“Jaha’s promise”, la forza di una donna contro le Mutilazioni Genitali Femminili

”, il documentario girato da Patrick Farrelly e Kate O’Callaghan aprirà il , la rassegna dei documentari selezionati da Internazionale a Bologna che quest’anno, per la prima volta, è organizzato da Kinodromo, Sfera Cubica, Housatonic, Emiliodoc e The Bottom Up. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le bambine, le ragazze e le donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale sono circa , in particolare l’Africa, ma anche il Medio Oriente e l’Asia. Inoltre, con l’aumento delle migrazioni è cresciuto anche il numero di donne che vivono , ma che soffrono degli effetti della mutilazione genitale femminile (MGF) o che corrono un forte rischio di essere soggette a questa pratica anche in Europa, in Australia e nel Nord America. L’Italia è stato uno dei paesi sostenitori della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha messo al bando universale le MGF e, in seguito, ha ratificato diverse convenzioni internazionali che condannano il fatto. Nonostante questo, però, una ricerca di AIDOS, in prima linea sul tema, ha 57.000 donne e ragazze straniere tra i 15 e i 49 anni che avevano subito MGF. , che si impegna su vari fronti, in particolare su quello della cooperazione, contribuendo all’attività di organizzazioni come UNWOMEN e UNFPA per combattere la MGF. racconta la storia di una giovane ragazza gambiana che torna nel suo paese d’origine per combattere contro il fenomeno della MFG, il quale ha colpito anche la sua vita. è stata vittima di mutilazione genitale femminile quando ancora era una neonata, a 15 anni è stata portata negli Stati Uniti e obbligata a sposare un uomo molto più grande di lei che non aveva mai visto prima. Dopo aver provato sulla sua pelle quali sofferenze atroci provoca il fatto di essere vittima di MGF, Jaha torna in Gambia, per , coinvolgendo il governo e le Nazioni Unite, e guadagnando il supporto di molte fondazioni, e di molti media locali e internazionali. , poiché questa rappresenta una norma sociale praticata da tutti, la cui violazione comporterebbe il rifiuto della comunità stessa. Farelly e O’Callagan ricostruiscono la storia della vita di Jaha, partendo dalle sue testimonianze e concentrando l’attenzione sulle sofferenze delle donne che, come lei, subiscono tanta violenza fin dalla nascita. In particolare, risalta la sua lotta, attraverso la quale chiede il . Questa usanza viene quasi sempre praticata da infibulatrici popolari, che ricoprono un ruolo centrale nelle comunità, e che operano senza vere conoscenze mediche e in ambienti non sterili e insani. In molte culture, inoltre, la MGF è conosciuta come una pratica per fino al matrimonio e per renderle fedeli al futuro marito e, in particolare tra le comunità musulmane, è percepita come una Questa dolorosa pratica era molto diffusa in Gambia dove più del era soggetto a MGF e a matrimonio infantile. Inoltre nella maggior parte delle comunità del paese le ragazze non ricevevano un’educazione sufficiente. Oggi, anche grazie agli sforzi di Jaha Dukureh, la MGF è , si compiono arresti per chi la pratica, ma perché i dati diminuiscano sensibilmente è necessario aspettare e non smettere di lottare. La strada verso la completa abolizione di questa pratica, infatti, è ancora lunga, ma la lotta di Jaha è sicuramente un contributo importante nella battaglia mondiale per l’eliminazione della MGF. Le mutilazioni genitali femminili sono oggi riconosciute come una , poiché riflettono una forte ineguaglianza tra i sessi, e costituiscono quindi una grave forma di discriminazione contro le donne. “Le Nazioni Unite hanno dichiarato la MGF una violazione dei diritti umani certo, eppure questa pratica continua sia negli Stati Uniti, sia nel resto del mondo” firmando la sua petizione per l’eliminazione di questa pratica “rovina vita”. Jaha si rende conto dunque che è necessario lavorare sul fronte della , sulla consapevolezza e soprattutto sulle nuove generazioni per sradicare una tradizione tanto violenta e pericolosa. Nonostante le difficoltà, alcuni piccoli risultati già ci sono a partire dal riconoscimento delle ONU, ma anche nella pratica in Gambia, ma siamo solo all’inizio di una possibile vittoria verso la quale la strada è ancora lunga. “Questo è solo l’inizio, non avremo finito finché tutte le bambine non saranno protette”. Anche a livello internazionale, qualche piccolo passo in avanti è stato fatto, con la messa a punto da parte di alcune agenzie ONU della Global strategy to stop health-care providers from performing female genital mutilation si raccomandano alcune attività generali e strategie per contrastare la MGF. In particolare, i governi di tutti i Paesi si devono impegnare a a rafforzare la comprensione e la conoscenza dei fornitori di assistenza sanitaria sia nei paesi in cui la MFG viene praticata, sia nei paesi di “accoglienza” in cui le donne vittime di mutilazione migrano, a creare un quadro legislativo e regolamentare di supporto e infine a rafforzare il monitoraggio, la valutazione e la responsabilità. non racconta solo una storia, ma trasmette uno spirito forte e una che deriva da una sofferenza grave e dal desiderio che nessuno più viva una vita priva di femminilità, piacere e salute.