Depatologizzazione trans, un processo ancora in corso

Il 1 novembre si è concluso un mese importante per quanto riguarda i temi della Di particolare importanza è stato commemorare le due date durante il 2017, anno nel quale è in corso la (il manuale di classificazione delle malattie secondo l’OMS) la cui undicesima versione è prevista per giugno 2018. É dunque in quest’occasione che desideriamo dedicare uno spazio di discussione alla salute mentale e fisica delle persone trans. con specifici obiettivi tra i quali la rimozione dei processi di transizione di genere dalla categoria di nei manuali diagnostici ICD e DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). A questo si aggiungono altri obiettivi non meno rilevanti, come l’accesso ad un per le persone trans, il superamento dell’idea che la diversità di genere sia una Per capire quale sia attualmente lo stato delle cose relativamente al primo obiettivo, è opportuno fare un rapido All’interno del primo DSM-I (1952), e dei primi due ICD-6 e ICD-7 (1948; 1965) non vi era accenno al transessualismo o al travestitismo, che appariranno invece nel successivo DSM-II (1968), inseriti nella categoria delle insieme con l’omosessualità e alcune parafilie (come pedofilia, necrofilia, voyerismo e feticismo), mostrando una concezione ancora patologizzante e confusa del fenomeno. Convenzionalmente si attribuisce al DSM-III (1980) l’ingresso della questione transessuale, grazie al crescente numero di studi condotti in quegli anni, insieme con l’eliminazione dell’omosessualità dalla categoria delle deviazioni sessuali. Si parla a questo punto di ). Se nel successivo DSM-IV (1994) ci si riferisce ancora al Disturbo dell’Identità di Genere, è nell’ultima edizione del , il DSM-5, che si assiste ad un cambiamento nella denominazione: si inizia infatti a parlare di . Viene abbandonata la dicitura ‘disturbo’ ed introdotto il termine ‘disforia’, la cui etimologia risale al greco ‘angoscia’, ‘pena’, con cui si fa riferimento al sentimento di stress o disagio che alcune persone possono sperimentare in presenza di incongruenza tra il genere di cui si fa esperienze e i caratteri sessuali primari e secondari. Questo termine apparve più appropriato poiché rappresenta uno stato emotivo negativo nei confronti del proprio genere. Ciò implica fondamentalmente due conseguenze: la prima è che non ci si riferisce più a un disturbo dell’identità, cioè non si sostiene più che tutte le persone (quelle che non si collocano all’interno degli stereotipi del binarismo di genere) abbiano un disturbo mentale, ma si considera la sofferenza che potrebbe essere arrecata da questa condizione. La seconda conseguenza, direttamente collegata alla prima, è una minor patologizzazione, proprio perché soltanto alcune persone di genere non-conforme presentano disforia di genere nella loro vita e solo coloro che ne traggono disagio riceveranno una diagnosi. Questo cambiamento è positivo, ma resta un limite: non si riconosce l’origine di tale malessere che spesso non sarebbe dovuto a un conflitto sulla propria identità, quanto più all’ostracismo sociale non siano stressati o depressi per la loro condizione, ma lo diventano nel momento in cui i genitori, i pari o la società iniziano a stigmatizzarli. Nel ICD-10 (1992) compare il Disturbo dell’identità sessuale dell’infanzia, inserito all’interno dei . Il dibattito è aperto. La Corte Europea per i diritti dell’uomo ha preso una forte posizione affinché il non venga più considerato una malattia mentale e quindi non venga inserito nel futuro ICD-11. Tuttavia, una corrente di pensiero ritiene che l’esistenza di una diagnosi sia importante: grazie a questa, infatti, è possibile mantenere vivo il filone di sui trattamenti, al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti, nonché garantire agli utenti legittimati a ricevere le Un altro filone di pensiero, invece, preferirebbe l’eliminazione della diagnosi da entrambi i manuali, ICD e DSM, per differenti ragioni, tra le quali l’esistenza di una relazione tra la . Un esempio di tale correlazione sarebbe ampiamente dimostrata dalla rimozione dell’omosessualità dal DSM alla quale sarebbe seguito un vastissimo aumento del grado di accettazione degli omosessuali nella società. Infatti, spesso le malattie psichiatriche rendono oggetto di stigma sociale chi ne è portatore, e si può immaginare come nei casi in cui una persona presenti la combinazione di transgenderismo e di disturbo mentale si possa creare una situazione discriminante in grado anche di gravare sulle condizioni di salute della persona. eliminazione della diagnosi dalla sezione delle Patologie mentali e del Comportamento dell’ICD , per inserirla nelle categorie delle malattie rare, genitourinarie o endocrinologiche. In questo modo la disforia di genere verrebbe individuata come una condizione puramente medica, diminuendo lo stigma e allo stesso tempo garantendo l’accesso alle cure. D’altra parte, non tutta la popolazione che ha questa diagnosi desidera effettuare un percorso ormonale o un’operazione chirurgica di riassegnazione sessuale, non necessitando così né di una diagnosi né di un trattamento. Alla luce delle critiche e delle proposte esposte sopra, il DSM-5 e l’ICD-11 sarebbero un tentativo di trovare un compromesso tra le parti, tra coloro che vorrebbero l’eliminazione della diagnosi e coloro che ne sottolineano l’aspetto positivo della fruibilità delle cure. Al dibattito sulla diagnosi in campo medico e psicologico si aggiunge la questione dell’accesso diretto ai trattamenti specifici che risulta ancora patologizzante in grande parte dei sistemi sanitari, al punto che molte persone trans non si recano dal medico per paura di essere discriminate o per mancanza di un’assicurazione sanitaria. Si presentano nel mondo dinamiche di esclusione delle persone trans, aggravate dalle violazioni dei diritti umani, tra cui il rilancio delle cosiddette contro i cittadini LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) in diversi paesi e la costante realtà di Al di là delle diverse critiche e delle diverse proposte sulla diagnosi in campo medico e psicologico, si deve infatti sempre ricordare che e che, in secondo luogo, il diritto all’attenzione sanitaria è pari a quello di qualsiasi altra persona. Ci si aggrega pertanto all’appello di In questo mondo, la depatologizzazione trans non riguarda solo la classificazione psicologica e medica ma il modo di vivere. Being transsexual, transgender, or gender nonconforming is a matter of diversity, not pathology. – Essere transessuali, transgender o di genere non conforme è una questione di diversità, non una patologia.