La Spagna è l’unico paese europeo ad avere prigionieri politici. Per gennaio 2019 sono fissate le prime udienze dei processi ai leader indipendentisti catalani, nelle patrie galere ormai da un anno e mezzo, accusati di sedizione e ribellione. Ma come si è giunti a questo? Il vento della ribellione gonfia ancora l’estelada nelle piazze di Barcellona?
Vecchi protagonisti
Il primo è Carles Puigdemont, ex presidente della Generalitat de Catalunya. Colui che ha lottato per tenere il referendum, contro la Corte costituzionale, contro il governo centrale. Il 27 ottobre 2017, dopo aver aspettato invano aperture da parte del governo ha dichiarato la Catalogna “Stato indipendente sotto forma di Repubblica”. E’ poi costretto il 31 ottobre a rifugiarsi in Belgio per sfuggire alla cattura dopo l’arresto del suo vice Oriol Junqueras e di altri funzionari. Nel corso dell’esilio, Puidgemont costituisce un governo parallelo a Bruxelles, cercando (invano) anche l’appoggio della Comunità Europea, ribadendo il principio di autodeterminazione dei popoli. Arrestato a Neumünster, Germania, il 25 Marzo 2018, viene però subito rilasciato. Il tribunale regionale dello Schleswig Holstein non riconosce l’estradizione per ribellione, costringendo così il Tribunale Supremo spagnolo a ritirare il mandato di cattura internazionale. Rimane però valido il mandato di cattura sul suolo nazionale, motivo per cui tutt’oggi rimane in esilio nella sua residenza di Waterloo.
L’altro grande protagonista è l’ex primo ministro Mariano Rajoy, presidente del Partido Popular, vera nemesi di Puigdemont. Rifiutando da sempre il dialogo con la Generalitat, è stato il primo premier ad applicare, a seguito della dichiarazione d’indipendenza del 27 ottobre, l’articolo 155 della Costituzione spagnola. Quest’ultimo è applicabile qualora una comunità autonoma non rispetti le norme costituzionali poste a fondamento dello stato, e prevede l’esautorazione del suo governo ed il commissariamento. Così infatti avviene: il parlamento catalano viene sciolto, Puidgemont destituito, ed i suoi poteri passano alla vice di Rajoy, Soraya Sáenz de Santamaria.
Ma le sorti politiche sono avverse anche per Rajoy: il 1 Giugno 2018, a seguito di uno scandalo di corruzione nel Partido Popular, il parlamento approva una mozione di sfiducia nei suoi confronti, anche grazie ai voti dei partiti indipendentisti catalani.
Forse non protagonisti, ma nemmeno semplici comparse sono infine i famosi Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana. A detta di molti sostenitori della causa indipendentista, il loro rifiuto di intervenire con la forza per impedire le operazioni di voto (come ordinato e poi eseguito dalla Guardia Civil) schierandosi dalla parte dei propri concittadini è stato un atto eroico. Tra loro emerge il comandante Josep Luis Trapero, diventato una delle icone dell’indipendentismo, ora indagato, imputato di sedizione.

Nuovi protagonisti
Con Puigdemont in Esilio e Rajoy fuori dai giochi, chi ha preso il loro posto?
Quim Torra dal 17 maggio 2018 è il nuovo presidente della Generalitat, designato alla successione dallo stesso Puigdemont dopo mesi di stallo. A seguito del commissariamento vengono indette nuove elezioni per il 21 dicembre 2017. Queste avrebbero portato alla rielezione dell’ex presidente, ma egli avrebbe dovuto essere presente in aula per l’insediamento, cosa impossibile, dato che avrebbe portato al suo arresto immediato appena entrato in territorio nazionale. Non potendo governare “a distanza” e non potendo presenziare per interposta persona all’insediamento, è egli stesso a proporre Torra come suo successore. L’editorialista e scrittore, appartenente all’ala più radicale dell’indipendentismo è subentrato con il suo governo al commissario Soraya Sáenz de Santamaría il 2 giugno 2018.
A Madrid, intanto,è Pedro Sánchez a presentare la mozione di sfiducia contro Mariano Rajoy, ed è proprio lui a succedergli come capo del governo spagnolo. Segretario del PSOE, per un curioso caso del destino entra in carica anch’egli il 2 giugno 2018, giurando innanzi a Re Felipe VI. Sostenuto anche dai voti dei partiti indipendentisti catalani, inizia una politica di distensione nei confronti di Barcellona, fissando un Consiglio dei ministri il 21 dicembre 2018 proprio nel capoluogo catalano.
Fine della tregua
Il periodo di tranquillità è durato poco, proprio in vista del 21 dicembre la tensione tra i 2 governi è tornata a salire. Due episodi hanno allarmato Madrid: il mancato intervento dei Mossos d’Esquadra contro manifestanti appartenenti ai Comités de Defensa de la República (CDR), che l’8 dicembre scorso hanno bloccato per ore la AP-7, importante arteria autostradale nei pressi di Tarragona. Proprio lo stesso giorno Torra, da Bruxelles, dove ha incontrato l’ex presidente Puigdemont, ha dichiarato “noi catalani non abbiamo più paura, non c’è marcia indietro dal cammino della libertà. Gli sloveni hanno deciso di seguire lungo il cammino con tutte le conseguenze, facciamo come loro!”. Parlare di via slovena equivale a parlare di una via violenta per giungere all’indipendenza.
Questa dichiarazione ha scontentato non solo Sánchez, che ha subito chiesto spiegazioni, ma anche la maggior parte degli indipendentisti, che preferiscono una via scozzese, aperta al dialogo con il governo centrale.
A non far dormire sonni tranquilli al primo ministro si è poi aggiunta l’ascesa di Vox, partito di estrema destra anti-immigrazione, che trae vantaggio proprio dalla linea morbida nei confronti della crisi catalana, e per la prima volta entra a far parte di un Parlamento spagnolo. Dove? In Andalusia, feudo storico proprio del PSOE. Con un video di propaganda inneggiante alla reconquista con tanto di musica tratta da il Signore degli Anelli, degno delle peggiori parodie o B-movie, il partito ha ottenuto 12 seggi alle elezioni andaluse del 2 dicembre, a fronte dei 14 persi dai socialisti.
Acqua sul fuoco
il 21 dicembre però non è stata quella bomba che pareva sul punto di esplodere. Sì, ci sono stati degli scontri tra polizia e manifestanti, ma nessuno sciopero, nessun blocco di strade ed aeroporti. I due governi hanno sottoscritto un documento dove viene ripristinata l’ordinarietà dei rapporti e si impegnano a proseguire il dialogo “nel quadro della Costituzione e dello Statuto della Catalogna”. Ha prevalso il buonsenso, o più probabilmente le due parti hanno fatto un silenzioso ed astuto lavoro di arte diplomatica. Infatti il PSOE non può più permettersi di perdere consenso al suo interno nè tantomeno voti preziosi in vista del voto sull’approvazione della legge finanziaria, necessaria per arrivare a fine legislatura. Gli indipendentisti invece sperano in un prosieguo delle trattative e in una “mano leggera” della giustizia spagnola sui loro leader ancora in carcere, in attesa dei processi fissati per questo gennaio.

Vedremo mai una fine? Quanti altri protagonisti e capitoli avrà questa storia? Molte pagine sono ancora da scrivere, e le parole del primo ministro a margine dell’incontro del 21 dicembre non lasciano dubbi :“Ho sempre sostenuto che per la soluzione della crisi catalana ci vorranno anni”.
Riccardo Dotti
Fonte foto di copertina: ElNacional.cat