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Anche quest’anno, dal 24 al 29 ottobre, Berlino è diventata centro gravitazionale del proibito e del perverso, accogliendo con orgoglio ed entusiasmo la dodicesima edizione del Porn Film Festival. Allestito in uno dei cinema più antichi della città, il Moviemento, nell’iconico quartiere di Kreuzberg, il festival propone una vasta selezione di cinema alternativo e indipendente incentrato su produzioni femministe e queer[1], sfidando e a volte completamente abbandonando, quelle che convenzionalmente sono le norme e i sistemi morali socialmente imposti riguardo al genere, la sessualità e il pudore. Sei giorni, più di 150 film (tra cortometraggi, lungometraggi e documentari), ma anche discussioni, workshop, performance, esposizioni, e naturalmente feste e serate a tema. Ma quello di Berlino non è l’unico festival che porta in scena il porno: il NYC Queer Porn Film Festival e Bike Smut negli Stati Uniti, il Feminist Porn Award in Canada, il Porn Film Fest a Londra e l’Hacker Porn Film Festival a Roma. Tuttavia, visto l’incredibile successo di pubblico a quasi tutte le proiezioni, quello di Berlino riesce certamente a distinguersi dagli altri.
Il festival
I film vengono suddivisi tra dieci categorie, i cui confini spesso si intersecano e si sovrappongono: etero, gay, lesbica, transgender, film realizzati da donne, fetish, film con o senza scene esplicite di sesso, documentari e lavoro sessuale. In aggiunta, i cortometraggi sono organizzati in 15 rassegne tematiche, tra le quali risaltano quella dei corti divertenti, quella dei corti di riscoperta del corpo e quella dei corti che rappresentano la sessualità di persone con diverse forme di disabilità. Alla fine di ogni proiezione vengono invitati sul palco coloro che hanno reso possibile la realizzazione del film (produttrici/ori, registe/i, attrici/ori), dando così al pubblico la possibilità di esplorare più a fondo i retroscena della produzione di un porno alternativo, dall’ambito creativo (spesso ispirato a esperienze personali) a quello più pratico e materiale (inclusi la scelta del set, gli imprevisti durante le riprese e la difficoltà a ottenere finanziamenti). Qualche regista, per esempio, parla della difficoltà di produrre materiale pornografico indipendente, queer e/o femminista in contesti geopolitici che possono essere più ostili di altri (come in Cina e in Australia dove è sostanzialmente illegale). Altri condividono le circostanze che hanno ispirato la trama del film. Così facendo, il festival mette a confronto artiste e artisti con risorse ed esperienze diverse nell’ambito della pornografia, evidenziando come queste, che tipicamente costituirebbero una scala gerarchica d’autorevolezza, acquistino invece ben poca importanza di fronte alla qualità concettuale, estetica e politica del contenuto.

Porno queer e femminista
Forse trovarsi nella saletta stipata di un cinema a guardare film porno con una trentina di persone sconosciute non è di per se un’esperienza che rientra nella quotidianità di molta gente, ma la particolarità del contesto la rende ancora più straordinaria. Per cogliere a pieno l’atmosfera del festival però, bisogna prima capire che tipo di film rientrano nell’ambito della sua selezione, e in particolare il porno queer e femminista. Come in molte altre forme di produzione artistica e cinematografica infatti, anche all’interno del porno esistono espressioni più convenzionali (come quelle presenti su Youporn e Pornhub), che nutrono la richiesta del mercato influenzandola allo stesso tempo. Nonostante al suo interno esistano numerosi sottogeneri e classificazioni, la maggior parte dei porno tradizionali riproducono e rafforzano le norme sociali, piuttosto che sovvertirle. Il porno queer e femminista emerge da una ribellione a questo processo e si oppone attivamente alla standardizzazione dell’erotismo, dei ruoli e degli scenari che caratterizzano la pornografia di largo consumo. Mettendo in scena corpi, identità e pratiche tradizionalmente considerati “devianti” e scegliendoli non solo come soggetti protagonisti, ma anche come pubblico di destinazione, il porno queer e femminista rivendica il proibito e il perverso sia come oggetti di consumo che come consumatori stessi. Quindi, non più film che soddisfano l’immaginario ed il desiderio di un’audience (principalmente) bianca, cisgenere[2], maschile ed eteronormativa[3], ma che ribaltano queste dinamiche di potere e che propongono un erotismo diverso, pungente e nuovo per il grande schermo.
Anche se molte di queste produzioni potrebbero essere certamente classificate come opere d’arte (indipendentemente dalla natura esplicita o meno del film), il loro significato non si esaurisce nella sola sfera artistica, ma sono a tutti gli effetti atti di pratica politica. Quello queer e femminista è un porno che si pone in contrapposizione alle grandi case di produzione che contribuiscono al rafforzamento di un desiderio normativo. È un porno che si posiziona attivamente contro quelle oppressioni strutturali (quali l’eteropatriarcato, i binarismi di genere, l’egemonia della razza bianca, l’abilismo[4]) su cui il mercato pornografico mainstream capitalizza avidamente.

I film
Nell’ampissima selezione del festival spiccano in particolare tre film che sono stati in grado di incorporare queste tematiche con un’autenticità e un’energia disarmanti.
Il primo è senza dubbio Devourable (Australia, 2017) di Ms Naughty, un docu-porno sulla vita reale di JanEva and Calliope, amanti poliamorose[5], queer e kinky[6]. Senza sceneggiatura né intrusioni da parte della troupe, il film invita l’audience con estrema umiltà e dolcezza all’interno della sfera intima e domestica di questa coppia. Le protagoniste, in modo autentico e genuino, condividono con un pubblico estraneo la passionalità del proprio amore, da una racconto del tutto onesto delle difficoltà e i trionfi che una relazione aperta comporta agli scenari BDSM (bondage e disciplina, dominazione e sottomissione, sadismo e masochismo), dal fisting alle coccole. Un elogio all’amore, all’erotismo e alla sessualità che non fa mancare anche preziosi momenti di auto-ironia.
Un’altra menzione la merita sicuramente The 36-Year-Old Virgin (Germania, 2017) di Skyler Braeden Fox, un docu-porno che mette in discussione il concetto dominante di “verginità” attraverso l’esperienza del regista stesso, Skyler, un ragazzo trans che decide di documentare l’esplorazione di una sua fantasia. Portando in evidenza la vulnerabilità e il fermento che spesso caratterizzano la scoperta di nuove pratiche nonché la perdita di verginità mentali, fisiche ed emotive, il film accompagna il pubblico in questo delicato percorso proprio come la doula del sesso che accompagna Skyler durante il film, osservando il suo incontro con Bishop, restando presente per tutta la durata del loro rapporto sessuale e tenendogli nei momenti di fragilità o quando esprime un bisogno di supporto. Un racconto autentico, emozionante e commuovente che smonta ogni preconcetto sulla sessualità, il genere e il desiderio.
Non si può infine tralasciare La Muñeca Fea (Messico/Stati Uniti, 2017), di Claudia López e George Reyes, un film non-esplicito che documenta la nascita, la crescita, e la quasi-dissoluzione di un’iniziativa unica a Città del Messico: un progetto di coabitazione per le lavoratrici del sesso anziane. Uno sguardo dentro a una realtà spesso rimossa, ma di un’urgenza impellente. In un contesto socio-culturale in cui molte delle residenti hanno già subito multiple forme di marginalizzazione, discriminazione e violenza nel corso della vita, queste donne si ritrovano nella terza età senza rifugio, sostegno economico o senso di appartenenza a una famiglia biologica o di scelta. Casa Xochiquetzal offre loro proprio questo, nel suo piccolo e con i suoi limiti, ma ottenendo inizialmente grandi risultati prima di essere fagocitata da un sistema istituzionale che ne annienta l’anima e l’esistenza, forzando alcune residenti ad andarsene e a riprendere il lavoro sessuale per necessità. Un documentario crudo e toccante allo stesso tempo, che non si schiera contro il lavoro sessuale ma ne mette semplicemente in evidenzia una vulnerabilità in un contesto specifico. Infine La Muñeca Fra denuncia come troppo spesso le istituzioni che detengono il potere facciano il proprio interesse a scapito del benessere delle stesse popolazioni che dicono di servire.

Verso una nuova idea di porno
Il Porn Film Festival di Berlino propone quindi una nuova idea di porno, oltre ciò che viene solitamente associato a questa categorizzazione, che sorpassa il genere, il corpo e a volte anche il sesso stesso. È un porno più autentico e onesto, che valorizza il lavoro delle sue attrici e dei suoi attori compensandoli economicamente, che non taglia fuori la negoziazione del consenso, il sesso sicuro, le smagliature o le cicatrici come elementi anafrodisiaci o poco eccitanti. Dalle rappresentazioni più astratte a quelle più esplicite, dai documentari politici al porno fantascientifico, la creatività espressa dai film selezionati è certamente fiorente e non può che continuare a valicare con successo i dogmi e le norme imposte dai sistemi sociali rafforzati invece dal porno mainstream.
Ciò chiaramente non vuol dire che il porno distribuito da Youporn e Pornhub sia da eliminare, stigmatizzare o demonizzare, anzi. È del tutto legittimo consumarlo, apprezzarlo e trovarlo eccitante, dopotutto quello è il suo scopo principale. Tuttavia sarebbe opportuno soffermarsi a riflettere fino a che punto gli immaginari riprodotti dal porno tradizionale rispondono alle nostre fantasie, e quanto invece il nostro desiderio sia stato modellato attorno agli ideali di erotismo e sensualità che ci sono stati proposti in base alla nostra identità di genere, al colore della nostra pelle, alla nostra sessualità o alla nostra (dis)abilità fisica. Il porno femminista apre nuove frontiere non solo per il mercato pornografico ma anche per la mente, offrendoci scenari alternativi e invitandoci a fare un’azione di queering sul nostro desiderio, il quale non è innato o immune dalle strutture sociali all’interno delle quali operiamo, ma anzi ne è probabilmente fortemente influenzato. E se poi la nostra libido ci spinge a fantasticare lo stesso su forme di erotismo normativo, ben sia! Ma che almeno sia una scelta consapevole, piuttosto che passivamente indotta da un mercato del consumo.
Sofia Guerrieri
[1] Queer non solo inteso come orientamento sessuale (LGBT-Q), ma anche e soprattutto come identità politica che rappresenta un impegno costante e consapevole nel mettere in discussione il modo in cui le espressioni di genere, orientamenti sessuali, e/o tipi di relazioni vengono etichettati come normativi o devianti.
[2] Con il termine cisgenere si intendono le persone non-trans, ovvero coloro la cui identità di genere corrisponde al sesso assegnato loro alla nascita.
[3] Il termine eteronormativo fa riferimento alla dimensione normative del modello eterosessuale che è centrato sul binarismo di genere (cioè la convinzione che esistono solo due generi opposti e mutualmente escludenti, il maschile e il femminile) e sull’idea di eterosessualità come orientamento di norma.
[4] L’abilismo è la discriminazione nei confronti delle persone disabili.
[5] Il poliamore è una forma di relazione non-monogama che prevede la possibilità di negoziare più relazioni sentimentali allo stesso tempo nella piena trasparenza e nel rispetto del consenso di tutte le persone coinvolte.
[6] Kinky si riferisce a tutte quelle pratiche non-convenzionali che escono dagli schemi dell’intimità eteronormativa, come per esempio il BDSM.
Fonte immagine di copertina: Pornfilmfestiva Berlin
Un pensiero su “Non solo porno: queer e femminismo trasformano il desiderio in arte”