Condividi se hai un pollice opponibile
Sudan, l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco settentrionale, è morto.
Si è spento il 20 marzo nella riserva Ol Pejeta in Kenya all’età di 45 anni. Le cause sono legate a complicazioni di salute relative all’età. Elodie Sampere, una portavoce della riserva, afferma che campioni dello sperma di Sudan sono stati prelevati nella prospettiva di inseminare artificialmente le due esemplari femmine ancora in vita, Najin e Fatu.
La notizia della sua morte sta facendo il giro del mondo. La maggiori testate nazionali e internazionali ne parlano, da Repubblica al New York Times, passando per ChinaDaily. I social media sono invasi da post con il suo adorabile musone. I commenti sono taglienti e l’indignazione è dilagante.
Tuttavia i settori in cui il tema delle specie in via di estinzione si traduce in (re)azioni concrete sono pochi: associazioni ambientaliste e animaliste. La maggior parte delle persone sembra avere sempre poco tempo per lottare senza il modem, ma soprattutto per riconsiderare i valori antropocentrici che ci portiamo dentro inconsapevolmente.
Manuale di estinzione: i numeri
L’Unione Mondiale della Conservazione, che annualmente si occupa di redigere un elenco delle specie vegetali e animali in pericolo, denomina “minacciate” quell’insieme di specie classificabili come “criticamente a rischio”, “a rischio” e “vulnerabili”. Redigere la Lista Rossa è complicato, afferma l’IUCN, dal momento che non sono presenti dati a sufficienza per tutte le specie. Per quanto riguarda quelle largamente studiate, la proporzione delle stesse in pericolo può essere calcolata, ma tenendo sempre conto del margine di incertezza derivante dal fatto che non ci sono dati circa la minaccia o meno delle razze meno studiate. Fatte queste premesse, si stima che le specie studiate in via d’estinzione siano inferiori al 5%.
Esaminando le cause del rischio di estinzione, secondo il WWF, si riscontra una pluralità di fattori: la distruzione degli habitat naturali – sempre più spesso rasi al suolo per fare spazio ad allevamenti intensivi o coltivazioni inquinanti come soia e olio di palma – l’introduzione di specie aliene, l’inquinamento, i cambiamenti climatici e il commercio illegale di specie protette. Infine, ma non per ultimo, il bracconaggio. Per quanto riguarda nello specifico i rinoceronti bianchi settentrionali, William Ripple, docente di etologia presso la Oregon State University, afferma che nel mercato nero il corno di rinoceronte ha più valore al peso di oro, diamanti e cocaina.
Il tema della tutela e salvaguardia delle specie in via d’estinzione si incastona nella più generale cornice dei diritti degli animali, annoverabili nei diritti di nuova generazione.
Al di là del dibattito dottrinale e della divisione in materia, vale la pena sottolineare il ruolo delle organizzazioni non governative nell’azione di advocacy per la difesa di tali diritti. Lampante è l’impegno, ad esempio, della L.I.D.A. e di altre associazioni animaliste che, nel 1978 presso la sede dell’UNESCO a Parigi, hanno sottoscritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale, uno strumento giuridicamente non vincolante che tuttavia mira ad aprire la strada verso il riconoscimento dal punto di vista giuridico dei diritti degli animali.
Ma le azioni di advocacy non si limitano all’ambito giuridico. Tra le tante associazioni ambientaliste e animaliste, una delle più note è certamente il WWF. La mission originale della creatura di Peter Scott – l’ideatore del celebre panda stilizzato – è fondata sulla convinzione che il mantenimento delle popolazioni delle specie in pericolo passi necessariamente attraverso la protezione e la gestione degli habitat e la lotta alle minacce derivanti dal commercio e dallo sfruttamento eccessivo della fauna selvatica.
Dall’ambientalismo all’ecologia
Una proposta del tutto originale per salvaguardare le specie in via d’estinzione arriva dal Sudafrica dove, nel 2004, il governo ha ottenuto il nulla osta dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione per autorizzare la vendita di cinque licenze di caccia a 150.000 dollari l’una. Licenze che autorizzano a cacciare cinque esemplari di rinoceronti neri. Rinoceronti, anche loro, in via d’estinzione.
La logica che sottende questa operazione di mercato può essere così riassunta: se viene data la possibilità a privati di acquistare la licenza di uccidere un limitato numero di rinoceronti, i proprietari di ranch avranno un incentivo nell’allevarli, prendersene cura e respingere i bracconieri. Michael J. Sandel, filosofo naturalizzato economista e docente presso la Harvard University, in Quello che i soldi non possono comprare: i limiti morali del mercato, cita questa macabra soluzione di mercato per corroborare la propria tesi, secondo cui non tutta la realtà possa essere ridotta all’economia.

Per quanto infatti questa strategia si riveli ottimale da un punto di vista meramente economico, ci sono due obiezioni. La prima denuncia l’evidente classismo di queste logiche: che riducendo ogni relazione all’economia i prezzi si configurino come soglie di sbarramento – si suppone non siano in molti coloro che possono permettersi di investire 150.000 dollari in una licenza di caccia – che escludono una cospicua fetta di popolazione da un certo mercato, attivando un circolo vizioso di esclusione e di allargamento della forbice sociale.
Posto invece che non tutti annoverino tra le proprie attività predilette la caccia ad un esemplare in via d’estinzione, la seconda critica mossa da Sandel è di carattere squisitamente morale: conferendo un prezzo ad ogni ente, sia esso materiale o meno, si contribuisce alla corruzione del suo valore intrinseco, della dignità della sua essenza. In altre parole, da un lato una multa per eccesso di velocità può essere percepita dai più facoltosi come il “prezzo da pagare” per poter andare a quella velocità a dispetto delle leggi, sminuendo dunque il valore (la sicurezza in strada) che il divieto (il limite di velocità) sta a salvaguardare. Ma, dice Sandel, non è facile tracciare il confine tra una pratica all’ordine del giorno come questa e, ad esempio, la possibilità di procurare danni all’ambiente costruendo su aree tutelate in prospettiva di un condono che sanerà pure la posizione amministrativa ma lascia – per sempre – il cemento dove non doveva stare. Nel caso dei rinoceronti, ci si deve chiedere se è giusto monetizzare quello che a tutti gli effetti per Sandel è un “patto col diavolo”: la caccia come sport in questo caso potrebbe aiutare la conservazione dei rinoceronti stessi; eppure, in cambio, dobbiamo bendarci gli occhi, facendo finta di non vedere la parte moralmente riprovevole del mezzo attraverso cui questo fine viene ottenuto. Con una formula, in casi come questi dare un prezzo a qualcosa ne mette in seria discussione il valore.

Una simile critica morale non può tuttavia prescindere dalla concezione del rapporto tra umano e non umano.
L’approccio dominante in occidente è quello dell’etica ambientalista, eredità della prospettiva dell’individualismo possessivo lockiano, in cui la lente di osservazione è quella umana. Questa visione della realtà considera l’ambiente come un mero strumento finalizzato al benessere umano. Il vero cambio di prospettiva è rappresentato dall’etica ecologica che grazie alla sua prospettiva ecocentrica riconosce alla natura in senso lato un valore intrinseco: un animale merita rispetto in quanto tale e non solo in funzione della sua utilità alle attività umane. L’essere umano, insomma, non più come il gradino più alto di una piramide, ma come uno dei tanti tassello di un tutto che lo comprende.
Se davvero si ha a cuore la sopravvivenza e la prosperità di specie altre da quella umana, accettando il modello di un animalismo che va ben al di là di una condivisione sui social, i riferimenti culturali alternativi esistono – nella consapevolezza che l’antropocentrismo è un bagaglio difficile da abbandonare.
Marta Silvia Viganò
Copertina: blueplanetheart.it
2 pensieri su “Estinzione: il difficile bagaglio dell’antropocentrismo”