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Colombia, cosa succede a chi difende i diritti umani?

“Il governo colombiano non può ignorare la tremenda e crescente ondata di minacce e omicidi contro coloro che difendono i diritti umani e le loro comunità. Lo stato è assente e non garantisce il rispetto dei diritti umani, il che favorisce un clima in cui i leader delle comunità possono essere presi di mira impunemente”, lo ha dichiarato Erika Guevara Rosas, in occasione della Giornata nazionale del ricordo e della solidarietà con le vittime del conflitto armato,  tenutosi il 9 aprile scorso.

La direttrice di Amnesty International delle Americhe si appella allo stato colombiano, in piena campagna elettorale, per porre fine a questa violenta vicenda che si trascina da diversi anni.

Un accordo di pace del 2016 tra il governo di Bogotà e l’organizzazione guerrigliera delle FARC, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, avrebbe dovuto portare la pace nel paese sudamericano dopo una guerra civile di 52 anni che ha provocato 220.000 vittime e lo sfollamento forzato di quasi 7 milioni di persone. Invece, circa 300 organizzatori e attivisti della comunità sono stati assassinati da quando gli accordi sono stati firmati nel novembre 2016, come riportato in un ricco articolo di The Conversation. Altre centinaia hanno ricevuto minacce di morte. Otto attivisti sono stati uccisi solo nel marzo 2018. Secondo Amnesty International, dal 1° gennaio 2017 al 27 febbraio 2018 in Colombia sono stati assassinati 148 difensori dei diritti umani.

La maggior parte delle vittime dell’ultimo anno e mezzo, erano attivisti politici appartenenti a tre comunità, per lo più rurali: piccoli agricoltori (generalmente definiti contadini), indigeni e afro-colombiani. Tre categorie verso cui lo stato ha sempre mostrato disinteresse. Tuttavia le uccisioni non sembrerebbero motivate da ragioni etniche, bensì politiche ed economiche, soprattutto a seguito degli accordi di pace con le FARC.

In particolare, le aree prese di mira sono province come Cauca, Antioquia, Putumayo e Nariño, zone, da sempre, ignorate dal governo colombiano e in cui si sono consumate le più brutali violenze durante la guerra civile. L’opinione pubblica locale e internazionale definisce questi omicidi mirati come reazione al tentativo dei vertici di affermare il controllo su aree un tempo abbandonate a loro stesse ed  invase dal crimine organizzato. Ma non solo. Il concordato del 2016 prevede una strategia, voluta dalla presidenza, di sostituzione delle colture, introducendo piante quali cacao e caffè come rimpiazzo alle foglie di coca. Di quest’ultima, coltivata soprattutto come piantagione di sussistenza dai contadini andini, vengono utilizzate le foglie, dal leggero effetto stimolante, come tè o direttamente masticate. Esse costituiscono anche il principale ingrediente della cocaina.

colombia coltivatori cocaina
Fonte: AP Photo/Fernando Vergara

La campagna di sostituzione delle colture rappresenta, quindi, una grande minaccia per i cartelli delle droga e i loro traffici illeciti con i paesi all’infuori della Colombia, che detiene il primato mondiale per lavorazione della materia prima e commercializzazione internazionale (dati nationalgeographic.it ).

Gli organizzatori locali che sostengono il governo in questa operazione di sostituzione, sono i primi a essere presi di mira: secondo il giornale investigativo colombiano Datasketch ¾ degli attivisti uccisi da novembre 2016, risiedevano nelle aree di campagna destinate alla coltivazione di coca.  

Ma quello della droga non è l’unico traffico illecito compromesso dallo stato: secondo un report redatto dalle Agenzie di National Security colombiane  il 50% delle miniere d’oro erano sotto il controllo della criminalità organizzata e gruppi armati clandestini. Secondo Datasketch, oltre che nelle aree di coltivazione di coca, molti degli omicidi mirati si consumano in aree vicino a miniere d’oro illegali, che il governo intende sostituire con operazioni legali.

Carlos Guevara, portavoce di Somos Defensores, programma non governativo per la protezione dei difensori dei diritti umani, commenta così la situazione colombiana: “queste morti ci dicono che esiste un obiettivo politico, che è quello di ostacolare il processo di pace e il disarmo e la smobilitazione delle FARC […] La maggioranza degli assassini è avvenuta per mano di gruppi criminali e paramilitari. In primis, il gruppo delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia, gruppo paramilitare formato da ex militanti dell’AUC (Autodefensas Unidas de Colombia) , organizzazione di estrema destra, che l’ex governo di Álvaro Uribe ha identificato come un altro dei gruppi criminali al servizio del narcotraffico.

Segue l’organizzazione narco-paramilitare Aguilas Negras, nata sempre dalle ceneri dell’AUC,  che tramite un comunicato ha confessato: “abbiamo già iniziato a fare giustizia con le nostre mani attraverso alcune morti selettive”. I più colpiti sono i difensori di indigeni e contadini, ma anche ambientalisti che vogliono proteggere queste terre dallo sfruttamento.

La presenza dei gruppi paramilitari sembra concentrarsi particolarmente nelle aree prima insediate dalle FARC: quelle zone rurali della Colombia centrale caratterizzate da sanguinose lotte contro il latifondo in cui, prima degli accordi del 2016, l’organizzazione costituiva un indispensabile partner economico per i contadini e le loro famiglie che trovano nella coltivazione della coca il principale mezzo di sostentamento.

Un’altra organizzazione guerrigliera con cui lo stato colombiano, dopo tre anni di accordi segreti, ha da poco stipulato un’agenda negoziale è l’Esercito di Liberazione Nazionale, noto come ELN e considerata organizzazione terroristica da Colombia, Perù, USA, Canada e Unione Europea. Di ideologia rivoluzionaria marxista, i suoi seguaci furono convinti sostenitori della teologia della liberazione, teoria di ispirazione cristiana che lega pensiero religioso e azione politica, basata sul fine ultimo di liberazione dei più poveri, delle classi più oppresse e più emarginate. Teoria che ne avrebbe giustificato il passato guerrigliero.

“Sebbene dall’accordo di pace tra il governo e le FARC il numero delle vittime civili sia diminuito, il conflitto armato è ancora una realtà per milioni di colombiani ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty Internationallo stato non si vede da nessuna parte ed intere comunità sono lasciate alla mercé di altri gruppi guerriglieri e paramilitari. C’è ancora molto da fare perché il processo di pace porti un concreto cambiamento nella vita delle persone. La Colombia è di fronte a un grande bivio”. Shetty si riferisce alle imminenti elezioni colombiane: il primo turno per le presidenziali si è svolto il 27 maggio scorso, a cui seguirà un secondo ballottaggio il 17 giugno. Il voto sarà fondamentale per il futuro del paese. C’è chi lo definisce uno pseudo referendum sull’accordo di pace con le FARC siglato dall’attuale presidente Santos, che, grazie a tali accordi, nel 2016 ha vinto il Premio Nobel per la Pace.

Nonostante i dati ufficiali parlino chiaro, solo un candidato alla presidenza ha menzionato, regolarmente, tale situazione nel suo percorso elettorale: l’ex capo delle FARC,  Rodrigo Londoño Echeverr, meglio noto come Timoleón Jiménez, che ha però dovuto abbandonare le elezioni per motivi di salute.  Una contraddizione se si pensa che il medesimo gruppo un tempo terrorizzava le popolazioni che ora Jiménez intende difendere.

Un’incoerenza che rientra perfettamente nel contraddittorio sistema colombiano.

“Considerando il violento scenario di omicidi, minacce e intimidazioni, è incredibilmente allarmante che i più alti gradi dello stato abbiano risposto che non è vero che le persone vengono uccise a causa del loro ruolo di primo piano e del loro lavoro in favore dei diritti umani”, ha aggiunto Guevara Rosas nel suo discorso del 9 aprile.

A  giugno 2016 l’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani aveva denunciato i fatti e chiesto maggiore protezione per i difensori dei diritti umani, seguito da Amnesty International che più volte ha sollecitato il governo colombiano ad incentivare meccanismi di garanzia per tutelare coloro i quali si esponevano a favore della giustizia. Ma l’appello rimase inascoltato e il numero di omicidi andò aumentando.

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Fonte: Pedro Szekely/Flickr

Attualmente, solo il settanta percento degli omicidi degli attivisti sono sotto inchiesta. Nessun colpevole è stato identificato nella maggior parte dei casi. Un’assurdità se si pensa che otto minacce di morte su dieci contro gli attivisti sono state ricondotte ai gruppi paramilitari, e che, spesso, proprio questi ultimi ne rivendicano il mandato.

Non resta che aspettare la prossima tornata elettorale, il vero ago della bilancia per il futuro colombiano. Il ballottaggio destra-sinistra sarà tra Ivan Dunque, del partito conservatore centro-democratico e Gustav Petro, della sinistra radicale ed ex rivoluzionario dell’M-19, formazione terroristica che, si dice, abbia collaborato con il narcotrafficante più noto al mondo, Pablo Escobar.

Sicuramente, il nuovo governo si troverà di fronte a sfide “irrisolte” come il narcotraffico e la criminalità guerrigliera. Per il popolo colombiano questo potrebbe rappresentare una svolta: la neo presidenza deciderà, finalmente, di prendere provvedimenti e mettere fine a questo sanguinoso pezzo di storia? Oppure vorrà mantenere il profilo omertoso, tenuto finora?

Annita De Biasi

[Fonte immagine di copertina: Camilo Rueda López/Flickr]

Questo articolo è parte del Project Work che Annita, studentessa del corso di laurea in Scienze politiche, relazioni internazionali, diritti umani dell’Università degli Studi di Padova, sta svolgendo presso la redazione di The Bottom Up. 

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