14 strofe belle dal concerto dei Fine Before You Came (con bonus track)

1. Lista

Fai una lista delle cose che non vuoi.

Prima premessa: onore e lode al Covo e a No Glucose, che venerdì 26 gennaio organizzano una succosa preview dell’Inverno Fest, presenti i BRUUNO e capobanda i Fine Before You Came.
L’Inverno Fest vera e propria, che si preannuncia imperdibile, arriverà il 16 e 17 febbraio sempre al Covo (qui la pagina Facebook dell’evento), e vedrà sul palco Idles, Bee Bee Sea, DOTS e Lourdes Rebels (la prima serata) e KVB, HIS ELECTRO BLUE VOICE, Rijgs e Alberto Almas (la seconda).

2. Una provocazione

Conosco a memoria i nei che hai sulla schiena
se li unisco vien fuori una freccia che indica me.

Seconda premessa: è difficile immaginare una recensione dei Fine Before You Came nel vuoto pneumatico. Se non li conoscete dovreste prima sentirli, se li conoscete sapete già di cosa sto parlando. Nel secondo caso, o vi piacciono molto o non vi interessano (poche vie di mezzo). Nel primo, il mio consiglio è cliccare sui titoli delle canzoni in quest’articolo (che seguono la setlist del loro concerto sold out al Covo) e ascoltarle durante la lettura dell’articolo, poi andarli a sentire il prima possibile.

3. Magone

Vorrei che il magone fosse un grande mago che ti strappi un sorriso
perché credimi, con quella faccia mi sembri un randagio.

Terza premessa: le recensioni emotive sono una cosa terribile, specie se uno non è bravissimo a farle. Forse sono surclassate in negativo solo dalle recensioni meteorologiche, quell’insieme di correlativi oggettivi legati alle stagioni che si usa solo quando davvero non si sa che dire su quello che si è ascoltato (non è un esempio astratto, personalmente ne ho scritta più di una da giovane, poi per fortuna sono invecchiato).

4. Come alberi

Ci siamo adoperati per conoscere ogni cosa ed essere ogni dove
accettare senza sforzi ogni nostro difetto
distruggere, costruire, sfidare la sorte
e sulla strada del ritorno provare a smarrirci […]
abbiamo studiato infiniti modi per addormentarci e svegliarci ancora accanto.

“Vabbè, ma il concerto?”, dice.
Il concerto. Il concerto è stato proprio come doveva essere.
“Cioè?”, dice.
Cioè.

5. Alcune certezze

Le tue doppie negazioni non affermano mai
la soluzione ai miei problemi sembra sempre la causa dei tuoi.

Il fatto è che non esiste un modo di parlare del concerto – di qualunque concerto – dei Fine Before You Came senza passare dall’emotività. Non solo per il genere in sé, un indie-emo debitore dagli esordi a Van Pelt e Slint ma che ha saputo evolversi per conto suo (specie dopo il passaggio all’italiano); non solo per i testi di Lietti, nel loro ambito musicale quelli più capaci, tra gli stilemi di genere (linguaggio ed immagini quotidiane, attenzione ai sentimenti, presammale), di flirtare con la poesia senza perdere nulla in spontaneità.

6. Sequel

Ancora una volta non sono per niente sicuro soprattutto di me
continuo a guardarmi alle spalle e a vedere gli sbagli che ripeterò e ripeterò […]
tu solo sai quanto poco valgo eppure mi tieni così.

È che un concerto dei FBYC è anche un’esperienza catartica, un rituale da non mancare almeno una volta all’anno: un’occasione per alzare il proprio braccio in aria e sfogarsi delle frustrazioni inevitabilmente accumulate fino a quel momento – perché così va il mondo, così va la vita, così siamo noi – mentre Lietti alza gli occhi spiritati al cielo e Marchini e Monaci gridano nel loro microfono e Rieder e Olivero pestano su batteria e basso e tutto l’insieme ti ricarica e ti fa pensare che domani sarà più facile, che lo affronterai meglio almeno per un po’.

7. Discutibile

Battiamo i lividi per mantenerli sempre viola
per ricordarci che san fare ancora male.

L’equilibrio tra minimalismo ed emotività, tra autoassoluzione e autoanalisi, tra rassegnazione individualista (escapista?) e un continuo rimboccarsi le maniche e farsi sotto working class (ma volevo scrivere: proletario) di cui sono capaci i FBYC ne fanno gli unici eredi credibili, negli anni duemila, di quello che per la new wave italiana erano i Diaframma: cioè il miglior gruppo misconosciuto e senza successo (al di fuori della propria nicchia) della musica italiana.

8. Come pecore

Potremmo trovarci di tanto in tanto a patire per ciò che ci si addice di più
scacciare le colpe con formule random
e come pecore contare i rimpianti
addormentarci un attimo prima che suoni la sveglia.

Quel rimboccarsi le maniche, evidente non solo dai testi delle canzoni, ma dall’attitudine assolutamente no-nonsense del gruppo milanese, compare del resto in ogni recensione di dischi e concerti del gruppo, spesso sussunto dalle parole umiltà o autenticità, e deriva tanto da un’attitudine personale quanto (credo) dalla fortuna di essersi ritrovati a muoversi in coordinate di fruizione (quelle dell’indie più che dell’emocore) spesso legate alla rincorsa un po’ effimera di un hype a cui i FBYC sono totalmente immuni, continuando ormai da una decina di anni a fare il loro, disco dopo disco e tour dopo tour.

9. Distanze

Questa cosa qui o la buttiamo via
o la teniamo rotta.

Che sia in parte una questione di genere musicale è evidente anche ascoltando il gruppo spalla, i BRUUNO da Bassano del Grappa, la cui formazione sembra debitrice all’hardcore punk e a esperienze come quella del Teatro degli Orrori – poi io che sono un vecchio più che il math-rock (il basso a cinque corde, quanto tempo che non ne vedevo uno dal vivo) o il noise ci ho sentito il crossover (!) che pensavo fosse definitivamente morto negli anni Novanta.

10. Ultimo giorno

Abbiamo piedi pesanti
che ci trattengono a terra
è cosa normale qui nessuno vola.

Comunque, il punto è che nonostante non sia il tipo di musica che preferisco l’unica cosa che si può dire è che i BRUUNO hanno spaccato, con un live aggressivo e compatto il cui corrispettivo in ambito indie (o ITPOP, vogliamo dire ITPOP?) non esiste – giacché anzi uno dei più evidenti difetti del genere è la difficoltà di molti artisti a tenere il palco in maniera quantomeno decente. I BRUUNO invece travolgono tutto, impacchettano, ringraziano e lasciano spazio “ai capi”.

11. Nonsenso comune

Abbiamo preso una decisione
non possiamo andare avanti
non tirarci indietro
per cui staremo qui
dentro ciò che è stato deciso.

E quando i capi arrivano, il pubblico si anima come percorso da una scossa elettrica a base di malessere – eccola di nuovo, la recensione emotiva: ma è davvero difficile riconoscere il lavoro del gruppo a livello musicale senza minimizzare. Si potrebbe dire che sono piuttosto precisi, si può aggiungere che gli arrangiamenti (poche sovraincisioni no giochi di prestigio) facilitano una resa efficace live, che si possono apprezzare le variazioni ritmiche che ne fanno una delle realtà meno scontate anche nell’emocore italiano (genere di cui comunque, sia chiaro, non so praticamente niente).

12. Buio

Pensi a me
e allora pensami che sto bene
col mio nuovo sorriso perpetuo
col mio andamento vacanziero
col mio corpo steso al buio
qua intorno non c’è che buio.

Ma a un certo punto si dovrebbe per forza parlare di quanto sono coinvolgenti – ed ecco, il cerchio si chiuderebbe di nuovo. Però il punto è quello, no? Non è andare a sentire un concerto suonato e cantato in maniera impeccabile, ma andare a farsi contagiare delle emozioni, andare presi a male ad ascoltare musica presa a male per farsi prendere meglio – è qui la catarsi, è qui l’effetto taumaturgico dei live della banda.

13. Sasso

Imparare a lasciarsi galleggiare
con un sasso sulla pancia e un pensiero bello in testa
dopo tutto, quando fuori non piove, non è affatto male.

Così scorre la scaletta che va dall’esordio in italiano (con Sfortuna, era il 2009) all’ultimo Il numero sette (2017), attraversando quattro lavori e mezzo di poche tracce (mai più di sette) con la capacità di mantenere sempre intatta la coerenza espressiva e contenutistica. Per inciso, tutti i dischi del gruppo sono disponibili, completi di (bellissimi) artwork, sul loro bandcamp in modalità name your price, partendo da zero.

14. Trabocchetti

Adesso che cambiare tutto è come prendere a schiaffi uno scoglio
le mani tumefatte ed una rinnovata coscienza
ci disegniamo male per non tradire l’intento
di una caricatura che faccia ridere noi soltanto.

E veniamo a dove ho barato: la setlist era di quattordici canzoni. Aggiungo quindi una delle canzoni escluse dalla scaletta per cui periodicamente rendo grazie ai Fine Before You Came di esserci ogni volta che sento il bisogno di ascoltarli e dal vivo almeno una volta l’anno.

15. (bonus): Vixi

Ho tirato pugni da ogni parte solo per uscire da un sacchetto di carta […]
ho chiamato i miei insuccessi sfortuna
maledetta sfortuna.

Giorgio Busi Rizzi

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