La Caipirinha Products è un’etichetta cinematografica con una particolare attenzione per le tematiche economiche e sociali il cui progetto principale, non a caso, prende il nome di Cultures of Resistance Films. E proprio in questo filone si colloca “Burkinabè rising – The art of resistance in Burkina Faso” di Iara Lee, pluripremiata regista e attivista brasiliana di origini coreane. Il documentario intreccia le storie di tanti burkinabè, soprattutto giovani artisti, con il percorso del loro paese. È incredibile osservare come nei suoi appena settanta minuti di girato, la pellicola riesca a dare testimonianza della vivacissima produzione culturale che permea ogni risvolto della società. Danza tradizionale, pittura, musica, teatro, street art, slam poetry, architettura… non sembra esistere uno spazio che non sia stato contagiato dalla irrefrenabile creatività dei burkinabè.
Accantonate le diversità etniche che in tante altre parti dell’Africa hanno portato a scontri sanguinosi, questo popolo ha saputo fare della cultura uno strumento di riscoperta del proprio passato pre coloniale. Infatti, prescindendo dall’appartenenza a tribù diverse e a lingue diverse, nei racconti degli intervistati risalta continuamente l’orgoglio e l’attaccamento per le tradizioni del Burkina Faso e la consapevolezza di quanto sia importante continuare a praticare forme d’arte tradizionali per tenere vive e radicate nel presente queste stesse tradizioni.
Eppure, piccolo paese molto povero e incastonato nel bel mezzo dell’Africa occidentale, il Burkina Faso raramente fa parlare di sé sui mezzi di comunicazione. Nonostante ciò, circa quattro anni fa, la terra degli uomini integri (questo il significato delle due parole che compongono il nome della nazione africana) è balzata agli onori della cronaca per la cacciata del presidente-dittatore Blaise Compaoré. Compaoré, al potere continuativamente da circa ventisette anni, era amico fraterno di Thomas Sankara che lo precedette sullo scranno presidenziale a partire dal 1983. Dopo una breve esperienza come segretario di stato all’informazione (carica da cui si dimise dopo meno di un anno) durante il governo militare di Sayè Zerbo, Sankara tornò al potere nelle vesti di presidente rivoluzionario, dando avvio a un programma politico dall’alto valore sociale ed economico: programmi di alfabetizzazione, rimboschimento del Sahel, ridistribuzione della terra ai contadini, lotta alla corruzione nell’apparato statale, campagne contro l’infibulazione e la poligamia. Ma fu quando la sua attenzione si volse sul debito post coloniale contratto con le istituzioni finanziarie internazionali che le potenze occidentali, con la complicità di Compaoré, decisero di assassinarlo.
Lo stesso Sankara, sostanzialmente uno dei protagonisti del documentario, diviene oggetto di cultura e non di rado appare sotto forma di installazione artistica, di murales, di canzone. Del resto la cultura rappresenta anche il legame tra la figura del presidente-militare e il Burkina Faso di oggi. Un legame che mai può dirsi finto o imposto: Iara Lee lascia sempre parlare i suoi intervistati senza forzarli, senza indurli a far emergere artificiosamente connessioni con un passato che alcuni di loro – per ovvie ragioni anagrafiche – non hanno mai conosciuto personalmente o che hanno solo sfiorato.
Attraverso la voce dei burkinabè scopriamo il ruolo degli artisti nelle proteste del 2014 che portarono al rovesciamento del regime di Compaoré. Come ad esempio ci racconta Serge Aimé Coulibaly, del “Faso Dance Theater” che col suo spettacolo “Notte bianca a Ouagadougou” porta in scena la rabbia contro l’autorità mentre all’esterno sale la protesta contro quella stessa autorità, tanto che realtà e finzione si possono confondere.
Quando l’immaginazione è entrata in sintonia con la società, la società ha voluto vederla realizzarsi. Così è avvenuto il cambiamento.
Anche l’attivismo del movimento dei “balai citoyen”, gruppo di pressione cittadino sulle autorità, si concretizza tramite attività come workshop e concerti, facendosi portatore di un messaggio di consapevolezza e di sensibilizzazione tra le generazioni più giovani.
Dunque arte, tanta arte. Ma non solo. Burkinabè Rising ci parla anche del ruolo delle donne nella società, di lotta al cambiamento climatico, di economia sostenibile, di sovranità alimentare. E ci si rende conto che i tentativi messi in atto trent’anni fa sono proprio il lascito più importante dello stesso Sankara che già negli anni ’80, durante la sua presidenza, aveva non solo pensato ma anche provato a realizzare un modello di sviluppo sostenibile. E questo non “in solitaria” ma col sostegno e l’apporto di un intero popolo poiché, per citare le parole del presidente stesso “tutto ciò che è immaginabile dallo spirito dell’uomo è realizzabile da questo stesso spirito”.
Marco Colombo
Fotografie: Terra di Tutti Film Festival
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