Sabato scorso, qui su The Bottom Up, è uscito un interessante articolo del nostro Filippo Batisti a proposito delle dimissioni di Sean Spicer da portavoce della Casa Bianca – leggetelo, ché il concetto di post-verità nella comunicazione dell’Amministrazione Trump è qualcosa che un domani riempirà sicuramente i manuali di comunicazione politica.
In questo articolo del Guardian trovate il riassunto dei sei mesi trascorsi da Spicer come White House press secretary, fra gaffe, parodie e riorganizzazione dello staff comunicazione della Casa Bianca, guidato per non più di una decina di giorni da Anthony Scaramucci – fedelissimo di The Donald, ma da oggi disoccupato – e dalla nuova portavoce Sara Huckabee Sanders.
L’argomento è uno di quelli dai mille spunti d’analisi, vista la tendenza di Trump a twittare ed esprimere pensieri in maniera esuberante e senza troppi giri di parole. Un modus comunicandi che si ripercuote inevitabilmente sui collaboratori del Presidente USA e in generale sull’universo Trump, la cui Amministrazione incarna uno stile nettamente opposto a quello del suo predecessore Barack Obama. Ed è proprio su questo che vorrei concentrarmi, ossia su due universi valoriali opposti che hanno come conseguenza due racconti del Presidente su direzioni tutt’altro che compatibili fra di loro.
With all of its phony unnamed sources & highly slanted & even fraudulent reporting, #Fake News is DISTORTING DEMOCRACY in our country!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 16 luglio 2017
Jared Diamond, scienziato americano e premio Pulitzer nel 1997 con il saggio “Armi, acciaio e malattie”, nei mesi scorsi ha definito Trump un “pericolo per il mondo”. Aggiungendo: “È un leader che non riflette, che non ha cautela, che non ha equilibrio. È un concentrato di narcisismo”. Una considerazione del Presidente americano che sintetizza il giudizio complessivo dei media americani e internazionali, così come quelli delle rispettive opinioni pubbliche. Un sondaggio del mese scorso effettuato dalla CBS registrava un calo del tasso di approvazione degli americani al 36%, certamente causato da una discutibile trasparenza da parte di Trump per ciò che riguarda i rapporti con la Russia, il licenziamento del capo dell’FBI James Comey e la presunta influenza russa nella destabilizzazione dell’avversaria Hillary Clinton nel corso della campagna elettorale dello scorso anno.
Ricordando che i sondaggi sono sempre da prendere con le pinze (non perché non abbiano valore, ma perché sono anch’essi un’arte politica) non facciamo fatica a sostenere che quella della Russia sia la tematica chiave di questi primi mesi dell’Amministrazione Trump, con l’ombra dell’impeachment ad aleggiare sul futuro di The Donald. A inizio luglio il New York Times incalzava il figlio del Presidente, Donald Trump jr, circa un’incontro con Natalia Veselnitskaya, avvocata russa vicino al Cremlino che avrebbe promesso informazioni sensibili riguardanti Hillary Clinton (ancora non si sa bene in cambio di cosa). Una pressione mediatica che ha spinto Trump jr a pubblicare sul suo Twitter lo scambio di mail in cui si certificano contatti con la Russia, ammettendo così ciò che veniva negato e gettando così ancora più ombre su Donald Trump.
Here’s my statement and the full email chain pic.twitter.com/x050r5n5LQ
— Donald Trump Jr. (@DonaldJTrumpJr) 11 luglio 2017
Ombre che stanno diventando sempre più le linea che contornano il racconto del Donald Trump Presidente, uomo che già da “semplice” uomo d’affari non suscitava certo attrattiva. Su come sia riuscito a ricoprire il ruolo che oggi ricopre, beh, quello è un altro discorso, anche parecchio ampio e, per così dire, tutto da scoprire. Quello che possiamo dire è sottolineare come Trump rappresenti – e non poteva essere altrimenti – un modello diverso da Obama. E da questa differenza nasce uno storytelling a sua volta diverso e in forte contrasto.
Obama si può dire sia uscito dalla quotidianità delle politica americana e internazionale. O forse no. Se qualcuno di voi conosce Pete Souza, sa che era – in realtà lo è in qualche modo ancora oggi – il fotografo ufficiale di Obama: quello che ha raccontato il primo Presidente afroamericano della storia, quello che ha raccontato il Presidente americano insignito del Nobel per la Pace nel 2009, quello che ha raccontato il Presidente padre di famiglia che si occupa delle sue due figlie. Insomma, il fotografo che, tramite i suoi scatti, ha raccontato un Presidente modello con una First Lady modello. Facendo sognare un’America modello.

Tutto ciò che Donald Trump non sta riuscendo a fare, nonostante il suo Make America Great Again, ma soprattutto non può incarnare. Trump non vuole essere Obama: cerca di essere se stesso, ma, purtroppo per lui, ci riesce fin troppo bene. E allora ecco che in questa frattura, in questa debolezza del Presidente post-Obama, si inserisce Obama stesso. Non in prima persona, ma tramite chi lo ha conosciuto in ogni singolo aspetto, pubblico o privato che fosse: Pete Souza.
In questa intervista rilasciata a La Repubblica la scorsa settimana in occasione del festival “On the Move” a Cortona (Arezzo), Souza ha raccontato i suoi otto anni passati a seguire, in ogni dove, Barack Obama, soprattutto nei suoi aspetti più inediti e informali. Un racconto fotografico che si è sviluppato soprattutto attraverso Instagram: “Non ha cambiato il mio lavoro ma senza Instagram le mie foto non avrebbero avuto quel senso di inclusione dato dai social. Mi ha permesso di condividere la mia prospettiva privilegiata: mettendo il Presidente alla portata di tutti”.
Mettere il Presidente alla portata di tutti: la via che ha permesso di esprimere al massimo il racconto del Barack Obama uomo ancor prima che del Barack Obama istituzionale, potenziandone di conseguenza il ruolo politico. Alzi la mano chi, pensando al suo Presidente ideale, preferirebbe un uomo dall’immagine cupa e seria a un uomo che gioca con un bambino travestito da Spiderman fuori dallo Studio Ovale, o ritratto al lavoro in uno stile spontaneo, disinvolto e giovanile.

Ecco, questo stile cool è lo spettro che sta battendo Donald Trump. Non c’è azione politica o meno compiuta da The Donald che non abbia un alter ego in Obama: Ivana Trump non dà la mano al marito mentre scende la scaletta dell’aereo? Souza ha pronto uno scatto di Obama che tiene quella della moglie Michelle. Sul web circola uno scatto di Papa Francesco serio mentre stringe la mano a Trump? Souza ha pronto uno scatto dove Bergoglio e Obama se la ridono allegramente. Trump licenzia il capo dell’FBI James Comey? Souza pubblica su Instagram una foto di Obama che ci lavora a stretto contatto. Per il bene dell’America.
Non importa se Bergoglio fosse davvero entusiasta o meno di incontrare Trump, o se Comey avesse davvero stima di Obama e non dell’attuale Presidente. O ancora, se Ivana Trump non abbia dato la mano al marito perché arrabbiata con lui. Conta il racconto che si costruisce e, ancora di più, il messaggio che ne deriva: Barack is better than Donald.

Insomma, Obama è costantemente in prima linea nel ricordare all’opinione pubblica americana l’inadeguatezza del suo attuale Presidente. Una strategia politica sviluppata non tramite i canali ufficiali dell’ex Presidente, ma tramite il profilo Instagram del suo fotografo ufficiale. E se la dimensione visuale dell’immagine di un politico è ormai pratica assodata nella politica dell’era televisiva, mai la si era vista così ben sviluppata in quella 2.0, grazie a uno storytelling fotografico incentrato su contenuti attuali e originali. Dove le foto parlano più di molte parole.

Certo, la comunicazione di un politico non ne determina le reali doti umane e morali ma ne trasmette l’immagine. Ed è certamente inutile ribadire quanto quest’ultima sia presente all’interno di una cabina elettorale. Che poi, se Pete Souza è stato assoldato anche da Frank Underwood per la sua campagna elettorale, un motivo ci sarà.

Photo Credit immagine di apertura: Pete Souza – Profilo Instagram: @petesouza
Giuliano Martino