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Caporalato, 16 morti in 48 ore tra pomodori e lamiere

In meno di 48 ore, tra il 4 e il 6 agosto, due incidenti stradali sono costati la vita a 16 braccianti nel foggiano. Stavano tornando a “casa”, se così si può chiamare l’ex ghetto di Rignano dove in questo periodo 500 braccianti vivono in baracche fatiscenti e in condizioni igieniche al limite della dignità per poter partecipare alla raccolta dei pomodori per una manciata di euro al giorno. Stipati nei furgoni messi a disposizione, a pagamento, dei caporali, sono rimasti incastrati tra le lamiere.

Difficile anche solo identificare i corpi: al momento è stato possibile riconoscere solo due ventenni, uno del Gambia e l’altro della Guinea Bissau che viaggiavano, insieme ad altre otto persone, nel retro del furgone bianco che la sera del 4 agosto si è scontrato con un tir carico di pomodori sulla strada provinciale 105 tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri. Nessuno aveva con sé documenti di riconoscimento e i braccianti erano tutti di origine straniera: due elementi che fanno pensare che si tratti sì di un doppio tragico incidente, ma di nulla di imprevedibile.

“Lo ripetiamo: tutto questo – commenta a Repubblica segretario generale di Cgil Puglia, Pino Gesmundo è frutto di un sistema basato sul caporalato e lo sfruttamento. Senza un deciso intervento pubblico per il controllo del territorio e l’istituzione di servizi di accoglienza e trasporto pubblico, continueremo a contare vittime, mentre le economie criminali ingrasseranno i loro portafogli”. Sulla stessa linea anche il sindacalista Usb (Unione Sindacale di base) Aboubakar Soumahaoro che dà appuntamento mercoledì 8 agosto alla Torretta Antonacci, nell’ex ghetto di Rignano, per dare vita ad una giornata di sciopero. Una marcia per la dignità dei braccianti, simboleggiati dai berretti rossi che erano stati distribuiti per proteggerli da caldo della campagna pugliese durante il lavoro e ora abbandonati a terra tra lamiere e pomodori.

Nessun contratto di lavoro oppure, nella migliore delle ipotesi, un contratto che non viene rispettato. Giornate di lavoro di 8, 10, 12 ore per una paga che non supera i 3 Euro all’ora. Nessuna tutela, nessun diritto: pasti a parte, trasporti a carico dei braccianti – 5 euro al giorno, secondo quanto raccontano al sindacato proprio i lavoratori impiegati nelle campagne pugliesi. Queste sono le condizioni di “lavoro” per 430mila persone in Italia, secondo i dati di Oxfam presentati nel rapporto “Gli Sfruttati”. Soprattutto stranieri, uomini e donne di tutte le età, molti dei quali in situazioni di regolarità, che, da anni, si sono trasformati in un inestinguibile bacino da cui i caporali possono attingere.

Il caporalato, infatti, non è un fenomeno nuovo, così come non coinvolge soltanto il foggiano in Puglia, la Calabria di Rosarno o la Sicilia di Marsala. Come sottolinea il V Rapporto Agromafie, sono 80, in tutta Italia, i distretti agricoli dove sono state rilevate dalle forze dell’ordine casi di sfruttamento e caporalato, territori equamente distribuiti tra Nord e Sud del Paese. Cambiano i luoghi, cambiano le coltivazioni, cambiano i periodi dell’anno, ma non le cause della proliferazione del fenomeno.

braccianti campi pomodoro
Fonte: Carta di Roma

Secondo il giornalista Antonello Mangano, promotore del progetto “Filiere”, queste vanno ricercate, da un lato, nella compressione del prezzo di vendita dei prodotti che costringe a rifarsi sul costo del lavoro e nella presenza di un bacino di manodopera a basso costo a cui, peri produttori, è facile attingere. “L’impressione – spiega il giornalista a Il Giornale del Cibo – è che esista un nesso con le politiche di gestione dell’accoglienza che hanno prodotto questi bacini di lavoratori a disposizione e che fanno gola a molte aziende.”

Dello stesso avviso anche Jennifer Locatelli, coordinatrice del progetto “Terragiusta” di Medici per i Diritti Umani a Rosarno, che parla di vere e proprie fabbriche dell’illegalità, naturale conseguenza di un’accoglienza che non è capace di integrare e che, dunque, non può fare altro che produrre ghetti ed esclusione sociale. Nessuno, infatti, sembra preoccuparsi dei 16 braccianti morti, né delle migliaia di persone che in estate raccolgono i pomodori nel foggiano, per poi spostarsi in Sicilia per la raccolta delle olive e arrivare in Calabria per le arance. La filiera agricola, vanto del Made in Italy, è macchiata da queste morti che – è inutile girarci attorno – finiscono direttamente nel piatto.

Nonostante le ripetute richieste della società civile, dei sindacati, delle associazioni che con grande fatica portano avanti percorsi alternativi e “giusti”, le etichette trasparenti sono ancora l’eccezione. L’idea è quella di presentare direttamente sulla confezione l’indice di congruità, un dato che consentirebbe al consumatore di sapere, per esempio, quante persone sono state assunte con regolare contratto e rispettando i parametri previsti dalla legge, e per quanti giorni di lavoro per poter raccogliere i pomodori che sono stati impiegati per produrre la salsa. Anche in questo caso non si tratta di una proposta recente, ma ad adottare soluzioni del genere sono soltanto piccoli produttori, come quelli associati ad SOS Rosarno, oppure le associazioni Lunaria e Diritti a Sud, promotori della salsa Sfrutta Zero, o anche Funky Tomato, Barikamà e gli altri progetti virtuosi che dimostrano che un’alternativa è possibile.

Dal punto di vista istituzionale non mancano le iniziative per contrastare il caporalato, a partire dalla legge n. 199/2016 che prevede un inasprimento delle pene per i caporali, indennizzi per le vittime, responsabilità penale degli atti per le aziende che sfruttano i lavoratori. Sulla carta un passo avanti deciso, a cui hanno fatto seguito azioni delle Regioni e delle forze dell’ordine per trasformare le promesse in realtà. Ma a quasi due anni dell’approvazione, sull’applicazione della norma restano tante le ombre e le situazioni irrisolte. Commentando la stagione di raccolta degli agrumi, Medici per i Diritti umani nel report “I dannati della terra” conferma che una cassetta di arance viene pagata ancora in media 50 centesimi, un euro per una di mandarini, per una paga giornaliera che non superava i 25 euro al giorno. E ora gli incidenti nel foggiano: la Prefettura dichiara che i controlli ci sono, ma – secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore – si effettuino solamente in orario d’ufficio. Peccato che la raccolta cominci ben prima e si concluda ore dopo.

È facile girare la testa altrove e, di fronte, alla morte di 16 persone di cui probabilmente non sapremo mai i nomi rifugiarsi nella sicurezza del fatto che non accadrà mai a noi. Eppure il caporalato è un fenomeno che riguarda tutti, sia perché si parla di ciò che mangiamo, sia perché – come ha dichiarato Don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele, “questo sistema ha dimenticato che il lavoro è la base della dignità della persona e che questa dignità si garantisce con i diritti, con la sicurezza, con la giusta retribuzione. Altrimenti è sfruttamento e schiavitù. Non è più possibile assistere inerti a questo olocausto di vita e di speranza.”

 

Angela Caporale

Immagine di copertina: Ansa

 

3 pensieri su “Caporalato, 16 morti in 48 ore tra pomodori e lamiere

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