Il giro del mondo in 4 notizie #28

Gentili lettori,

Bentornati alla nostra rassegna settimanale della stampa estera! 

Questa rassegna e la prossima avranno contenuti un po’ diversi dal solito. Per quale motivo? Perché invece di inseguire l’attualità, ci fermiamo. Durante la vita di questa rassegna, ci siamo trovati tante volte a dover escludere articoli per assenza di spazio, o per la presenza di notizie più urgenti da comunicare. Questi articoli sono andati ad accumularsi in archivi virtuali, e ora abbiamo deciso di liberarcene. Speriamo che questo momentaneo fuori programma vi piaccia. In caso contrario, non preoccupatevi, dura solo due rassegne.

Buona lettura!

Quick et nunc

Nove persone su dieci nel mondo respirano aria altamente inquinata e più dell’80% della popolazione urbana subisce livelli di inquinamento che superano i limiti nocivi per la salute. In India, l’inquinamento dell’aria è particolarmente alto, tanto che sulla lista delle dodici città con l’aria più inquinata del mondo, undici si trovano qui. Ma perché questa situazione critica? Le città indiane subiscono un inquinamento a tappeto da parte di varie fonti di particelle, dalle auto, alle tempeste di polvere, agli incendi nella foresta, al carbone e legno bruciati per riscaldare. Le montagne e colline che circondano l’India formano un bacino da cui l’aria inquinata non riesce a disperdersi e ristagna; in queste condizioni, respirare può essere pericoloso. 

L’inquinamento ha anche importanti fattori sociali, e risulta prevalente in paesi in via di sviluppo, in aree dove la popolazione è povera e i controlli sulle fonti di inquinamento sono più rilassati. In India, la maggior parte delle particelle sembra originare, paradossalmente, dalle aree rurali, a causa delle pratiche di bruciare sostanze come letame e residui del raccolto. Delhi, lontana dal mare e in una sacca dove l’aria ristagna, è particolarmente in difficoltà. I livelli di inquinamento dell’aria sono talmente alti che le mura bianche del Taj Mahal stanno diventando verdi. 

Why India’s pollution levels are so high

Fonte: Vox

Scavando a fondo

Continuiamo con un long form bello denso e complesso del Guardian. La tesi dell’articolo è che stiamo assistendo a un dissolvimento degli stati nazionali, o perlomeno a una loro sempre più evidente perdita di potere e di funzionalità, legata a due tipologie di pressione di segno opposto prevalenti nel mondo di oggi: il risorgere delle identità locali e il potere dei grandi gruppi internazionali. Il prevalere dei populismi e di governi che insistono molto sull’identità nazionale e che fanno promesse sempre più altisonanti deriva, secondo l’articolo, dal fatto che, semplicemente, i governi di oggi cercano di solidificare il consenso intorno a un’istituzione ormai priva di influenza. Le promesse sono sempre più grandi perché nessuno può più mantenerle.

L’articolo mette a confronto l’istituzione dello stato nazionale con quella, ben più antica e ampiamente rifiutata, dell’impero e commenta come gli stati come unità perfettamente funzionali siano durati una frazione di tempo rispetto ai grandi imperi antichi. Questo perché gli imperi puntavano a una – seppur predatoria e con gradi variabili di libertà al suo interno – inclusione di diverse identità e comunità, mentre lo stato si basa su una nazione, concepita per essere distinta e separata dalle altre. In quanto tale, non resiste alle pressioni attuali che puntano da un lato a frazionamenti sempre più piccoli e dall’altro a una globalità sempre più urgente. Un esempio pregnante citato nell’articolo sono gli stati africani, costruiti dall’esterno a tavolino, anziché a partire dalle identità locali, e che pertanto soffrono da sempre di instabilità che sfociano spesso in conflitti. La soluzione suggerita? Ripensare completamente le istituzioni governative, ricostruire una Società delle Nazioni con un reale potere al di sopra dei grandi gruppi economici di fronte ai quali gli stati singoli possono fare poco, creare un corpo di rappresentanza democratico con un ambito più grande: un’unità che riesca a conciliare sia le pressioni verso la globalità sia quelle verso la località. Impossibile? Anche gli stati nazionali parevano impossibili, solo pochi secoli fa. Difficile, impegnativo, sì: ma le sfide del mondo di oggi richiedono soluzioni impegnative.

The demise of the nation state

Fonte: The Guardian

 

Consigli per i click

La legacy therapy è una forma di terapia che consiste nello stimolare un paziente terminale a raccontare la propria storia. O meglio, le proprie storie, i propri ricordi intimi, la propria testimonianza. “è molto importante avere un testimone alla fine della propria vita” dice Connie Johnstone, che si occupa di questo tipo di terapia negli ospizi, “è una conferma per noi. Se lo raccontiamo e lo rivediamo di nuovo, acquista sostanza, spazio, importanza”.

La terapia consiste nella ricerca dei temi che possono aiutare il paziente a trovare un significato nella propria vita, e spesso diventa un modo per registrare una loro testimonianza per i parenti. I piccoli dettagli – ricordi quotidiani dell’infanzia, un profumo legato ai genitori – aiutano a guidare il paziente verso argomenti più difficili, come un rimpianto o una perdita. Anche se è normalmente troppo tardi per rimediare, elaborare esperienze traumatiche aiuta i pazienti ad accettare il passato e trovare un senso di pace. Parlare con un estraneo in questo modo è molto più semplice, perché spesso i pazienti terminali non vogliono dare un peso troppo grande ai propri familiari. Lo storytelling, in questa come in altre forme, serve a costruire ponti. Tra paziente e familiari, tra paziente e medici, tra paziente e il futuro. Un patrimonio di storie che in questo modo rimangono nella memoria.

What will your last words be? Legacy therapy helps dying patients tell their stories

Fonte: The Sacramento Bee

Schermi diversi

Si sente spesso parlare di detox, soprattutto nell’ambito dell’alimentazione, ma adesso anche nell’ambito digitale. Un detox in generale dovrebbe servire a ripulirci da sostanze di scarto, tossine o simili, e a questo scopo proliferano indicazioni e consigli da guru alimentari. Così come vorremmo esercitare un maggior controllo su quello che i nostri corpi assumono e immagazzinano, allo stesso modo cresce la necessità di riprendere le redini della nostra vita digitale. Ci sentiamo assediati da input social, appesantiti come dopo un’indigestione, e allora prendiamo la decisione, e stacchiamo. Detox digitale. Via Facebook. Via Twitter. Via Instagram. Via tutto. Ma come si stava bene prima.

Serve davvero? No. Così come una dieta restrittiva fallita, il detox comincia di solito con tanti buoni propositi e finisce con una corsa al recuperare tutto quello che ci siamo persi. Tutto ciò perché in mezzo manca qualcosa: una consapevole ristrutturazione, un ripensamento delle nostre abitudini. Allora, invece di continuare con questo ciclo di abbuffate e digiuni, perché non cercare di costruire, invece, un nutrimento digitale equilibrato, una dieta bilanciata che ci permetta di prendere quanto della rete è sano e utile, e limitare il resto? Iniziamo a trattare il cibo per la mente come quello per il corpo, e selezioniamo: meno picchi di zuccheri da social network e più informazioni da fonti diversificate, ad esempio. La rete in fondo è un mezzo, sta a noi come usarlo.

Digital detoxing is the tech equivalent of a juice cleanse—and neither of them work
Fonte: Quartz

Altro giro, altro regalo

Un bellissimo racconto di StoryCorps: la storia di William, che nel 1964 viene scelto con altri studenti di colore per integrare una scuola superiore completamente bianca. Emarginato dai compagni e sfavorito dai professori, William viene aiutato dal suo insegnante della scuola precedente, che insieme ad altri gli fa ripetizioni. All’ultimo anno, riceve una sorpresa: una borsa di studio per la Howard University. Il resto lo lascio al video. Buona visione!

 

Francesca Maria Solinas

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