Parlare di donne in politica e di pari opportunità non è mai semplice, al contrario, è un tema dalle mille sfaccettature, che meriterebbero di essere approfondite una per una. È ancor meno semplice quando ci si sente particolarmente coinvolte in quanto appartenenti al genere e “oggetto” quotidiano di questa o quella piccola, ma al contempo grande, discriminazione.
Con l’omicidio di Pamela Mastropietro poi, i media ci hanno offerto per diverse settimane le ennesime narrazioni che lasciano poche speranze a un’adeguata trattazione della violenza di genere. Il tema dei femminicidi è affrontato con rassegnazione, con toni scandalistici e senza criticità. Ma in questo caso si è andati ben oltre la rassegnazione: nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera da Fabrizio Caccia addirittura si arrivava a vittimizzare un uomo che aveva approfittato di lei in cambio di soldi, descrivendolo come un “buon samaritano”, anziché come una persona che ha pagato per possedere il corpo di una giovane donna. Un “pover’uomo” che ha visto Pamela “offrirgli la sua bellezza” e solo dopo aver saputo della morte si è pentito di non averla aiutata. Già, perché in effetti il solo fatto che una giovane ragazza fosse su una strada, disposta a prostituirsi per procurarsi dei soldi non è sufficiente per capire che si tratti di una persona che ha bisogno di aiuto. E soprattutto, il fatto che sia una testata giornalistica storica a pubblicare un articolo simile, mette ancora più sconforto.
Mi torna poi in mente una pubblicità di una nota catena di negozi di prodotti per la persona e per la casa, diffusa in televisione e sui giornali in occasione dello scorso 8 marzo. Per la festa della donna, si proponeva un’offerta del tipo 2×1 su tutti i detersivi e i prodotti di igiene per la casa. Stiamo, ahimè, parlando di uno spot di uno, massimo due anni fa, nulla di particolarmente retrò o superato. Ancora una volta si relega la donna in casa, dedita alle pulizie, sottomessa per definizione all’uomo.
Purtroppo tutto questo trova riscontro nei dati sia europei che mondiali, che ancora una volta sottolineano come la nostra posizione rispetto alle varie classifiche annuali, sullo stato delle pari opportunità in Italia, lascino parecchio a desiderare.
Pari opportunità? In Italia sono un miraggio
I dati, infatti, sono impietosi per l’Italia, che si posiziona all’ottantaduesimo posto su 144 paesi nel Global Gender Gap 2017 (nel 2016 era cinquantesima). Tra le cause principali che determinano questo risultato, troviamo l’ampio e persistente divario che permane in campo retributivo, combinato alla presenza/assenza in politica e il numero di donne che ricoprono ruoli decisionali di primo piano. Nonostante questo, di anno in anno l’Italia anziché risollevarsi e applicare provvedimenti sprofonda sempre più all’insegna dell’inerzia, dimenticandosi che i diritti sono tutt’altro che facoltativi: non dovrebbe trattarsi di un privilegio, di una conquista, ma di un semplice riconoscimento.
Politicamente, tralasciando lo scempio dell’intero periodo berlusconiano tra nipoti di Mubarak e Olgettine, la parentesi del governo Renzi e la sua inedita attenzione alla questione di genere è durata poco: nel 2016 la rappresentanza delle donne al Governo era al 45%, per poi tornare a scendere miseramente con Gentiloni al 33%. Ancora una volta, ci si è dimenticati della questione e non si è fatto nulla né per incentivare la presenza in politica né per far sì che le donne siano equamente presenti nei luoghi del potere.
Ma in tutto questo, dato che i campanelli d’allarme non mancano, dove continuiamo a perderci? Perché con il passare del tempo non riusciamo a migliorare la nostra posizione anziché peggiorarla?
Donne e politica: che ruolo in campagna elettorale?
L’impressione è che ormai ci si sia abituati a tutto, al peggio se possibile, e si tolleri e si subisca passivamente, senza stupirsi più di nulla. E così, una volta tanto che godiamo di qualche ministra in più, ancora ci ritroviamo a leggere articoli su Marianna Madia che “ci sa fare con il gelato (…) Il ministro in macchina con il marito Mario Gianani si concede… una pausa di piacere”, o sui presunti chili di troppo di Maria Elena Boschi. Il tutto seguito dalle vacanze a Formentera della ministra, o la ministra che prende il sole in “topless”.
Quando non si tratta di gossip, poi, la situazione si aggrava: la Lega è arrivata a bruciare il fantoccio di Laura Boldrini, incapace di mettere da parte le idee politiche nel rispetto del ruolo, tanto più se presieduto da una donna. Evidentemente non è stato sufficiente l’hashtag #adessobasta che la presidentessa della Camera era stata costretta a lanciare dopo l’insistente e inarrestabile flusso di commenti sessisti e insulti al suo profilo Twitter. Soprattutto se ci si ricorda il tenore di questi attacchi: minacce di stupro, violenze di ogni tipo, fino alla morte, cose che nei profili dei colleghi maschi ovviamente non compaiono affatto. Anzi, un collega di Fratelli d’Italia anziché schierarsi dalla parte della Boldrini, è arrivato quasi a giustificare gli insulti invitando la presidentessa a “farsi delle domande” sulle contestazioni.

Ma nessuno sembra più stupirdi. Notizia dopo notizia si arricchisce l’elenco, nonché la varietà, di questi episodi, e continua appunto a mancare in Italia la volontà da parte degli uomini stessi di prendere le distanze da questo tipo di fatti, come hanno fatto invece i presidenti Obama e Trudeau, dichiarandosi pubblicamente femministi.
Diritti delle donne: cosa propongono i partiti?
In questa analisi pubblicata su InGenere è possibile trovare una panoramica sulle parti dei programmi dedicati alle donne da parte di ogni partito. La coalizione di centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) progetta interventi che si inscrivono nell’equazione donna=madre, prevedendo assegni familiari e tutela del lavoro per le donne ma – attenzione – solo in quanto madri.
Il Movimento cinque stelle,nel suo programma affronta indirettamente la questione proponendo di inserire a scuola dei percorsi dedicati ad affettività e parità di genere. Emma Bonino con PiùEuropa propone invece un programma più articolato per le donne, assicurando sia la continuità tra donna lavoratrice e madre, che un equo trattamento sul posto di lavoro in termini salariali e di congedi.
Similmente, il Partito Democratico si rivolge alla donna sia come lavoratrice, affrontando ad esempio il tema delle disparità salariali, sia come madre. In più rispetto, ai precedenti, il programma del Pd punta ad un rinforzo delle strutture e delle figure professionali addette alla cura e al sostegno delle donne che hanno subito violenza. Anche Liberi e Uguali punta sulla riduzione delle differenze salariali, sul diritto alla riproduzione e su un programma volto a contrastare la violenza che parte proprio dal coinvolgimento di più donne in politica e nei ruoli decisionali.
Infine, Potere al popolo insiste sulla salute sessuale e riproduttiva, sulla parità nell’accesso al mondo del lavoro e all’avvicinamento agli standard europei in termini di assunzioni.
Noto con curiosità che nessun partito intende affrontare la violenza di genere come priorità, mirando a contrastarne la struttura e promuovendo più campagne di sensibilizzazione in molteplici ambiti, come quello mediatico, per far sì che non si leggano più articoli come quello sopra citato e perché il numero delle vittime di giorno in giorno cali.
Per un motivo o per l’altro, la strada da percorrere sembra ancora lunga e piena di ostacoli. Nonostante si leggano programmi anche interessanti, lo scetticismo resta alto. Anche i movimenti di protesta incontrano mille barriere: perché leggere in #MeToo un’esagerazione? Perché invece non cominciare a interpretare come un’esagerazione il giudice che decreta le pacche sul sedere del capo denunciato dalla dipendente come “atto di goliardia”? Finalmente si parla di molestie, in tutte le forme, e questo è un bene, ma è necessario farlo ricordando sempre che è più possibile transigere. Sarebbe bene lasciar fare il suo corso a questa denuncia, indirizzandola verso sbocchi costruttivi anziché sminuirla perché qualche buffetto “non è poi così tanto grave”. Finché si leggeranno esagerazione e degenerazione in campagne e mobilitazioni come quella del #MeToo, ma anche Non una di meno, non potremo mai aspirare a cambiare la concezione e la posizione della donna nella nostra società, e tanto meno sperare che essa possa partecipare al pari degli uomini alla vita politica e ai ruoli decisionali del Paese.
Elena Baro