Politica estera: chi l’ha vista?

Ormai il countdown che separa i cittadini dalle elezioni politiche del 4 marzo sta per scadere. Domenica si voterà per rinnovare il Parlamento, e alla vigilia il risultato del voto si preannuncia più che mai incerto, alimentato anche da quella giungla chiamata sondaggi . Non si sa se uscirà una maggioranza dalla decisione delle urne e in generale stiamo attraverso uno dei periodi politico-elettorali più vuoti degli ultimi anni.

Come da costume nostrano, gli argomenti riguardanti le scelte di politica estera e il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale sono passate in secondo piano durante questo dibattito elettorale, messa in ombra sia per la volontà degli attori politici di non affrontare determinati temi sia per una mancanza di interesse o di conoscenza riguardo cosa accade intorno a noi, riguardante sia la classe dirigente che l’elettorato. Insomma mai come oggi il caos pre-elettorale e la pochezza di contenuti non prevedono nettamente cosa sarà di noi da Lunedì prossimo, quando per forza di cose dovremo decidere come continuare a relazionarci con gli attori internazionali e quale ruolo vorremo assumere nelle tematiche più calde di questo periodo.

Nonostante un apparente immutabilità, la politica estera italiana nell’ultima legislatura ha giocato un ruolo attivo in diversi fronti caldi del mondo, puntando ad una soluzione di continuità: infatti gli esecutivi succedutisi dal 2013, nei quali il Partito Democratico ha dovuto appoggiarsi a numerosi partitini di centro-destra per conservare la maggioranza in Parlamento, hanno seguito nel bene o nel male la classica linea di equilibrio italiana, pragmatica e filo-europea nonostante molti momenti di tensione, la crescita dell’euro-scetticismo nel Paese e politiche migratorie effettuate anche per placare la pancia di molta opinione pubblica. Infatti il Sovranismo di molti avversari politici ha alzato l’asticella dello scontro, con in prima fila la Lega di Matteo Salvini a dichiarare la sua ammirazione per Vladimir Putin e Bashar Al Assad, e con le linee d’ombra del Movimento 5 Stelle, stretto tra tentazioni non allineate dal sapore retrò ma guardante verso Mosca, e i tentativi fatti dal suo candidato premier Luigi Di Maio di rassicurare l’establishment internazionale circa il fatto che un eventuale governo pentastellato non porterà ad un terremoto nelle scelte decisionali dell’Italia nel mondo.

Fatto un punto della situazione del caos politico che stiamo attraversando, cerchiamo di vedere quali saranno gli Hot Spots internazionali che andranno ad interessare le nostre attività. Partiamo dal fatto che, nonostante la poco presenza di dibattito, siamo uno Stato con i boots on the ground: se è vero che la presenza dei militari italiani nel teatro mediorientale (Afghanistan e Iraq) diminuirà, nonostante in Afghanistan l’Italia sia un contribuente europeo di rilievo alla missione in termini di truppe, l’attenzione delle nostre manovre militari si sposterà più vicino alle nostre coste sia con la tanto discussa missione militare in Niger, ufficialmente per supportare le truppe locali nella lotta al jihadismo e nel controllo delle rotte dei migranti, ma anche per difendere gli interessi economici nostri e dei nostri alleati, che in Tunisia, missione a guida NATO in un paese in cui gli echi della rivoluzione del 2011 non si sono spenti del tutto.

Ma continuerà ad essere la Libia il punto cruciale dove la maggior parte delle attenzioni nostrane verranno concentrate le nostre attenzioni e i nostri sforzi. Si è ampiamente discusso sull’accordo siglato dal governo Gentiloni con il primo ministro al Sarraj e sulle enormi perplessità che ha destato, e i nuovi revival colonialisti colonialisti potrebbero non rappresentano solamente la solita litania nostalgica. L’Italia al momento appoggia il governo di Unità nazionale di Fayez Al Serraj, ma il governo qualche mese fa ha aperto la porta anche all’ex generale di Gheddafi, Khalifa Haftar, l’uomo che controlla la Cirenaica. Cambierà qualcosa in questo rapporto stretto ma allo stesso tempo ondivago con il nostro vicino nordafricano? Cosa comporterà concretamente la presenza di truppe italiane in un territorio incontrollabile in mano a milizie diverse?

L’incertezza dell’esito del voto, come da tradizione, ha ridotto drasticamente lo spazio per una discussione su che ruolo avremo dopo le elezioni nelle decisioni e nelle azioni che potrebbero cambiare gli assetti internazionali. In un’epoca di rinnovato ordine multipolare, con gli Stati Uniti in preda agli umori del suo bizzarro presidente, la Cina lanciata verso il ruolo di prima potenza internazionale e la Russia putiniana attore chiave dello scacchiere geopolitico e coinvolta nelle macellerie siriana e ucraina, constatiamo come ancora una volta un silenzio preoccupante, che potrebbe condizionare le scelte future del Paese.

Mattia Temporin

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