniamo all’evasione fiscale, croce e delizia del dibattito politico italiano da quando noi millennials ne abbiamo memoria. Se l’obiettivo è ridurre l’evasione fiscale, allora bisogna parlare degli strumenti giusti.
Tra gli allegati del NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza) c’è la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva” redatta dalla Commissione Giovannini (qui trovate un’analisi dell’Osservatorio CPI). Come riportiamo nella tabella sottostante, il tax gap totale, cioè la differenza tra le imposte e i contributi versati e le imposte e i contributi che i contribuenti avrebbero dovuto versare in un regime di perfetto adempimento, è stato – nel 2016 – pari a circa 109 miliardi di euro di cui 33,3 miliardi riguardano l’IRPEF sui redditi da lavoro autonomo e 35,5 miliardi l’IVA. Per ovvi motivi l’evasione da lavoro dipendente è praticamente nulla, dal momento che la tassa viene trattenuta alla fonte, cioè direttamente dallo stipendio.

Ora, visti i numeri di cui sopra, uno dei vari modi per contrastare l’evasione fiscale è quello di aumentare la tracciabilità sul prodotto finale, tramite l’utilizzo di carte, invece del contante.
Ed è a questo punto, non sul limite al contante, che si pone il tema delle commissioni bancarie. A ben vedere, questo è un problema che tocca un po’ tutti gli stati. Ad esempio, il dibattito è incandescente negli USA dove però praticamente tutti utilizzano solo moneta elettronica (anche se spesso ti fanno pagare la birra un dollaro in più se non paghi cash. L’alternativa è sempre non fermarsi alla prima bevuta). Inoltre, va sottolineato come l’Italia non sia messa poi così male a commissioni. Una analisi comparata (che trovate qui) mostra come il Belpaese sia tra i primi posti in quanto a commissioni basse, davanti alla Norvegia, ad esempio, dove il cashless sembra sempre più una realtà. In generale, innescare il meccanismo che aumenta la propensione del consumatore a pagare con moneta elettronica potrebbe generare benefici un po’ per tutti. Certo, le frizioni perché ciò accada non sono poche. In particolare, si fa sempre notare come “eh ma sono i piccoli a pagare”. Sebbene questo sembri uno straw-man volto a mantenere lo status quo (e un po’ lo è), è pur vero che, date le condizioni attuali, il commerciante è costretto ad internalizzare le commissioni, rivalendosi poi sul consumatore e rendendo ancora meno competitiva la piccola attività. Alternativamente, lo stato interviene con crediti d’imposta per alleviare il peso delle commissioni sui pagamenti elettronici, come pare si voglia fare con l’attuale manovra. Ancora meglio, si potrebbe incentivare la competitività nel mercato dei POS e portare le commissioni a zero, come sta succedendo in tantissimi ambiti della finanza, come ad esempio quello del brokerage. Da vedere è se l’infrastruttura sia pronta a gestire e garantire un funzionamento continuo.
In conclusione, sebbene l’evasione fiscale sia un problema bello e buono per l’Italia, arrivando a toccare il 7,7% del PIL – come stimato dall’Osservatorio CPI di Carlo Cottarelli – e, dunque, le casse dello stato sorriderebbero al solo pensiero di ridurla, certo è che abbassare il limite del contante non aiuta in questa direzione. In linea teorica, solo l’eliminazione dello stesso potrebbe avere degli effetti di abbassamento dell’evasione, ma qui andiamo sul fantascientifico. Ad ogni modo, porre limiti all’uso del contante è una misura che, per chi scrive, va vista in modo positivo data la sua capacità di colpire traffici illeciti. Insomma, non si colpisce il padre di famiglia che vuole regalare più di 1000 euro ai suoi figli per Natale come racconta la barzelletta di Giorgia Meloni, ma non è vero neanche che automaticamente si abbassa l’evasione fiscale.
Giacomo Romanini e Roberto Tubaldi
[Fonte immagine di copertina: Corriere Roma]