L’Italia è una foresta

“Là dove c’era l’erba ora c’è una città”. Era il 1966 e Adriano Celentano cantava così. Ora, nel 2019, siamo passati al “guarda lì c’era un campo e ora c’è una foresta”. No, non è un verso dell’ultima hit di Calcutta o di un altro cantante indie, bensì è quello che molti nonni/genitori stanno dicendo ai loro figli/nipoti. Nel mondo ogni anno vengono distrutti circa 15 milioni di ettari di foresta, l’Italia è in netta controtendenza.

Un po’ di dati…

Nel nostro paese le foreste coprono più di un terzo del territorio e sono in continuo aumento. In 100 anni la superficie boschiva è raddoppiata, a dircelo è l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che certifica come il nostro paese sia al di sopra della media europea per aree occupate da boschi, con ben 11 milioni di ettari. Solo nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2017 si stima un incremento della superficie coperta da alberi del 4,7%. Vi è però anche un costante aumento dei valori di copertura artificiale nelle aree urbane, ma allora come si spiega l’aumento delle aree verdi? Boschi e foreste vanno ad occupare aree marginali del territorio, soprattutto pascoli abbandonati. L’Italia negli ultimi anni ha ridotto del 4% le aree adibite a coltivazione erbacea agricola o al pascolo, in montagna, nei pascoli in quota, ma soprattutto nelle aree collinari.

L’Italia è un paese virtuoso che, forse poco consapevolmente, lotta contro la deforestazione globale? Sarebbe bello poterla pensare così, ma dobbiamo leggere questa nuova situazione come un fenomeno sociale. L’aumento dei boschi nella penisola è indice di un cambiamento radicale nelle abitudini colturali e culturali del nostro paese. Mai nella penisola dall’anno Mille la copertura era raddoppiata in soli cento anni. Cos’è cambiato? Nell’800 Victor Hugo paragonava i nostri boschi ad un giardino, per la cura con cui erano tenuti grazie alla secolare esperienza delle Regole. Sono sempre stati una risorsa preziosissima per la vita sociale e per le industrie manifatturiere italiane, basti pensare alla rinomata qualità del mobile italiano.  Le prime leggi per un rimboschimento delle nostre foreste risalgono a dopo le due guerre mondiali a causa delle devastazioni provocate dai bombardamenti sulle zone montane. Dagli anni ‘60-‘70 però è l’economia del paese a rivoluzionarsi: il riscaldamento a gas si diffonde in tutte le famiglie, rendendo così il legname una risorsa non più primaria. Si sviluppano di più le industrie ed il settore dei servizi, spingendo molti cittadini ad abbandonare l’attività agricola o il pascolo di bestiame.

La riforestazione incontrollata è un bene o un male?

Al di là della perdita di conoscenze millenarie sulla regolamentazione dei boschi, questo progressivo allontanarsi dell’uomo dall’elemento legno lasciando libero sfogo alla natura è un bene o un male? Dobbiamo guardare al proverbiale bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, o meglio, al bosco mezzo pieno o mezzo vuoto. La crescita incontrollata degli alberi può dar luogo ad alcuni problemi.
Le nuove piante crescono molto densamente, molto vicine tra loro, rendendo più difficile l’intervento in caso di
incendio boschivo. Negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente il numero di incendi e si è dovuti ricorrere all’impiego massiccio dei Canadair, unico mezzo in grado di raggiungere aree dove altri non riescono ad arrivare.

Fonte: ilbolive.unipd.it

Inoltre, i giovani alberi crescendo troppo vicini saranno maggiormente soggetti ad effetti domino a causa di violente bufere di vento, un fenomeno molto più frequente e violento che in passato a causa dei cambiamenti climatici: tutti ricordiamo le immagini degli effetti della tempesta del 31 ottobre 2018 sulle Alpi bellunesi, con interi versanti abbattuti da raffiche oltre i 100km/h.
E ancora, la riforestazione non controllata spesso va a scapito delle specie autoctone: l’uomo ha introdotto specie aliene come Robinia pseudoacia e Alianthus altissima, specie invasive che comportano una riduzione della biodiversità.
Infine, l’abbandono dell’uomo di vaste aree che tornano allo stato selvaggio favorisce sicuramente la
reintroduzione e la proliferazione di specie animali scomparse da anni dalle nostre montagne, come l’orso bruno e il lupo. Tanti ne hanno gioito, tranne chi se li è ritrovati sulla porta di casa. Con l’abbandono dei prati e dei pascoli non c’è più una zona-filtro tra il bosco ed il centro urbano, normale quindi che gli animali selvatici si avvicinino ed “invadano” i centri abitati, attirati dalle risorse che offrono.

Benefici certificati per la prima volta al mondo

Fin qui questa riforestazione non sembra un grande affare, ma l’Italia è il primo paese al mondo ad aver calcolato scientificamente l’impatto positivo che gli alberi hanno sulla comunità. Mille ettari tra Veneto, Trentino Alto Adige e Lombardia hanno ottenuto la certificazione a livello mondiale per tutti e cinque i servizi ambientali presenti nel territorio, i cosiddetti “servizi ecosistemici”: conservazione delle specie animali e vegetali, miglioramento della qualità e quantità dell’acqua, aumento della stabilità e dei nutrienti contenuti nel suolo, aumento dello stoccaggio e sequestro del carbonio, miglioramento dei servizi turistico-ricreativi. L’obiettivo è stato raggiunto grazie alla collaborazione tra WaldPlus, azienda specializzata nella gestione di foreste, ed Etifor, spin-off dell’università di Padova, che si occupa dei suddetti calcoli dei benefici. I terreni certificati occupati da nuove specie vegetali presentano una maggiore biodiversità, un suolo più ricco, con effetti positivi sulla diminuzione dell’erosione, sulla fertilità e il miglioramento dell’attività microbica. Inoltre, lo studio stima che un albero adulto cattura 0,65 tonnellate di CO2, quindi per catturare le emissioni medie di un’automobile in un anno basterebbero tre alberi adulti. L’Italia dispone di 11 milioni di ettari (in aumento): fateci due conti!

Plan Bleu, un piano per il Mediterraneo

Fonte: Wikipedia

La riforestazione incontrollata con relative problematiche è un fenomeno non solo italiano, ma Mediterraneo. Le foreste Mediterranee coprono una superficie di 88 milioni di ettari, circa il 2% della superficie forestale mondiale,  in costante aumento (1,8 milioni di ettari in più tra il 2010 ed il 2015). La situazione è seguita e monitorata dalla FAO, che assieme a Plan Bleu, attività regionale del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il 26 novembre 2018 ha pubblicato un rapporto che sollecita 27 paesi dell’area mediterranea ad adottare una serie di provvedimenti :

  • Assottigliare e piantare specie di alberi misti per ridurre l’impatto della siccità
  • Nuove politiche antincendio che vadano oltre la soppressione degli incendi e comprendano attività preventive di gestione della vegetazione, preparazione alle emergenze e ripristino
  • Una strategia forestale regionale e politiche comuni
  • Rafforzamento della catena di valore forestale
  • Le foreste mediterranee fanno già parte dell’economia verde, ma i loro contributi potrebbero essere massimizzati se le strategie relative all’economia verde vi ponessero maggiore attenzione
  • Aumento di foreste, parchi e orti nelle aree urbane
  • Creazione di partenariati pubblico-privato più forti per la gestione delle foreste
  • Applicare le linee guida della FAO sul ripristino di foreste e paesaggi degradati

Di certo, se questi punti fondamentali fossero adottati fin da subito, qualcosa cambierebbe già dalle prossime emergenze forestali. Purtroppo però ci stiamo limitando ad interventi tampone, al caos burocratico ed al rimbalzo delle responsabilità. Non basta la Pubblicità Progresso nei mesi estivi per evitare gli incendi. Qualcuno ha più sentito parlare di interventi sulle foreste bellunesi dopo la cronaca della catastrofe? Prevenire è meglio che curare, siamo ancora in tempo per farlo.

 

Fonte immagine in copertina: FAI

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