Onda Pride: se è rivoluzionaria, non è più una minoranza

Mi sono reso conto, facendo parte di una minoranza, di quanto sia importante tutelare le altre: dalle persone migranti alle persone omosessuali che subiscono violenza. Sono qua per questo. Un confronto durato circa un anno, quello tra le associazioni Lgbtqia+ – e non solo – del territorio bolognese ed emiliano romagnolo che hanno dato voce all’onda arcobaleno nella giornata del . Quella di Bologna è una manifestazione fieramente autofinanziata, dove partiti e sfera politica rimangono al di fuori dell’organizzazione, tanto che per il terzo anno consecutivo le figure istituzionali non hanno preso parola sul palco. “Nulla di ostile”, . “Si tratta di una scelta: vogliamo accendere i riflettori su una comunità che ha poche opportunità di esprimersi, soprattutto pubblicamente, mentre i politici possono farlo tutti i giorni”. la comunità Lgbt reagiva alle manganellate di un gruppo di poliziotti che da tempo irrompeva nei club gay per concludere le retate con arresti e botte. “Say it clear, say it loud. Gay is good, gay is proud” (Dillo in modo chiaro, e urlalo. Essere gay è giusto, essere gay è motivo d’orgoglio) si gridò per le strade nei giorni successivi. Era iniziato il tempo della esistenza. A mezzo secolo dai moti di Stonewall Inn, la storicizzazione del movimento Lgbtqi+ deve fare in conti con le tensioni odierne, cercando di rinsaldare i legami interni alla comunità. Bologna ha scelto di marciare per le strade al grido di . Il corpo – tema di quest’anno – è una traccia dell’esistenza, visto come un campo di battaglia in cui l’anima lotta con se stessa e con gli altri, diventando spesso oggetto di violenza. Con più audacia può trasformarsi in un veicolo di resistenza per reagire alle oppressioni subite non solo per via dell’orientamento sessuale, ma anche per l’etnia, la classe sociale e la religione. Tali – come l’immigrazione e la chiusura dei porti o l’annuncio dei censimenti etnici – speculando sull’ignoranza altrui, mentre corpi ribelli tentano di costruire spazi comuni in cui rivendicare il loro desiderio di essere accettati per il solo fatto di esistere. E così, anche se i politici sono rimasti fuori dai riflettori, le rivendicazioni di carattere politico non sono potute rimanere fuori dal discorso collettivo. Decine di migliaia le persone scese in piazza contro una politica leghista legata a fascismi e neofascismi , abbracciando diritti civili e diritti umani con un’unica esigenza: dichiarare apertamente la natura antifascista, antisessista e antirazzista del Pride. Un’occasione per manifestare contro ogni tipo di discriminazione: da un’Europa cinica in tema di immigrazione alle “Abbiamo bisogno di simboli che ci permettano di mantenere una coesione sociale. Reclamare la libertà di un certo gruppo sociale vuol dire reclamare i diritti di tutti”. Così risponde , giovane studentessa di Scienze politiche dell’Alma Mater e animatrice del movimento . Insaf, assieme ad altre centinaia di persone, ha tinto di rosso le sfumature arcobaleno, aderendo all’appello promosso dal fondatore di Libera, Don Ciotti, poi accolto anche da Arci, Anpi e Legambiente ad indossare in solidarietà a tutte quelle persone che ogni giorno trovano la morte, cercando la salvezza da guerre, violenze e povertà. e affianco a loro al Bologna Pride c’erano anche tutte quelle coppie etero che condividono le loro stesse lotte. “Siamo qui per la libertà di ciò che si vuole fortemente essere”, afferma orgoglioso Lucio, padre eterosessuale di due bambini e a favore delle adozioni da parte delle coppie omosessuali. Di fronte ad un Ministro della Famiglia che dichiara senza vergogna l’inesistenza di una comunità di persone , sarà forse sempre più dura lottare per ottenere una dignitosa legge sulle adozioni e sulle considerate da molti incomplete e per cittadini di serie B. Una nazione civile dovrebbe essere in grado di valorizzare tutti i suoi cittadini con pari dignità e anche Bologna deve essere pronta a resistere a un’inaspettata recessione dei valori di uguaglianza e solidarietà. Timore non troppo lontano dalla realtà. “Gli italiani prima, noi abbiamo i problemi, non solo voi” e ancora “tornatene in Siria” sono stati infatti gli E si sono sentite proprio sotto il palco del Pride bolognese. Che sia una parte di quell’elettorato xenofobo che ormai si sente legittimato ad insultare anche in contesti simili? Ne ha parlato ai microfoni di Paolo (nome di fantasia), il ragazzo omosessuale protagonista della vicenda, ricoperto da frasi razziste solo per aver tentato di parlare della Siria, suo Paese di origine, insanguinato da anni di guerra. “Non è possibile che per sei persone si debba interrompere la bellezza di un momento in cui viene data voce ai migranti lgbt”, ha ribadito, spiegando che il quel momento gli attacchi non sono stati sufficienti a farlo tacere e interrompere il suo intervento. Merito anche de gli organizzatori del Pride, che hanno subito allontanato i contestatori, qualunque fosse il loro colore politico, perché certamente rappresentanti di un pensiero totalmente contrario a quello portato avanti da sempre dalla comunità lgbtqi+. 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