Perché ci si riunisce a Katowice, ma gli Accordi di Parigi non sono stati ancora implementati? Perché le Nazioni Unite ci dicono che tra pochi anni il mondo collasserà e per le strade ci sono solo quelli che lottano contro la carbon tax? Perchè questa questione ambientale è così complessa? Se i piani alti non fanno nulla, perchè dovrei fare qualcosa io? Perché dovrei scegliere lo zero waste, riducendo la mia così piccola e individuale e particolare impronta sul pianeta?
Beh, perchè ognuno di noi è responsabile non solo ma almeno della propria, di impronta, e visto che il mondo non cambia spesso, la vera rivoluzione sarà cambiare te stesso. Ogni individuo ha il potenziale per cambiare se stesso, le proprie abitudini e forse, poi, anche il proprio ambiente. Una qualche punta di narcisismo forse c’è, ma ti assicuro che è davvero galvanizzante sentire di cambiare il mondo un gesto alla volta.
Pulit* io, pulito l’ambiente
A proposito di galvanizzante, una delle cose che mi ha fatta sentire più potente negli ultimi tempi è stato buttare il mio spazzolino. Nell’umido. Perché era in bambù e quindi biodegradabile.
L’igiene personale è un ambito in cui senza accorgerci veniamo ricoperti di plastica e packaging vario, perché insomma, vuoi non lavarteli i denti? Facciamo una cosa: vai in bagno e conta quanti prodotti per la cura del corpo hai. Bene, quanti di questi sono di plastica? Solo alcuni, la metà, tutti? Le alternative, per fortuna, esistono e stanno cominciando a diventare piuttosto diffuse: spazzolini e cotton fioc in bambù, spazzole in legno, saponi nudi, ovvero shampoo e saponi per il corpo – come quelli di Lush o di Lamazuna – ma anche deodoranti, che si presentano in forma solida e quindi non hanno bisogno di un contenitore. Si trovano poi creme e dentifrici contenuti in vetro, come quelli di Geoganics. Al posto di assorbenti e tamponi si possono provare coppette mestruali e assorbenti lavabili e per chi si trucca esistono anche salviette detergenti lavabili.
Ecco poi l’immancabile sezione “rimedi della nonna” (una nonna cosmopolita, a dire il vero!): farina di ceci come shampoo, olio di ricino come mascara, zucchero ed olio d’oliva come scrub, cera araba (zucchero, acqua e limone) per l’epilazione (anche se i rasoi non monouso sono una valida alternativa), olio di cocco per pelle, capelli, per struccarsi, per l’oil-pulling (pratica antichissima per disinfettare il cavo orale)… ok, praticamente per tutto.
Corpo sano in ambiente sano
Anche in cucina i rifiuti che produciamo lasciano a bocca aperta. Basti pensare a tutte le bottigliette di plastica che si utilizzano in una giornata, sostituibili semplicemente con una borraccia termica. O all’incomprensibile ossessione di certi supermercati di incartare le fette biscottate in matrioske di plastica. Ma anche qui, con un po’ di ingegno e organizzazione, le alternative non mancano. Comprare al mercato, trovare il gruppo di acquisto solidale della propria zona, scovare il negozio sfuso e il negozio eco-friendly più vicino e non uscire mai senza una borsa di tela per la spesa.
Ad un ulteriore livello, si può pensare al contenuto del carrello della spesa. Per quanto si possa andare matti per il giaca o per il frutto del drago, ragioniamoci un secondo: viaggiano più loro per arrivare sulle nostre tavole che noi per andare a scoprire il mondo. Non particolarmente sostenibile, considerato l’alto impatto ambientale di un mezzo di trasporto come l’aeroplano. Come non è sostenibile il consumo smodato di carne e di prodotti di origine animali che – ormai tanti studi lo dimostrano – hanno processi di lavorazione, produzione e raffinazione incredibilmente inquinanti e irrispettosi dell’ambiente – nonché degli animali direttamente interessati. Cambiare le proprie abitudini, o le tradizioni, è difficile e lo è ancora di più rispetto all’alimentazione. Perché il cibo è molto più che nutrimento: è socialità e condivisione. Ma il suo aspetto sociale non viene intaccato scegliendo consapevolmente di mettere da parte una parte del proprio ego a vantaggio dell’eco. Scegliere biologico e locale si può e si può anche scegliere di ridurre, o addirittura eliminare, il consumo di alimenti con un forte impatto ambientale – salutiamo sempre soia e olio di palma che ci seguono da casa – così come si può scegliere di auto-produrre. Certo, non tutti viviamo in campagna o abbiamo a disposizione ettari di terreno, ma l’auto-produzione ha mille volti: dalla lattuga sul terrazzo, ai biscotti fatti in casa per la colazione, passando per lo yogurt, la marmellata e le conserve.
Rispetto in-door…
Sempre restando in casa, le possibilità per viverla in modo più sostenibile sono tante. Non soffermandoci solo sulle forniture di energia da fonti rinnovabili, si può scegliere di bere l’acqua del rubinetto, magari filtrata con una brocca depurante o del carbone attivo e bambù (che trattiene cloro e clorammine), di optare per l’acqua in vetro o di rifornirsi alle casette dell’acqua che stanno prendendo sempre più piede in molti comuni. Se ad una cena tra amici, poi, proprio non si ha voglia di lavare i piatti, si possono utilizzare le posate e le stoviglie di carta o quelle in mais. La pellicola si può sostituire con i Tupperware o con la pellicola vegetale, lavabile e riutilizzabile, come quella di Cosse Nature. Le spugnette in fibra di cocco sono una valida alternativa alle spugne per la casa classiche. I prodotti per la pulizia della casa e dei vestiti possono essere rimpiazzati con i detersivi sfusi o le soapnuts – gli adorabili semini del Sapindus, una pianta della famiglia delle Sapindaceae, che essendo ricchi di saponina creano un composto lavante e senza additivi, se emulsionati con acqua. Ancora, la lavatrice si può fare utilizzando Guppyfriend, una borsa che filtra e raccoglie sul fondo le microplastiche rilasciate dai capi sintetici lavati con qualsiasi programma e a qualsiasi temperatura.
… e out-door
Anche fuori casa l’ecosostenibilità è… sostenibile. Basti pensare ai trasporti: si può scegliere di camminare, di utilizzare la bici (anche d’inverno!), i mezzi pubblici o, se proprio è necessario usare la macchina, il car sharing. O ancora, si può chiedere l’aperitivo senza cannuccia e la focaccia da portare via senza borsina di plastica – difficilmente si riceve un no come risposta, molto più spesso si riceve un sorriso. Ora, il Natale ce lo siamo già lasciati alle spalle, ma le occasioni per scambiarsi regali non si esauriscono ed ecco come farlo in modo eco-friendly: i pacchetti si possono fare con carta riciclata, con spago e scotch di carta compostabile (oppure ci si può addentrare nel meraviglioso mondo dei furoshiki) e si possono valutare regali immateriali, come esperienze o un albero su Treedom.
Ma non finisce qui. Levi Strauss & Co. per produrre un paio di jeans 501 utilizza 3.781 litri di acqua. Che corrispondono all’acqua che un individuo beve in all’incirca in cinque anni – ponendo il roseo obiettivo dei due litri al giorno. Ora, chiaramente non possiamo evitare di vestirci, ma possiamo scegliere che circuiti sostenere, evitando ad esempio le catene di fast fashion – qui ci son giusto altri due motivi per farlo – e dando una chance a mercatini di seconda mano e negozi dell’usato. Di marchi che si impegnano in progetti di sostenibilità e utilizzano processi e materiali fair ne esistono, ma il second hand è indubbiamente più amico del portafogli. Ma soprattutto, e in questo risiede la sua grande magia, permette di dare nuova vita a prodotti già immessi nel ciclo economico – che verosimilmente stanno ancora scontando le spese ambientali della loro produzione – disincentivando la corsa al produrre in nome di cose e quantità di cui non abbiamo realmente bisogno.
Leggere attentamente il foglietto illustrativo
Quando si parla di alternative sostenibili il dito che si alza più velocemente in segno di polemica è quello del costo: le alternative eco-friendly sono più costose di quelle tradizionali. Perché spendere $30 per una cover di Pelacase completamente compostabile o $26 per un paio di infradito di Subs fatte con plastica raccolta durante i clean up delle spiagge? Perchè comprare biologico o passare a forniture di energia da fonti rinnovabili quando tutto ciò ha un impatto sul nostro portafogli? Ha ragione Valerio Vignoli quando dice che l’ambientalismo è sempre più una cosa per benestanti?
Chi produce in modo sostenibile sta cavalcando l’onda dei beoni radical chic che vogliono salvare il pianeta? Forse. Più probabilmente, però, l’eco-friendly è più costoso perché presuppone processi produttivi più curati, materie prime e ingredienti senza chimica e mission etiche. La qualità, l’impegno e gli ideali hanno valore, e quindi un costo, e dovremmo cominciare a pensare che magliette a €4.99, petto di pollo a €1.90, Milano-Londra a €7.99 e tre bagnoschiuma al prezzo di uno non possono non nascondere sfruttamento – dell’ambiente, ma anche degli esseri umani che lavorano alla loro produzione. Cosa siamo individualmente disposti e disposte a finanziare? Quanti costi occulti vogliamo accettare?
Cambiare è difficile, mutare le proprie abitudini può essere agrodolce, uscire dalla propria zona di comfort può far paura, pensare che si possa volere meno a più invece che più a meno sembra controintuitivo. Ma lo zero waste è un viaggio nel minimalismo, nel prendere scelte pensate e consapevoli e nel sentire di avere un impatto, e vale tutto l’impegno.
Certo, ci sono anche degli effetti indesiderati, come quando ti accorgi di quanto ancora potresti fare e ti viene l’ansia da prestazione. Per quanto nobile sia il traguardo, lo zero waste non è una gara e non è il metro attraverso cui misurare il proprio desiderio di perfezione. È un percorso fatto di compromessi – non mangio carne, ma prendo 10 aerei all’anno oppure compro da H&M, ma vado a fare la spesa al biologico -, di fallimenti non voluti – come quando ti portano l’aperitivo con la cannuccia anche se l’avevi espressamente chiesto senza – e di errori scelti – perché insomma si possono desiderare davvero ardentemente quei biscotti al cioccolato confezionati in plastica. Ma il fatto è che ogni passo, per quanto piccolo, ha valore. Cominciamo a camminare, da soli e insieme.
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Scarica qui il vademecum per una vita a impatto zero, affiggilo nei tuoi spazi, condividilo con chi conosci e cambia il mondo, un gesto alla volta.
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Marta Silvia Viganò
Foto da Shutterstock con licenza
6 pensieri su “Una vita a impatto zero”