Che cos’è l’integrazione? Chiedetelo a scuola

, docente di filosofia sociale all’Università di Firenze, ha scritto che “i tratti distintivi della nostra epoca sono la vulnerabilità e la contaminazione a cui siamo esposti. Per questo, è necessario capire che la vera scommessa è investire nei luoghi dove le diversità diventano risorse. Per cui la nostra cultura si apre alle altre, senza necessariamente produrre l’omologazione dell’una o dell’altra.” . “È qui, a parer suo, che i bambini sviluppano un’ . Soprattutto, però, ciò accade grazie al riconoscimento delle peculiarità e delle altrui. La scuola, mi dice, oggi ha all’interno delle sue aule il mondo intero”. Un universo che, però, sembra viaggiare su un binario parallelo rispetto a quello degli adulti. Dove, diversamente, l’” . I pregiudizi e l’odio razziale, ormai, sembrano infatti segnare irrimediabilmente le relazioni sociali tra gli individui. erano un po’ diverse. Lo straniero non era ancora, o meglio non era più, lo spauracchio contro cui aizzare masse adulanti. Il meridione, di lì a poco, avrebbe iniziato ad affacciarsi alle porte del ricco ed industrializzato nord. Alla , diffuse in buona parte della popolazione, spinsero perciò questo gruppo d’insegnanti a seguire l’esempio di , a molti anni di distanza, si è trasferita dentro alle . Le stesse, in cui migliaia di bambini “stranieri” impartiscono una grande a tutti noi: dare forma a quelle che sono state definite “ ”. Lo fanno con una naturalezza sconcertante. Perché, come mi dice ancora Giancarlo Cavinato, esiste una identità/cultura dell’infanzia che . Uno su tutti: “quello per cui, tanto per fare un esempio, l’adulto d’origine albanese seduto al bar sotto casa è presentato come un pericolo. Sedersi nel banco affianco al di quel uomo dal bizzarro accento dell’est, però, insegna loro che le diversità sono poche in fondo, e che quelle esistenti rappresentano una vera e propria ricchezza. Tutto ciò accade perché quella del afferma Beppe, è una categoria del tutto amicale. Un legame molto stretto, che si costruisce giorno per giorno e che non dimentichiamo più”. che lo scorso dicembre hanno deciso di disertare l’aula di Palazzo Madama. Ufficialmente, si è detto che i numeri erano troppo risicati e che la rischiava di non essere approvata. Non lo sono affatto, invece, i numeri che parlano di oltre o arrivati entro il dodicesimo anno d’età, di ottenere della cittadinanza italiana dopo aver completato con profitto un ciclo di studi di cinque anni oppure un corso professione di almeno tre. Per i minori arrivati dopo i 12 anni, invece, sarebbe bastato dimostrare di aver passato gli ultimi 6 anni Italia e aver completato un ciclo di studi. , secondo Giancarlo Cavinato, che la politica ha dato a questi ragazzi. “Ripartire da qui sarà molto difficile, ammette con un pizzico di delusione. Bisognerà ripensare ad una , con il rischio concreto di fallire nuovamente”. Manifestazioni, scioperi della fame e oltre 9000 firme raccolte, quindi, alla fine dei conti non sono serviti a niente. Le ragioni e nelle scuole e all’idea che tutti i bambini abbiamo diritto ad avere una cittadinanza, come recita la legge n.176 del 1991, hanno avuto la meglio. Per l’ennesima volta, quindi, la politica non è stata capace di raccogliere le istanze di oltre , fosse finalmente riconosciuto. Convinti, mi dice Beppe Bagni, che lo nelle loro classi “sia già un dato di fatto”. Checché ne dica la politica, infatti, quella che è stata ribattezzata “ Tutto: dalle persone che incontriamo ai libri che leggiamo, passando per le che facciamo finisce per definire la nostra identità e la nostra cultura. “Soprattutto però, aggiunge del Coordinamento Insegnanti per la Cittadinanza, la scuola che frequentiamo”. “I ragazzi, oggigiorno, secondo Giancarlo Cavinato, sono figli di un’ fatte di una diversità esplosiva, multietnica e multiculturale”. Con questa condizione i , privata delle varie anime che compongono la nostra società, oltre che pericoloso dal punto di Solo la scuola ha il potere di trasformare i sudditi in diceva Piero Calamandrei, cittadini che sentano di appartenere, pienamente, alla società in cui vivono. “Il . Tanto il bambino nato in Italia da genitori italiani, quando il suo compagno di classe nato da genitori di origine marocchina. Passano, in altre parole, dal selvaggio che disciplina il quartiere in cui vivono, ad in uno in cui queste sono in un certo senso rigide e precise. Dalla scuola, quella fatta di classi miste, la politica avrebbe molto da imparare”. si deve partire dalle aule di scuola, luogo per eccellenza, dove realizzare un’ che non sia solo teorica ma fatta di pratiche concrete. “Negli ultimi e i frutti sono visibili a tutti”. Basta entrare in una qualsiasi scuola primaria per notarlo. “La che si sento a tutti gli effetti italiani. Il sentore, infatti, è che la politica in questo paese arrivi sempre in ritardo. “Ciò, secondo Beppe Bagni, è dovuto ad uno e coloro che dovrebbero recepirne le istanze”. Un giorno, come mi racconta Giancarlo Cavinato, un Assessore rivolgendosi ad un ragazzo nigeriano ha detto sprezzante: . Di tutta risposta il ragazzo ha fatto notare come, invece, il futuro per lui sia proprio la stessa classe politica.