censimento rom

Un censimento che non s’ha da fare

“Mi sto facendo fare una ricognizione della situazione Rom in giro per l’Italia, per vedere chi, come, quanti […] rifacendo quello che all’epoca venne chiamato censimento… apriti cielo… e chiamiamola una situazione, una fotografia, per capire di cosa stiamo parlando […] poi i Rom italiani… e purtroppo te li devi tenere in Italia, anche perché non li puoi espellere”.

La dichiarazione del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, alle telecamere di Telelombardia, ha acceso aspri dibattiti e suscitato non poche critiche in Italia ed Europa. La proposta di un censimento sulla minoranza rom in Italia presenta diverse criticità sotto diversi aspetti. In primo luogo, la legittimità costituzionale di un censimento che seleziona un gruppo di individui appartenenti ad una determinata etnia. A seguire, l’utilizzo dei dati personali raccolti dall’indagine statistica per fini diversi da quelli statistici, insieme alla conservazione (in banche dati) di informazioni sensibili delle persone prese come campione. Last but not least, la violazione dei Trattati dell’Unione europea e della Convenzione Europea dei Diritti Umani, problematica già sollevate nel 2008 dal censimento effettuato sulla comunità rom in Italia, la quale, inevitabilmente, si ripresenta nel 2018, a due anni dalla fine della “Strategia Nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti”, che attua la comunicazione della Commissione europea n.173/2011.

matteo salvini censimento rom
(ANSA/FABRIZIO RADAELLI)

La Costituzione: eguaglianza e pari dignità

La prima criticità si rivolge all’idea stessa di un censimento che abbia come obiettivo la selezione di un gruppo di persone in base ad un determinato carattere culturale ed etnico. L’articolo 3 della Costituzione italiana sancisce, infatti, che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Sottolineiamo, inoltre, che l’appartenenza ad un’etnia diversa da quella della maggior parte della popolazione non potrà mai precludere ad un individuo la cittadinanza italiana. Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, ricorda, inoltre, che il censimento effettuato sulla popolazione rom del 2008 “ha registrato un totale di 12.300 persone, di cui 5.400 bambini. Durante la visita del commissario, il presidente dell’Autorità per la protezione dei dati ha osservato che la maggior parte dei rom registrati erano cittadini italiani.”

Trattamento dei dati sensibili: una questione delicata

L’utilizzo della parola censimento da parte del Ministro solleva, oltretutto, la delicatissima questione della raccolta, della conservazione e del trattamento dei dati personali della minoranza etnica. Si violerebbe l’articolo 9 del d. lgs. n. 322/1989, secondo cui “I dati raccolti nell’ambito di rilevazioni statistiche comprese nel programma statistico nazionale da parte degli uffici di statistica non possono essere esternati se non in forma aggregata, in modo che non se ne possa trarre alcun riferimento relativamente a persone identificabili, e possono essere utilizzati solo per scopi statistici.”.

Il censimento (fotografia, monitoraggio etc.) andrebbe in contrasto anche con l’articolo 2 del d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196, il quale “garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.” Due decreti legislativi tutt’altro che irrilevanti.

La reazione europea dal 2008

parlamento europeo

La criticità, in merito al trattamento dei dati personali, viene evidenziata anche dal Commissario Hammarberg, le cui osservazioni vengono citate nella risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2008: “Il commissario ricorda che la raccolta e la conservazione (trattamento) dei dati personali sensibili dei rom avrebbe dovuto rispondere al principio fondamentale della necessità, sancito dalla normativa europea per la protezione dei dati personali” e che “considerato anche il fatto che la maggior parte delle persone censite sono cittadini italiani, è facilmente osservabile che l’obiettivo di cui sopra avrebbe potuto essere conseguito senza condurre un censimento di emergenza di tali dimensioni e il trattamento di dati personali sensibili.”.

La proposta dell’attuale Ministro dell’Interno rimanda, dunque, al precedente tentativo di censire la popolazione Rom in Italia, che già all’epoca venne riconosciuto come incostituzionale, in violazione dei Trattati dell’Unione europea e della Convenzione Europea dei Diritti Umani.

Il Parlamento europeo esortava, inoltre, “le autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte digitali dei rom, inclusi i minori, e dall’utilizzare le impronte digitali già raccolte”, “in quanto ciò costituirebbe chiaramente un atto di discriminazione diretta fondata sulla razza e sull’origine etnica, vietato dall’articolo 14 della CEDU, e per di più un atto di discriminazione tra i cittadini dell’Unione Europea di origine rom e gli altri cittadini, ai quali non viene richiesto di sottoporsi a tali procedure”.

Più campi, meno diritti

Le dichiarazioni del Ministro e l’aspro dibattito, che ha seguito la proposta del censimento sulla comunità rom in Italia, fanno emergere quanto della “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti”, in attuazione della comunicazione della Commissione europea n.173/2011, ancora non sia stato attuato. Nel testo presentato dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) si sottolinea quanto sia cruciale “superare l’approccio di tipo assistenzialista e/o emergenziale e quanto sia urgente attuare misure adeguate e specifiche, affinché siano pienamente affermati l‘uguaglianza, la parità di trattamento (art. 3 della Costituzione italiana) e la titolarità dei diritti fondamentali e dei doveri inderogabili (art.2 della Costituzione italiana)”. I principi e l’orientamento della Strategia nazionale d’inclusione sono certamente un punto di partenza fondamentale, ma si noti che il termine ultimo per completare il processo di inclusione delle minoranze in questione è il 2020, tra due anni. Ancora oggi si parla di “emergenza rom” e di una minoranza etnico-culturale non sufficientemente tutelata, come ha ricordato Amnesty International in merito alle precarie condizioni in cui si vive all’interno dei campi, specificando come “Al contrario, in alcuni casi le autorità hanno addirittura pianificato e/o avviato la costruzione di nuovi campi”, piuttosto che attuare politiche pubbliche in grado di assegnare alloggi dignitosi a individui che, in aggiunta, sono cittadini italiani a tutti gli effetti.

Tutela e integrazione: due obiettivi emblematici

È fondamentale, in conclusione, che le strategie messe in atto per superare l’indifferenza e la discriminazione verso queste minoranze, non siano esse stesse contaminate, sin dal principio, da una conoscenza lacunosa e da un orientamento che tende alla risoluzione di una distopica “situazione emergenziale”, che porta unicamente ad una sempre maggiore segregazione e allontanamento delle comunità dei rom, dei sinti e dei caminanti, le quali non possono, ancora oggi, beneficiare appieno dei propri diritti, in quanto minoranze etniche e, per i membri, in quanto esseri umani, in gran parte cittadini italiani ed europei. La questione che deve emergere dal dibattito pubblico non può più riguardare la cosiddetta “emergenza rom”, ma la ormai impellente necessità di formulare una risposta politica in grado di tutelare le minoranze in Italia e in grado di avviare un vero processo di integrazione, che, ricordiamo, non è mai unilaterale, integrazione non è mai sinonimo di assimilazione ma di coesistenza e di condivisione.

 

Cristina Piga

 

Immagine di copertina: Mattia Bagnato per The Bottom Up

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