Se il mondo reale fosse come il tabellone di Risiko, in questo momento le attenzioni di tutti i giocatori sarebbero concentrate su una zona, un’unica zona contesa e martoriata: la parte settentrionale della Siria. Con la ritirata dell’Isis, infatti, si è aperta una contesa sul territorio prima controllato dal Califfato, un’ampia area che oggi è divisa tra il regime di Damasco e il movimento curdo e i suoi alleati locali, impegnati in una forma di resistenza con l’obiettivo di portare avanti il proprio progetto politico.
Inoltre, nel distretto della Siria nordorientale durante mese di gennaio è stato aperto un nuovo fronte del conflitto: il Governo turco ha, infatti, lanciato un’offensiva militare verso la regione di Afrin, con l’obiettivo di cacciare le milizie curdo siriane appartenenti alle Unità di protezione del popolo (Ypg) e creare una zona di sicurezza al confine, poiché i curdi sono considerati terroristi da eliminare.

Heval Gabar è un militante italiano che si è unito alle unità curde dell’YPG da agosto 2017 fino allo scorso gennaio quando è rientrato, poco prima dell’attacco turco ad Afrin. Heval racconta che durante la sua permanenza in Siria è stato principalmente nel Rojava, la Federazione Democratica della Siria del Nord nota anche come Kurdistan siriano, dove si è arruolato con l’YPG.
Continua rivelando che circa da ottobre, dopo la liberazione della città di Raqqa dal gruppo Stato islamico, gran parte delle unità YPG si sono spostate verso Afrin, immaginando con anticipo un attacco da parte della Turchia. “L’obiettivo dell’attacco turco – spiega dal suo punto di vista – è quello di demolire il processo rivoluzionario in atto nel Rojava, poiché è dal 2011 che i curdi siriani hanno proclamato l’autonomia del territorio da loro occupato, retto da un confederalismo democratico regolato da un contratto sociale basato sulla convivenza, la partecipazione, l’emancipazione femminile, la ridistribuzione economica e l’attenzione all’ecologia.” Per questo motivo, secondo il parere di Heval, lo stato turco e quello siriano si trovano tacitamente d’accordo riguardo all’attacco su Afrin, in quanto da un lato i turchi hanno compiuto il “lavoro sporco” contro i territori curdi, e dall’altro la Siria non viene accusata dalla comunità internazionale di aver aperto il fuoco. “Un attacco – continua Heval – dettato dalla volontà di creare un territorio cuscinetto tra la Turchia e la Siria”, con l’obiettivo di bloccare sia la resistenza curda e il suo tipo di società anti-tradizionale, che i flussi migratori che dalla Siria si riversano sul territorio di Ankara.
Heval fa molta difficoltà a fare delle previsioni riguardo agli avvenimenti futuri, poiché definisce il Medio Oriente una “polveriera” pronta a scoppiare, piena di alleanze che si creano e si rompono e che non si riescono a capire del tutto e fino in fondo. Secondo alcune indiscrezioni, appare però chiaro che presidente turco Erdogan abbia intenzione di continuare la sua offensiva su tutto il territorio del Rojava, arrivando fino alla città di Kobane, simbolo della resistenza curda contro l’Isis.
Difficile fare previsioni sulla prossima mossa del “Sultano”, quello che ci si aspetta sul campo è un nuovo attacco simile a quello di Afrin, volto a “ripulire” la regione del Rojava da coloro che vengono chiamati “terroristi”.
Altrettanto complicato è evitarlo: secondo Heval, l’unica speranza è che le società occidentali attuino una forte pressione nei confronti dei governi, al fine di spingerli a fare un passo indietro, almeno per quanto riguarda le alleanze economiche con la Turchia. È consapevole che questa non è una soluzione sufficiente, ma si potrebbe imporre come un argine alle azioni del governo turco, e soprattutto sarebbe fondamentale alla resistenza curda, che si batte senza sosta per creare il proprio sistema di governo.
Martino Rossi
Copertina: Democracynow