364 giorni fa, la redazione del Bottonomics si era impegnata in uno dei più classici esercizi di fine anno, ossia la stesura di una lista di desideri (in questo caso “economici”) che ci sarebbe piaciuto vedere esauditi nel corso del 2017. Tra commercio internazionale, regimi fiscali e nuove tecnologie avevamo toccato molti temi: ora vediamo quanto di ciò che è stato desiderato si è poi avverato.
(Spoiler: probabilmente siamo stati dei bambini cattivi quest’anno)
Il nuovo accordo con i paesi Africa, Caraibi, Pacifico
Il 2017 doveva segnare l’inizio delle manovre per il rinnovo della Convenzione di Cotonou, che regola i rapporti tra Unione Europea a Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico. Così è stato, anche se i primi risultati sono arrivati solo alla fine dell’anno. Vi sono stati molti incontri a livello di società civile per cercare di fissare alcune priorità e introdurle in agenda durante le consultazioni pubbliche. A livello istituzionale, le grandi tematiche sono state discusse nel 5° Summit AU – EU in Novembre, ma soprattutto bisogna registrare la raccomandazione scritta dalla Commissione al Consiglio per avere il mandato di negoziare, visto che le trattative per il rinnovo cominceranno non più tardi del 1 settembre 2018.
La proposta della Commissione è quella di avere tre accordi (“compact” in gergo), uno per regione, sottostanti all’impianto generale della nuova Convenzione, ciascuno con le proprie priorità. Tuttavia, dietro alcuni obiettivi condivisibili da tutti, come maggiore flessibilità della burocrazia, inclusione della società civile, maggiore coinvolgimento del settore privato, si può scorgere nei commenti degli addetti ai lavori una certa differenza di scopo. Da un lato i paesi, soprattutto quelli africani, hanno interesse a concordare investimenti volti a beneficiare l’intera catena di produzione in specifici settori, incrementando la diversificazione produttiva e favorendo quindi il commercio tra paesi ACP. A questo si aggiungono il desiderio di vedere semplificato il complicatissimo sistema di regimi commerciali in essere con l’Unione Europea e quello di investire di più sui giovani. Dal lato europeo, si ha la sensazione, anzi qualcosa di più di una sensazione, che l’accento verrà posto sulla gestione della migrazione e sicurezza. Il panorama politico europeo, spostato a destra, influenzerà parecchio le negoziazioni: la speranza è che non ci si limiti a trattare un opaco sistema di controllo delle frontiere degli Stati di transito in cambio di aiuti (il fallimento dell’approccio “aiuti in cambio di una migliore governance” dei primi anni 2000 dovrebbe insegnare qualcosa), ma che si abbia la lungimiranza di proporre soluzioni più sostenibili e vicine alla radice del problema.
Una tassa patrimoniale per ridurre le disuguaglianze
A dieci anni dallo scoppio della crisi, il mondo occidentale è definitivamente tornato a crescere a ritmo stabile: ma in realtà questa condizione non fa altro che confermare l’inadeguatezza del PIL come indice del benessere di una nazione.

Nel 2016 ci auguravamo l‘inserimento di una patrimoniale nel corso dell’anno con l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze tra le fasce della popolazione ad esempio tassando le persone più ricche o, in alternativa, le eredità più elevate.
Su questo purtroppo non è stata fatto mossa alcuna nel nostro paese: i poveri assoluti rappresentano il 7,9% della popolazione e il trend dei working poors (ovvero coloro che pur lavorando non riescono a far fronte ai propri bisogni elementari) è in preoccupante crescita. Però abbiamo tolto l’IMU sulle prime case di proprietà per tutti e abolito l’articolo 18 che bloccava il mercato del lavoro, ganzo!
La situazione negli altri stati non va molto meglio, anzi: basti pensare che la nuova riforma fiscale di Trump, celebrata da Salvini e da tutta la destra italiana, altro non è che una flat tax (ovvero tutti pagano la stessa aliquota) con qualche ulteriore incentivo per ricchi e imprese con alto profitto.
Ovviamente la patrimoniale non è fine a se stessa ma servirebbe a finanziare altre misure volte a ridurre le disuguaglianze: a questo punto speriamo, per il 2018, che questi fondi vengano trovati velocemente in maniere alternative.
Una politica audace di sostegno al reddito
Avevamo chiesto una politica di sostegno al reddito che fosse finanziata audacemente con una patrimoniale o con il recupero del sommerso, invece ci hanno dato il REI, finanziato dalla riorganizzazione di SIA (Sostegno Inclusione Attiva) e ASDI (Assegno di Disoccupazione), più pochi spicci. Servivano tra i sette e gli otto miliardi di euro per un reddito minimo (non un reddito di base!) che tirasse fuori dalla povertà assoluta gli oltre quattro milioni e mezzo di individui attualmente al di sotto della soglia, invece hanno stanziato meno di due miliardi, nemmeno un quarto del fabbisogno. Che è un po’ come chiedere il biglietto della finale di Champions e ritrovarsi con un Chievo – Bologna a giochi fatti. La teoria dei piccoli passi dice che bisogna accontentarsi di ogni miglioramento, che quanto è stato fatto è meglio del niente che c’era prima. Abbiamo dei dubbi e il timore è che questo strumento dal nome altisonante serva solo ad aumentare l’esclusione sociale e a ritardare un intervento più efficace.
Delusi, ma non rassegnati, raddoppiamo le pretese per il prossimo anno: nel 2018 che vorrei, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e reddito di base al posto del Rei. Con la metrica ci sta poco ma se pronunciata veloce fa rima. Quindi vale.
L’industria 3.84
L’industria Italiana ha conosciuto, almeno per sentito dire, una fase di trasformazione in quest’ultimo anno. Il Ministro Calenda ha smosso le acque con il Piano Nazionale Industria 4.0, ma ancora molta strada c’è da fare.
Sebbene questo sia un cosiddetto “hot topic” a livello mondiale, le azienda italiane fanno un po’ fatica ad adeguarsi al mondo che cambia, soprattutto per paura degli investimenti da fare. Chi come me bazzica questo mondo sa bene che numerose realtà, anche importanti, hanno compreso solo in parte il vero potenziale di questa nuova rivoluzione industriale che, però, è inevitabile. Ad ogni modo, molte sono le realtà che stanno iniziando a dirigere, grazie agli incentivi, i propri sforzi economici in questa direzione, nonostante il mare magnum che il mondo high-tech ha generato intorno a loro (da un lato, incoraggiandoli a non essere gli ultimi ad investire, dall’altro a perdere l’orientamento su cosa fare e perché).
Ad ogni modo, gli sforzi del mondo politico stanno andando nella direzione giusta (e qualcuno potrebbe anche inserirci delle critiche), ma ancora non siamo in grado di capire come i marinai dell’industria italiana arriveranno a destinazione. Finora abbiamo solo visto un gran rumore al porto, gente che saluta e qualche nave che salpa.
Chiarezza sulle politiche bancarie
L’ultimo desiderio era relativo al caso banche. Chiedevamo chiarezza sulle politiche da intraprendere e responsabilità da verificare. Abbiamo ottenuto istituti acquistati a 1€ e una fantastica commissione banche. Niente discussione su responsabilità vere o presunte, solo la prospettiva di una bella campagna elettorale incentrata su Maria Elena Boschi, la quale sprizza conflitto di interessi da ogni poro, ma di sicuro non incarna il problema banche tout court. Lungi da noi difendere le ambiguità della ministra, ma abbiamo l’impressione che trovare un capro espiatorio non farà che distrarre dall’individuazione dei colpevoli e dalla discussione del risanamento del credito italiano: le banche non stanno collassando perché la Boschi è figlia di suo padre ma perché hanno montagne di crediti deteriorati e costantemente valutati come in ottimo stato.
Delusi e questa volta rassegnati, con queste premesse, nel 2018 ci toccherà stare alla larga da qualunque confronto elettorale. A meno che qualcuno non deciderà di proporre numeri certi e discutere qualche soluzione a livello europeo. “Sogna ragazzo, sogna”, cantava Vecchioni.
Si dice che senza aspettative non ci siano delusioni. Probabilmente è vero, ma guardare in avanti, capire, analizzare è ciò che muove la nostra civiltà, e uno dei nostri intenti di sempre. Non smetteremo.
Buon 2018!
La redazione del Bottonomics