“Brexitannia”: voci di una Gran Bretagna che vuole svoltare

“Brexitannia”: voci di una Gran Bretagna che vuole svoltare

Cosa si pensa nel segreto della cabina elettorale? Quali sono le idee, le opinioni che si sono incanalate della coscienza dell’individuo fino a formulare una decisione espressa tramite un segno su un foglio di carta? , si pone l’obiettivo, ambizioso per quanto lontano dalla narrazione politica odierna, di le opinioni di chi ha votato, in un senso o nell’altro, per il referendum sulla permanenza nell’Unione Europea del Regno Unito nel giugno 2016. Il documentario assume rilevanza quasi simbolica per la sua data di uscita: il 22 marzo 2017. Probabilmente si tratta quindi della , ma soprattutto bisogna tenere a mente che una settimana dopo il governo britannico avrebbe deciso di invocare l’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea, iniziando con Bruxelles le tortuose negoziazioni per l’uscita. A posteriori, si può considerare come l’ideale chiusura del periodo di Brexit che ha effettivamente riguardato la popolazione britannica, ossia quella del voto, prima che la palla passasse del campo della diplomazia e delle , e l’intento del regista è piuttosto chiaro sin da subito: le persone intervistate nella prima ora del documentario sono rigorosamente senza nome, riprese in bianco e nero e in contesti vuoti. L’individuo, e la sua idea, è al centro della scena, spesso in piedi, non interagisce quasi mai con altri: una cabina elettorale “a posteriori” appunto, . Con un’operazione molto intelligente, la strumentalizzazione pre e post elettorale è stata eliminata dall’equazione del documentario (per esempio l’unico partito a essere nominato, ma solo per presentare uno specifico profilo, è l’UKIP): quel che rimane non è la massa informe pronta ad essere vivisezionata dagli opinionisti, ma piuttosto un gruppo di individui portatori del diritto di voto e della dignità che ne consegue. a un insieme sconnesso di spezzoni di intervista, anzi, la conduzione del documentario progressivamente allarga il suo raggio di analisi. Inizia con numerosi riferimenti all’Unione Europea e alla burocrazia di Bruxelles, introducendo il tema della , in un qualche modo oppressi da regolamenti impattanti sulle loro vite, ma emessi da un’autorità lontana, a cui l’uomo comune ha scarse possibilità di far arrivare la propria voce. Con il passare dei minuti si nota però che i rimandi allUnione Europea si fanno sempre più scarsi e altri temi sembrano prendere il sopravvento. e colpevole di non capire che la massa non è materia plasmabile a piacimento, ma appunto una collettività che nel gioco democratico ha il diritto/dovere di reagire. In seguito entra in scena il tema dell’ , che molti riconoscono come il principale argomento che ha guidato la campagna elettorale. Si innesta in questo momento il dibattito sul e cosa voglia dire in realtà essere britannico. Accanto a frasi che siamo abituati a sentire anche da noi (“Si tratta di un’invasione.” “Non c’è spazio per tutti.” “Dove sono le donne e i bambini? Io vedo solo uomini in buona salute.” “Siamo una nazione che dona, dona,dona, ma le risorse sono finite.”) e a un patriottismo un po’ nostalgico (“La Gran Bretagna merita di essere una grande nazione.”) si intrecciano storie differenti, che mostrano come le generalizzazioni appiattiscano la realtà: accanto a racconti di storie di vero razzismo (la famiglia di colore insultata il giorno dopo il voto) si trovano anche profili inaspettati come l’immigrato polacco che avrebbe votato , o come i genitori di una ghanese di seconda generazione che hanno effettivamente fatto ciò. Ne deriva un’immagine delle aberrazioni possibili quando i diritti umani individuali e i diritti collettivi sono costretti a competere. La chiave di lettura del documentario sta nel suo impegno a cercare di trovare nelle parole degli intervistati le cause ultime del conservatorismo che sta attraversando la società britannica (e tutto il mondo Occidentale). Questo può avere manifestazioni razziste, identitarie o semplicemente può manifestarsi in episodi di chiusura verso l’altro. In ogni caso, il punto comune è la cui non si è trovata una soluzione. La generazione JAM ( ), le vittime delle retribuzioni sempre più basse, gli orfani dell’industria pesante, i superqualificati e, più in generale, tutti quelli che vedono la propria posizione economica gradualmente deteriorarsi: per molte di queste persone l’opzione dell’uscita dall’Unione Europea ha rappresentato un’opportunità per dare una svolta alla realtà, poco importa se l’Europa non sia in realtà la causa di tutti i mali britannici. Ci si spinge addirittura oltre, presentando sfide potenziali del futuro, come ad esempio l’automazione del lavoro, che molti vedono come il prossimo problema / capro espiatorio per i lavoratori che verranno. , come contrasto con la voce dell’uomo comune: l’analisi che ne esce è quella, non molto originale, dei limiti del neoliberismo moderno in termini di partecipazione popolare, stritolata dalle privatizzazioni e dalle mercificazione di ogni aspetto della vita quotidiana, e dei limiti ancora più grandi del progressismo contemporaneo, accusato di essere incapace di svincolarsi dall’idea del ritorno a una società capitalista “felice” come quella degli anni ’60. Un’aggiunta più strutturata a quello che le voci del paese hanno già saputo, in qualche modo, spiegare allo spettatore.