Cari lettori, siamo di nuovo qui con la nostra rassegna bisettimanale, che purtroppo oggi tratta temi difficili: la crisi nello Yemen continua, e gli ultimi giorni sono stati teatro di gravi attentati in Afghanistan. Una rassegna che comincia con scontri e continua con il World Economic Forum, la burocrazia dell’Isis, l’antiglobalizzazione di destra, e un’analisi dei problemi posti da Spotify e Amazon. Ah, e un piccolo video Amarcord di quando c’era lui. Lui, Bush.
Buona lettura!
Quick et nunc
Forze separatiste in Yemen hanno conquistato edifici governativi nella città di Aden, capitale provvisoria del governo, con la capitale Sanaa in mano alle forze ribelli Houthi.
Le forze governative hanno chiesto aiuto agli alleati arabi per riprendere il controllo della situazione. Nel complesso, la crisi nello Yemen è più drammatica che mai e il conflitto non accenna ad attenuarsi, anzi, pare complicarsi sempre di più.
Fonte: BBC News
Scavando a fondo
La giornata di sabato ha visto un nuovo attentato rivendicato dai talebani a Kabul; attentato che ha ucciso più di 100 persone e ferito più di 200. Ma i talebani non sono più soli. A destabilizzare sempre di più questo paese dall’equilibrio sempre precario, si è aggiunta anche l’Isis, in una macabra gara di scontri e attacchi alla popolazione.
La popolazione, ecco. La popolazione che fa? Ha iniziato a uscire con fogli in tasca, piccoli biglietti contenenti numeri di emergenza, contatti di amici e familiari, gruppo sanguigno, altri dati personali. “Nessuno saprà se muoio domani in un attentato, almeno così il biglietto aiuterà a contattare la mia famiglia e i miei amici” racconta Fazila Shahedi, studentessa ventenne. Perché dopo i recenti attacchi, per molti è stato difficile ritrovare i propri familiari e amici dispersi. Una testimonianza tragica della situazione di estrema incertezza che per gli afgani ormai si chiama vita quotidiana.
Fonte: Al Jazeera
Consigli per i click
Al World Economic Forum, Trump ha cercato di ingraziarsi gli investitori con un “America per prima non significa America da sola” giusto un filino supplice. Ma potrebbe essere troppo tardi. L’America ormai è tipo il figo del liceo, quello che rivedi anni dopo e si è appesantito, ha perso i capelli, ma continua a portare giacche di marca, convinto di poter ancora conquistare il mondo e schiere di pulzelle. Ti fa quasi compassione. Quasi.
Nel frattempo, la Cina fa come il secchione bistrattato che ha sgobbato per anni nel silenzio della sua stanza, poi si è iscritto in palestra e ora fa strage. Pechino ha grossi piani di investimento nei collegamenti con il resto del mondo, tra cui l’iniziativa “One Belt One Road”, che mira a diffondere la sua influenza seguendo l’antica Via della Seta, e la “Polar Silk Road”, primo esempio di un paese che monetizza sul cambiamento climatico mirando a costruire collegamenti sulla calotta polare in scioglimento. Il cambio di asse non è imminente. È presente.
Liu He, uno dei consulenti economici del presidente Xi Jinping Fonte: New York Times
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Nella città di Mosul in Iraq, lo Stato Islamico ha provato a rifarsi una verginità, o meglio a creare un apparato statale che potesse costruire una base di legittimità. Se prima della caduta della città, funzionavano già come un governo non ufficiale, truccando appalti ed esigendo tasse dai business locali – per noi italiani qualcosa di tristemente familiare – una volta preso possesso di Mosul, hanno messo in piedi una vera e propria dirigenza.
Nel tempo, hanno emanato editti e regole di vario tipo, a cominciare da un censo degli abitanti, insieme a purghe di cristiani – costretti ad andarsene, convertirsi o pagare tasse – e precedenti alleati. Ma come raccontano i diari di uno scienziato, citato nell’articolo ma senza nome, Isis ha trovato anche strade molto creative per guadagnare, con il commercio di armi, manufatti storici, schiave, petrolio raffinato in modi improvvisati. Un governo del terrore.
Distribuzione di niqab. Fonte: The Guardian
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Siamo in una fase di crescita dei movimenti antiglobalizzazione, il che non è necessariamente una novità. La novità, o meglio, l’evoluzione che abbiamo notato negli ultimi anni, è il modo in cui questi movimenti si sono spostati passando dall’essere una realtà di sinistra a una tipicamente di destra. In una fase in cui leader come Trump si attestano in posizioni protezionistiche, cosa ci riserva il futuro? E come siamo arrivati qui?
Agli albori, i movimenti antiglobalizzazione partivano da una coscienza che la globalizzazione era partita dalle economie più forti e veniva giocata secondo le loro regole. Questi movimenti erano preoccupati dal punto di vista di tematiche come il cambiamento climatico, lo sfruttamento del lavoro e l’impatto generale sulle economie più forti. Ma negli ultimi anni c’è stato un grande ribaltamento di prospettive. Mentre i paesi partiti come leader della globalizzazione, come gli Stati Uniti, hanno visto i loro profitti ridursi, altri paesi, come quelli dell’Asia, hanno beneficiato di una crescita significativa nei loro guadagni. Nel mentre, problemi domestici causati da politiche interne in paesi come gli USA o il Regno Unito hanno portato a un malcontento diffuso, e all’uso della globalizzazione come capro espiatorio. Aggiungere una spolverata di anti-migrazione e il piatto è servito. La sfida per il futuro, secondo The Conversation, è andare oltre la globalizzazione cominciando a risolverne i problemi. Nel Nord come nel Sud del mondo.
Spotify ha cambiato la fruizione della musica, e in parte anche la musica stessa a livello concettuale. Secondo l’articolo del Guardian, se libri, film e persino televisione sono usciti acciaccati ma di fatto indenni dal confronto con i grandi servizi di streaming, la musica ha subito un colpo molto più radicale. Molto gira intorno al contributo infimo che Spotify – e ancora di più YouTube – elargiscono alle case discografiche e agli artisti, ma ci sono anche altri problemi.
Spotify è un servizio valutato miliardi di dollari che però non genera profitti. Potrebbe arrivare a generarli in futuro, riducendo ancora di più i pagamenti agli artisti. Il che ci porta a chiederci se sia un modello effettivamente sostenibile. Come se non bastasse, la blanda qualità di molte playlist crea pressione sugli artisti per uniformarsi a uno standard. E le playlist del servizio premium generate automaticamente come “daily mix” effettivamente tendono a raggruppare gli artisti per ‘colore’, come ha notato l’autore. Sono andata ad aprire i miei daily mix di oggi per verificarlo. Da una parte: The Cure, Pat Benatar, Phil Collins. Dall’altra: The Marvelettes, The Pointer Sisters, Marvin Gaye. Ahia.
Fonte: The Guardian
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Questa settimana apre a Seattle il primo supermercato Amazon, interamente automatizzato, chiamato Amazon Go. Un sogno per qualunque amante della fantascienza distopica, un incubo per chiunque lavori nel campo delle vendite. I negozi e il servizio ai clienti erano infatti visti come una sorta di ultima frontiera dell’automazione, perché chi vorrebbe vedersi servire da una macchina, dopotutto? A quanto pare, anche questa frontiera, con l’imprevedibilità delle sue situazioni e la costante interazione con il cliente, non esiste più.
Certo, Amazon Go è solo un primo segnale. Ma è un segnale preoccupante per molti. Mentre per anni gli economisti sono rimasti convinti che il progresso tecnologico creasse più posti di lavoro di quanti ne eliminava, ora molti stanno cambiando idea, e temono un aumento dell’ineguaglianza sociale, mentre sempre più ruoli vengono rimpiazzati da macchine. La sfida che l’automatizzazione pone è quella di una redistribuzione dei profitti in modo più equilibrato, pena pesanti reazioni politiche che potrebbero rallentare o bloccare il progresso. Saremo all’altezza?
Fonte: New Yorker
Altro giro, altro regalo
Vi ricordate quando c’era lui? Will Ferrell ce lo ricorda in questo sketch al Saturday Night Live, ed è una bella doccia fredda. Oltre che tante risate. Al giorno d’oggi Trump sembra il peggio possibile, ma il video ci ricorda che molto di quanto Trump prosegue è stato avviato da quell’ometto dall’aria innocua e un filo sciocca. Non rivalutiamo il passato, non sottovalutiamo il futuro. Ecco, imparata la lezione, facciamoci due risate.
Parole, parole, parole
Ci mancherai. Fonte: Gala.de
Citazione della settimana:“(It) was in 1989. The memory is indelibly written on my mind. There she is, sitting at the keyboard, playing and singing with the choir in this lovely Church of Saint Ailbe. She possessed a very special singing voice – a talent worth its weight in gold.”
Il canonico Liam McNamara su Dolores O’Riordan e il suo primo ricordo di lei. McNamara è un amico di famiglia e officiante del funerale della cantante a Limerick.
Parola della settimana: Also true. Espressione passivo-aggressiva, quando un interlocutore ti contraddice dati alla mano e non vuoi arrenderti.
Tu non ci volevi credere, ma il gelato alle acciughe è buonissimo. Come vedi l’ho divorato.
Hai le lacrime agli occhi e sei verde, mi sa che stai per vomitare.
Classe 1988, dalla Sardegna alla scoperta del mondo. Probabilmente ho imparato a leggere e a scrivere prima che a parlare. Le mie abilità sociali sono di recente sviluppo. Nella vita reale, sono una traduttrice freelance, faccio parte di un'associazione di cinema, scrivo rassegne stampa buffe o tragiche e mi concentro nella ricerca del risotto perfetto. La multipotenzialità è un vizio di famiglia.
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