È ormai passato oltre un mese da quando il presidente peruviano Pablo Kuczynski ha sorpreso il proprio paese concedendo l’indulto per motivi umanitari all’ex presidente-dittatore Alberto Fujimori. Era il 24 dicembre ed i peruviani si trovavano sotto l’albero il regalo meno gradito. Non soltanto perché il nome dell’ex dittatore evoca tuttora fantasmi di un passato non ancora pienamente superato ma perché l’indulto non è altro che l’ultimo degli eventi politici che ha scosso il paese nelle ultime settimane.

Pochi giorni prima, infatti, il Parlamento aveva respinto per una manciata di voti la mozione di impeachment presentata dall’opposizione, maggioritaria al Congreso (il Peru ha un sistema monocamerale dal 1993, anno in cui la costituzione venne modificata proprio dal governo Fujimori). Il nome di Kuczynski, infatti, è venuto fuori più di una volta nell’ambito dello scandalo Odebrecht che sta coinvolgendo numerose figure politiche dell’intera America Latina, accusate di aver ricevuto pagamenti illeciti da parte del gruppo industriale brasiliano. Fin da subito, il mancato impeachment ha destato non pochi sospetti. Basti pensare che poche settimane prima i voti che avevano permesso l’avvio della mozione erano stati di più.
Per questo motivo, all’annuncio dell’indulto a Fujimori le perplessità dei peruviani sono diventate più concrete. Alla versione ufficiale – quella dell’indulto umanitario giustificato da una non meglio specificata “grave ed incurabile malattia” – si è affiancata quella sussurrata prima, gridata ad alta voce poi, dello scambio di favori. Un semplice ed efficace do ut des politico: l’indulto all’ex presidente in cambio della stabilità del governo di Kuczynski. Non si spiegherebbe altrimenti la ratio del dietrofront dell’opposizione, di cui fa parte Fuerza Popular, il partito di Keiko Fujimori – figlia dell’ex presidente – che proprio contro Kuczynski aveva perso le elezioni del 2016.
Come sale gettato su una delle tante vene aperte che l’America Latina ed il Peru non riescono a sanare, la grazia a Fujimori ha riaperto numerose questioni irrisolte.
Proteste in tutto il paese

In migliaia sono scesi in piazza per manifestare il proprio dissenso. Da Piura, al nord, fino a Puno, passando per Lima, Ayacucho, Cusco ed Arequipa, le piazze e le strade sono state prese d’assalto da folle di manifestanti inferociti ed indignati a causa della scelta del governo Kuczynski. Il presidente ha definito la propria decisione come la scelta giusta per intraprendere un cammino di riconciliazione; i peruviani l’hanno invece percepita come un’aperta offesa nei confronti della memoria del paese.
L’ex dittatore era stato condannato nel 2009 a 25 anni di prigione a seguito di una serie di violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità perpetrati durante i suoi 10 anni di presidenza, soprattutto in seguito all’autogolpe che gli aveva permesso di sciogliere il Parlamento e di dar vita ad un governo di emergenza e ricostruzione nazionale. In particolare, vengono ricordate le stragi di Barrios Altos e La Cantuta, avvenute tra il 1991 ed il 1992 per mano del gruppo armato La Colina. Per questi massacri e per altre violazioni dei diritti umani – tra cui sterilizzazioni forzate, sequestri, esecuzioni sommarie durante la “guerra a bassa intensità” condotta contro Sendero Luminoso – Fujimori era stato condannato.
I familiari delle vittime hanno immediatamente presentato un esposto alla Corte Interamericana dei Diritti Umani che in data 2 febbraio si è espressa a riguardo. Il segretario esecutivo della CIDH, Paulo Abrao, ha dichiarato che la liberazione di Fujimori contravviene agli obblighi internazionali di verità e giustizia per le vittime. In virtù di un’assenza di proporzionalità tra le finalità perseguite dall’indulto e l’impatto dello stesso sulla memoria delle vittime e dei familiari e considerato il caos politico in cui versa il Perù, la CIDH ha reiterato quindi la propria convinzione che solo attraverso la revoca dell’indulto si possano ristabilire i diritti delle vittime. A differenza di quanto espresso da Kuczynski, pertanto, la corte ha affermato che l’indulto non è la via da perseguire per il raggiungimento della riconciliazione. Tuttavia, il dibattito sulla vincolatività del responso della Corte è tuttora in corso. Gli avvocati di Fujimori e vari parlamentari peruviani legati all’ex presidente hanno affermato che la CIDH non abbia i poteri per revocare la grazia concessa direttamente dallo Stato peruviano. Ulteriori sviluppi sono attesi nelle prossime settimane.
In attesa di ciò, i peruviani – soprattutto quelli che hanno vissuto in prima persona l’epoca di terrore delle stragi e delle violazioni dei diritti umani – continuano ad affollare strade e piazze nel tentativo di impedire ulteriori offese alla memoria di un paese ferito.
Gianmarco Maggio
[Fonte immagine di copertina: Reuters]