13 novembre 2017, 13 novembre 2018. Un anno esatto. 365 giorni che nelle vite della gente possono voler dire tante cose, cambiamenti radicali, monotonia estenuante, nascite, morti, e migliaia di possibili accadimenti quante sono le vite delle persone. Ma per una persona in particolare, quella di cui andiamo a parlare qui, in queste righe, ha significato una sola cosa. Ha significato rabbia, incapacità di ripartire, odio subìto. Ha significato vergogna.

Perchè Gian Piero Ventura, questo anno, lo ha vissuto da odiato. Un anno cominciato con la sconfitta dell’Italia nel doppio playoff contro la Svezia per accedere ai Mondiali, e terminato con le dimissioni da allenatore del Chievo, dopo un punto in quattro partite. Le stesse dimissioni che non ha presentato subito dopo il fischio finale nella gara di San Siro, quando l’Italia intera piangeva il secondo mondiale della storia senza la nazionale azzurra mentre invocava a gran voce la testa del responsabile. Che fosse Ventura, o qualcun altro, poco importava.
Da dimissioni mancate a dimissioni firmate, Ventura ha sbagliato quasi ogni scelta in questi 365 lunghi e neri giorni, capaci di far dimenticare una onesta carriera, in alcuni momenti anche esaltante, nel calcio italiano. Aiutati che il ciel ti aiuta, dice il proverbio, ma se non ti aiuti la sfortuna non sta certo a guardare.

Ventura viene annunciato nuovo ct della Nazionale Italiana quando Conte è ancora saldamente al timone della squadra, quando ancora gli Europei si devono disputare. L’Italia arriva da un Mondiale disastroso, e i quarti, persi solo ai calci di rigore contro la Germania e dopo l’esaltante vittoria contro la Spagna, vengono accolti come un risultato decisamente importante. Conte è l’eroe che con una squadra decisamente mediocre ha raccolto ancor più di quanto possibile. E come eroe, costoso, se ne va, lasciando a Ventura la cenere di una Nazionale che già lui aveva rialimentato spargendoci sopra la benzina del carattere e dell’orgoglio.
Proprio la Spagna, punta di diamante della gestione Conte, è l’ago della bilancia di quella di Ventura, e la sonora sconfitta per tre a zero fa cedere sotto i piedi il terreno, sostenuto già poco saldamente da una FIGC allo sbando. Ma quando il sorteggio sceglie per l’Italia la Svezia tutti tirano un sospiro di sollievo. Ma la Svezia al Mondiale ci vuole andare.

Si tirerà in ballo di tutto. Da De Rossi che si rifiuta di entrare urlando di mandare in campo Insigne per vincere, a un ambiente troppo nero dopo la sconfitta patita in Svezia, fino ad accusare gli svedesi di essere troppo catenacciari. Il risultato non cambia, gli scandinavi vanno a Russia 2018, l’Italia per la seconda volta nella sua storia non riesce ad accedere al Mondiale.

“Non mi dimetto, perchè non sono l’unico colpevole. E poi io le dimissioni le ho già date dopo la partita con la Macedonia”. Dimissioni rifiutate da Tavecchio, presidente della FIGC, quando ancora il disastro sembrava lontano. Ma le parole di Ventura, certamente veritiere, arrivano troppo presto, arrivano quando ancora il tricolore slavato sulle guance non è stato cancellato, arrivano quando la stretta allo stomaco dopo aver capito che l’Italia al Mondiale non ci sarà non è ancora passata. E così, Ventura diventa il nemico, l’odiato, quello contro cui tutti puntano il dito.
La mancata qualificazione al mondiale causa un terremoto nelle istituzioni sportive del paese. Tavecchio presenta le dimissioni da presidente, chiedendo che anche tutti i consiglieri si dimettano: nessuno lo segue. Alle elezioni di gennaio non si riesce ad eleggere un nuovo presidente, e così la Federazione viene commissariata dal CONI. Intanto la squadra viene affidata a Di Biagio, allenatore dell’Under21, per qualche mese, in attesa che si trovi un allenatore che accetti l’onore della Nazionale senza pretendere uno stipendio eccessivo.
E Ventura? Con un altra scelta mediaticamente poco oculata, anche se umanamente necessaria, va in vacanza. A Zanzibar. Vedendo le foto, chiunque pensa “ah, va pure in vacanza con i nostri soldi” e il vortice di odio che circonda la figura dell’ex allenatore di Bari e Torino cresce ancora di intensità. In estate diverse squadre pensano a lui per ripartire, ma alla fine nulla si concretizza ed al fischio d’inizio della Serie A lui resta a casa. Diverse interviste escono in quei giorni, in cui lui cerca, anche convincentemente, di ribadire che la colpa non sia solo sua, che è ancora un allenatore e che può tornare a guidare una squadra.

Dobbiamo aspettare ottobre ed il Chievo perchè lui torni ad allenare. E lo fa in una situazione complicata, perchè dopo quasi tre mesi di campionato i veronesi sono ancora in negativo in classifica, con soli due punti guadagnati in tutta la stagione. La conferenza stampa di presentazione serve nuovamente a Ventura a puntare il dito su altri, che “non mi hanno permesso di portare avanti il mio lavoro”. Ma poi Gian Piero ci ricasca. “La mia voglia di tornare ad allenare che dal punto di vista economico sono venuto qui quasi in amicizia.” E a lui era imputata proprio la taccagneria e l’avidità, prima causa secondo l’odio comune delle sue mancate dimissioni al tramonto dell’avventura nazionale. Non proprio un gesto elegante parlare di denaro.

Le dimissioni arrivano. Un anno esatto dopo, troppo tardi per salvare la Nazionale e troppo presto per incidere seriamente sul campionato del Chievo. Tre sconfitte ed un pareggio, al termine del quale saluta i ragazzi, chiama il presidente Campedelli e gli comunica la decisione di abbandonare. E se le dimissioni da ct della Nazionale sarebbero state accolte con freddezza, come necessarie e dovute, quelle del Chievo gli consegnano definitivamente la nomea del vigliacco. E a farlo è il capitano dei gialloblu, Sergio Pellissier, valdostano da 17 anni abbondanti a Chievo e che mai, prima di questo momento, si era esposto così tanto, a far capire la gravità delle parole che scrive sul suo profilo instagram.
Ventura in risposta riuscirà solo a dire “Rinuncio a due anni di stipendio”, tornando sul tanto odiato aspetto economico. Ora di nuovo Ventura è ai margini del calcio, in attesa di qualche accadimento che possa trasformare ancora la sua esistenza. Ma può un anno, per quanto terribile, cancellare una intera storia? Forse no.
O forse sì.
Marco Pasquariello