Questo articolo rappresenta il settimo passo di The Bottom Up nel percorso di avvicinamento alle elezioni politiche del 4 di marzo, dopo gli articoli su sondaggi, promesse elettorali, politiche migratorie, emergenza abitativa, cooperazione internazionale e diritti civili.
La fine della politica?
Quella che sta volgendo (troppo) lentamente al termine è una campagna elettorale che dura da 5 anni, dall’impasse seguita alle elezioni del 2013 dove, in sostanza, tutti avevano “non vinto”. Una campagna aggressiva nei toni ed esagerata nelle promesse (nessun programma pare neanche lontanamente realizzabile a livello di risorse).
Una campagna che ha portato ai fatti di Macerata (perché la responsabilità politica, per quanto si difenda una determinata destra, è tutta lì) ma anche a quelli recentissimi di Palermo e Perugia. E il morto è, purtroppo, dietro l’angolo.
Si inserisce nel contesto di una pesante stagione, che si pensava ormai passata, sepolta sotto le macerie del 2 agosto bolognese, ma che invece sembra essere pronta a riaffacciarsi e a riportare alla realtà più cruda una nazione persa nelle sbornie della “Milano da bere” e nei balli del Bagaglino, nel tutto-e-subito della Scala Mobile e nelle cannette con la maglia del Che, riportandola a vivere in maniera totalizzante la politica.
Ma, a guardar bene le cose, forse non è come sembra.
Partendo dai dati presentati da una ricerca Demopolis per Espresso della scorsa settimana (a proposito di anacronismi, che grandissima idea il blocco dei sondaggi nell’era di Internet! Funziona proprio bene) si può notare un 34% dell’elettorato sicuro sull’astensione: per non infierire non si aggiungerà al dato una stima degli indecisi che potranno poi probabilmente astenersi.
Rispetto alla media degli Anni di piombo (7%), per il 2017 ci si attende un tasso di astensionismo maggiore di circa il 400% e il trend di crescita nell’arco temporale non pare essere stato rallentato da nessun grande evento ad alto impatto politico e sociale nel corso di quest’arco temporale (anzi, forse parrebbe pure accelerato).
Ancora più interessante è provare a proiettare questo dato sulle generazioni più giovani: ad esempio, il 16 febbraio YouTrend ha riportato un valore di circa il 40% per l’astensione giovanile, ben al di sopra del 33% visto in precedenza e al primo posto per quella fascia di elettorato è segnalato stabilmente il Movimento 5 Stelle, ovvero il partito che dell’anti-politica ha fatto il suo pilastro. Ma di questo parleremo alla fine.
Quindi, a fronte di un progressivo inasprimento dello scontro politico e ad una campagna elettorale serrata, il risultato parrebbe essere esattamente il contrario di quanto auspicato dai candidati in corsa: le persone, in media, rigettano sempre di più la politica.
Su The Bottom Up proviamo umilmente a dare tre chiavi di lettura:
Tante notizie, tanta complessità, poca sintesi
Il “sovraccarico cognitivo” sta probabilmente portando agli effetti che Umberto Eco aveva pronosticato nel 2012, ai quali tuttavia vanno aggiunti elementi che cinque anni fa, semplicemente, non esistevano.
Dopo le strategie televisive e di marketing portate da Berlusconi, Internet ha portato ad un ulteriore salto quantico nel dibattito politico italiano: ma se da una parte abbiamo alcune realtà oggettivamente interessanti che non sarebbero potute nascere senza la Rete (credo sia l’unico caso al mondo dove un blog diventa un partito), dall’altra abbiamo riscontrato una distorsione totale della comunicazione politica.
I programmi politici sono diventati dei tweet (o viceversa?) e l’essere sempre in ogni notizia per non sparire dal flusso mediatico è ormai un’esigenza imprescindibile per ogni soggetto che voglia veicolare un contenuto.
Questo ha probabilmente portato all’incapacità di elaborare un pensiero organico, perché non influenzerebbe l’agenda setting e, in definitiva, non sarebbe nemmeno commutabile in notizia, proprio a causa della struttura dei nostri mezzi di informazione: troppi caratteri, troppo poco divertente rispetto ai gattini sulla colonna di destra, troppe poche immagini. La stessa televisione, pilastro portante della scontro sul monopolio dell’informazione durante la prima parte dell’Epopea Berlusconiana, è stata in questa campagna abbondantemente snobbata per i suoi tempi eccessivamente lunghi e le ampie possibilità d’approfondimento.
Va da sé che gli argomenti che spostano maggiormente l’opinione pubblica sono quelli semplici da comprendere e identificare e scontano un’ovvia banalizzazione: l’immigrato ha la pelle nera, la tassa piatta è facile, 80 euro a tutti.
Scontro tra tifosi, non tra idee
Questo porta al secondo punto, ovvero l’idea che la tensione politica che stiamo percependo è solamente una notizia, non una sintesi. Ovviamente non voglio sminuire i fatti precedentemente citati, ma se è vero che la storia si ripete prima come tragedia e poi come farsa, forse noi stiamo vivendo la seconda versione della tensione degli anni ’70.
Le azioni ad oggi messe in atto sono più rivolte, da parte degli esecutori, a cercare la notizia, ad essere parte del flusso: l’arresto con la bandiera italiana legata a seguito di un’azione terroristica si trasforma in un atto dimostrativo e non eversivo, la scritta sulla lapide della scorta di Moro è uno sbiadito richiamo ad uno degli episodi più significativi nella storia d’Italia. Non esiste una visione complessiva e si ha più l’impressione di trovarsi di fronte a ultras squilibrati piuttosto che a membri di organizzazioni paramilitari come negli Anni di piombo.
Questo è riscontrabile anche nelle posizioni ideologiche delle fazioni estreme, spesso sovrapponibili a molti temi di carattere economico e sociale entrati a pieno titolo nei programmi elettorali: il rifiuto dell’Euro e dell’Europa, l’interventismo statale in economia, la tutela delle fasce più deboli, il rifiuto del sistema finanziario. In generale queste ideologie, al di là del giudizio di merito, risultano infinitamente più povere, confuse e disarticolate rispetto a quelle portate avanti nel secolo scorso.
Ma se questo è vero per le fazioni estreme, storicamente più rigide nella definizione del proprio perimetro di contenuto, è ancora più vero per le posizioni più moderate: la destra storicamente liberista si sta riscoprendo sempre più interventista e (in parte) cattolica, continuando tuttavia a proporre misure aberranti dal punto di vista redistributivo come la flat tax; il centro-sinistra è il più forte sostenitore dell’Europa e del neoliberismo tanto da abolire (immolandosi) il simulacro dell’Articolo 18 post-Fornero, continuando tuttavia a promettere spesa pubblica e tutele lavorative.
E il Movimento 5 Stelle? Beh, sono ragazzi fantastici…
Ma questo è forse la causa diretta del terzo punto
Se non hai nulla da dire, tutti ti sentono ma nessuno ti ascolta
Come un serpente che si mangia la coda la stessa distruzione del contenuto a favore della pura comunicazione porta, sul medio periodo, a fare sì che le persone non siano mosse da partiti o da ideologie organiche, ma da singole tematiche che possono essere abbracciate o meno, in maniera fluida, dai partiti.
Anche per questo motivo si sta velocemente sfibrando il rapporto delle persone con i partiti (e le conseguenti votazioni) spesso a favore magari di una sempre crescente attenzione a campagne specifiche di breve durata soprattutto “contro qualcosa o qualcuno”: dall’antimaschilismo post-Weinstein al fascismo di questi giorni, dall’immigrazione al terrorismo, si sta servendo un impegno à-la-carte sul quale è impossibile avere un pensiero di sintesi e al più, come fanno alcune persone, ci si concentra in maniera approfondita solo su pochi argomenti.
Se si possono riscontrare degli esempi virtuosi di specializzazione su determinati argomenti, è anche vero che l’eccesso di concentrazione su una tematica porta ad un’ulteriore distorsione della realtà e, in definitiva, ad ingigantirne l’effettiva portata: l’esempio più lampante è nel caso degli stranieri residenti in Italia, con il 50% dei cittadini che sovrastima la loro presenza indicandone un numero almeno doppio o al fatto che addirittura la mancata qualificazione dell’Italia al Mondiale di Calcio sia stata attribuita alla presenza di stranieri.
Anche per questo motivo i partiti che sono cresciuti di più rispetto alla scorsa tornata elettorale sono quelli che hanno portato avanti campagne monotematiche e ossessive contro l’altro (Immigrati, Rom, Casta, Europa) andando ad intercettare quella fascia di popolazione con maggiore rabbia inespressa coltivando questo sentimento e facendolo esplodere.
E tutti gli altri? I giovani?
Buona parte di questi, come detto, non va votare, sfibrata dal dilettantismo e dall’improvvisazione di questo modo di fare politica: dai vecchi partiti fino ai nuovi movimenti nessuno pare avere un’idea seria sul rilancio del Paese, nessuno pare offrire un’idea innovativa, slegata dall’attacco del nemico di turno.
E molti di questi disillusi, delusi e rassegnati sono appunto giovani.
In Italia si è considerati giovani fino a 35 anni (Istat) perché prima non si hanno gli strumenti per essere autonomi e l’uscita dalla casa dei genitori è spesso un miraggio: si ha una generazione di finte partite Iva sottopagate e di infiniti stage, con una vita scandita a ritmo di bandi europei e contratti a tempo determinato che non si può permettere neanche una stanza in affitto nella città in cui lavora perché i prezzi sono oggettivamente fuori mercato.
Anche lo stipendio dei più fortunati, quelli con il posto fisso dopo una laurea in una materia tecnica o gli specialisti dei settori industriali, è di poco più di 1.000 euro al mese e copre a fatica i costi di sopravvivenza obbligando spesso a vivere in case condivise fino ai 30 anni: le stesse categorie di lavoratori tra Francia e Germania guadagnano circa il doppio, a parità di potere d’acquisto.
Una generazione definita di pigri e con la puzza sotto al naso da questa politica che consiglia di cercare lavoro nelle partite di calcetto e riesce a frustrare il morale anche quando propone un giovane alla presidenza del consiglio proponendo una persona con un CV con il quale non si verrebbe neanche chiamati per un colloquio dall’80% delle aziende della città in cui vivo.
E c’è chi lamenta mancanza di responsabilità ed impegno.
La verità è che nessun partito ha proposte serie da fare ai giovani, nessun soggetto politico pare avere un’idea su come affrontare questo tema: però si parla un sacco di pensioni (che i giovani non avranno), tasse sulla casa (che i giovani non potranno comprare) e animali domestici (che i giovani non si possono permettere).
Andrea Armani
Fonte immagine in evidenza: La Repubblica.it
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