Due giorni fa, il 30 ottobre, Jason Aaron terminava la bozza finale di King Thor, ovvero l’ultimo capitolo dell’affresco narrativo raccontato nel corso degli ultimi 7 anni con protagonista il Dio del Tuono della Marvel.

Aaron comincia a lavorare alla Marvel con Wolverine e Ghost Rider nel 2007, finchè due anni dopo non gli viene affidata Wolverine: Weapon X, una nuova serie regolare dedicata al mutante artigliato uscita in concomitanza con quell’orrore di celluloide che è X-Men Origins: Wolverine.
Il Thor di Jason Aaron comincia nel 2012, con un primo arco narrativo, in collaborazione con il croato Esad Ribic, vero maestro illustratore, in cui viene introdotta la figura di Gorr, il Macellatore di Dei, nemesi di Thor attraverso i millenni, un essere che ha come unico scopo di vita l’eliminazione delle divinità dall’universo. È qui che incontriamo il Re Thor del titolo dell’ultima miniserie, un Thor invecchiato di millenni, che vive alla fine del mondo, su una Terra ormai arida e sterile, in quasi completa solitudine.

Il Thor di Aaron è una figura molto più sfaccettata delle precedenti caratterizzazioni del personaggio, pur degne di nota: sia J. M. Straczynsky che Kieron Gillen, per citare i più recenti del nuovo millennio, avevano saputo scrivere storie avvincenti e fresche. Fin dal primo ciclo, però, Aaron fa capire di avere in mente una trama a respiro molto ampio (anche se probabilmente in pochi si sarebbero aspettati il monolitico affresco che è stata la sua run). Ci introduce a un Thor giovane adulto, sprezzante e avventato, e al Re Thor menzionato sopra, che mette a confronto con il Thor che tutti conosciamo, l’austero e coraggioso guerriero membro dei Vendicatori. Conclusa la prima parte del suo ciclo, Aaron torna su temi più classici, e recupera l’elfo dannato Malekith, creato da Walt Simonson nel 1984, che comincia a pianificare una guerra tra i regni della mitologia nordica, e crea Dario Agger, spietato CEO della Roxxon, una multinazionale trasversalissima (già parte del mythos Marvel da decenni) che vuole accaparrarsi l’Antartide per sfruttarne le risorse petrolifere. Durante l’evento Original Sin, scritto sempre da Aaron, l’Osservatore (un alieno con la testa enorme che ha come scopo di vita – avete indovinato – osservare la storia dell’Universo che si chiama Uatu ed è il delegato della razza degli Osservatori per la Terra) viene ucciso da Nick Fury, quello originale, e la sua morte rivela segreti inconfessati di moltissimi eroi. Confrontato dai Vendicatori, Fury sussurra qualcosa nell’orecchio di Thor, che a causa di questo segreto perde la capacità di sollevare il suo martello, e diventa l’Indegno.

Dopo le Guerre Segrete orchestrate da Jonathan Hickman, un salto temporale in avanti di qualche mese ci mostra una nuova Thor, che si rivelerà poi essere Jane Foster, ex compagna del figlio di Odino. Immaginate il pandemonio che si è scatenato tra i nerd di tutto il mondo: ma Thor deve essere un uomo! È inaccettabile! Hurr durr! I nerd, però, si sono dimenticati che sul martello Mjolnir c’è scritto che chiunque impugni il martello, se ne sarà degn* (nell’originale “worthy”, che come tutti gli aggettivi non si declina, e dunque può essere sia maschile che femminile), riceverà il potere di Thor. Inoltre, un alieno con la faccia da cavallo (il korbinita Beta-Ray Bill) è già stato Thor, direi che, cari nerd, possiamo accettare serenamente che lo possa essere una donna. Soprattutto perché il ciclo con Jane Foster – in cui lei, oltre a essere Thor, combatte il cancro – dimostra anche agli ultimi scettici le grandi capacità narrative di Aaron, la cui sottotrama di Malekith comincia a serpeggiare più insistentemente. Esce poi la mini The Unworthy Thor, nella quale Aaron rivela finalmente che Nick Fury aveva bisbigliato al figlio di Odino che “Gorr (il macellatore di dei, ricordate?) aveva ragione”: gli dei non possono essere degni dell’adorazione dei mortali, perché intrinsecamente malvagi.

Questo sviluppo è forse il perno su cui ruota l’intera narrazione dell’opera di Aaron: un’umanizzazione del personaggio meno umano del pantheon Marvel, un Thor fragile, insicuro, arrabbiato per essere diventato indegno, e affacciato sull’abisso al punto da unirsi all’Hydra del Capitan America malvagio durante l’evento Secret Empire. L’ultimo ciclo di Aaron su Thor è quello in corso di pubblicazione in Italia, prologo e tie-in de La Guerra dei Regni, l’evento del 2019 per Marvel Comics, durante il quale il piano di Malekith giunge a compimento – ma non potrà essere davvero portato a termine finché Thor avrà un martello – uno qualunque – a disposizione per dire la sua.

A oggi, l’atto conclusivo della saga, King Thor, non ha ancora terminato la sua corsa negli Stati Uniti (e in Italia deve ancora terminare proprio La Guerra dei Regni), dunque non possiamo sapere cosa riserverà il futuro prossimo al Tonante (il cui nuovo team creativo, composto da Donny Cates – la cui serie Venom è acclamatissima – e Nic Klein, promette comunque benissimo), né ad Aaron, che rimane saldamente al timone della serie dedicata agli Avengers, dopo essere diventato, di fatto, uno dei mastri costruttori dell’Universo Marvel come lo conosciamo, che ha lasciato il segno su Thor tanto quanto lo hanno fatto gli autori che hanno dato forma al personaggio, come Walt Simonson o Dan Jurgens, e ha fatto del suo ciclo – preso anche a ispirazione per il prossimo Thor – Love and Thunder del MCU – una lettura fondamentale per chi voglia comprendere il personaggio e per tutti gli appassionati di fumetti.
Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus
[Immagini: Esad Ribic, da Thor: God of Thunder #1/2; doyouevencomicbook.com; Jason Aaron/Esad Ribic, da Thor: God of Thunder vol. 2; Jason Aaron/Oliver Coipel, da The Unworthy Thor; Jason Aaron/Mike Deodato Jr., da Original Sin; Russell Dauterman, da The Mighty Thor #1; tutti editi da Marvel Comics]