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Libano, un voto rivoluzionario?

“Votate liberi, senza influenze esterne”, questo è stato l’appello del Presidente della Repubblica del Libano, Michel Aoun, ai suoi concittadini, dopo aver votato in un seggio di Haret Hreik.

Domenica 6 maggio, infatti, dopo circa dieci anni di stallo, il Libano è tornato alle urne. I due principali schieramenti erano quello filo-iraniano e filo-siriano guidato dal partito sciita Hezbollah e quello vicino all’Arabia Saudita e all’Occidente capeggiato dal partito Futuro del primo ministro Saad Hariri. Secondo i risultati non ufficiali diffusi dai media locali, Hezbollah – che significa Partito di Dio –  e le forze politiche a esso alleate hanno ottenuto più della metà dei seggi dell’assemblea.

Si è votato con legge proporzionale per il rinnovo dei 128 seggi in Parlamento. Quello libanese è un contesto multi-confessionale in cui l’attuale ripartizione prevede 64 seggi alla comunità cristiana e 64 seggi alla comunità musulmana. Sono stati 583 i candidati, in 77 diverse liste, nei 15 distretti elettorali in cui è stato suddiviso il Paese.

Aumenta la presenza femminile che sfida il patriarcato con un numero considerevole di aspiranti parlamentari: ben 83 donne, rispetto alle 12 di nove anni fa, hanno presentato la loro candidatura, ma la politica resta ancora in mano agli uomini. Un segnale importante che non riesce ancora a sfociare in un vero cambiamento: se da una parte l’avvocato Rola Tabsh Jaroudi ha promesso di difendere i diritti delle donne in parlamento, dall’altra secondo la direttrice associata dell’Istituto universitario libanese per gli studi sulle donne nel mondo arabo, Myriam Sfeir, il tradizionale sistema politico settario non ha avuto rivali. Lo testimonia il quinto mandato ottenuto da Bahia Hariri, nonché sorella del defunto primo ministro Rafik Hariri e zia dell’attuale primo ministro. Matrimonio, aborto, divorzio, custodia dei figli ed eredità sono solo  alcuni dei grandi temi che affliggono la sfera personale della donna, lasciati a corpi religiosi che ufficialmente gestiscono le 18 sette riconosciute del Paese. Solo nelle elezioni del 2009 Rima Tarabay, attivista libanese, tentò di dar vita ad una lista tutta al femminile, ma il timore che potesse andare a toccare temi “pungenti” suscitò una retromarcia da parte dei candidati.

elezioni libano donne
Fonte: ilGiornale

Tornando alle consultazioni del 6 maggio, è stato per la prima volta il Ministero dell’Interno l’unico responsabile delle urne elettorali e del conteggio. Tra le novità è impensabile non segnalare, nella storia della democrazia libanese,  il primo voto all’estero di cui si ritiene “molto orgoglioso” il Ministro degli Esteri Gebran Bassil su Twitter.

La necessità di riformare il sistema elettorale, il timore di aumentare la tensione con una campagna elettorale ed essere risucchiati dal caos, la guerra in Siria, l’accoglienza di milioni  di profughi siriani ed un’economia traballante sono le cause per le quali il Parlamento aveva esteso il suo mandato dal 2009 ad oggi. Oltre al fatto che il Governo, nel frattempo, è collassato per ben due volte e il paese è rimasto senza Presidente della Repubblica per più di due anni.

Non è facile  comprendere gli equilibri politici che caratterizzano il  Libano. Secondo il Patto nazionale del 1943 – che lo trasformò in uno stato multi–confessionale,  il Presidente deve essere sempre un maronita, il Primo Ministro un musulmano sunnita e il Presidente del Parlamento un musulmano sciita. Dunque, anche un governo può avere un’opposizione interna e qualsiasi siano gli esiti elettorali, la confessione del premier è già scritta. Questo, per l’analista politico Marwan Maalouf, intervistato da EuroNews, non fa del Libano una democrazia compiuta, anzi porta all’immobilismo.

Nonostante il Paese vanti di essere un raro caso di democrazia araba, la realtà ci testimonia una sovranità popolare settaria e familistica basata su un alto tasso di corruzione. Sebbene non siano stati segnalati brogli elettorali resta l’amaro in bocca. Secondo Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut, nell’intervista rilasciata a Radio In Blu, non vede nelle elezioni libanesi un voto rivoluzionario o di cambiamento, tutt’altro, afferma: “Non ci saranno grandi sorprese. Gli equilibri sono arrangiati sul tavolo secondo una logica di spartizione delle quote del potere libanese regionale, non necessariamente deciso dalle urne e dalle sedi istituzionali libanesi”.

Dunque, nulla di nuovo all’orizzonte. Mentre in Italia ed in Europa coloro che sono chiamati a governare hanno la responsabilità di affrontare i problemi reali e politici del Paese, in Libano non è così scontato: l’eletto ha principalmente la possibilità di avere un ruolo istituzionale e formale.

Allora quale futuro attende il Libano? Per Lorenzo Trombetta “i problemi del Libano resteranno irrisolti: un Paese che sembra  sull’orlo dell’esplosione. Di fatto non esplode nulla. I politici, gli ex signori della guerra continuano a spartirsi il territorio e queste elezioni non cambiano una virgola”.

 

Francesca Lisi

[L’immagine di copertina è tratta dal Daily Star]

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