“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”
Articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana
Quanti di voi hanno sentito parlare di donazione del sangue? Sicuramente tutti quelli di voi che hanno letto il mio articolo di un anno fa (qui su TBU) o questo di Angela su Insalute.
Il tema viene trattato troppo spesso con toni alternativamente sensazionalisti, patetici o pressappochisti: è invece una realtà ampia, sfaccettata e complessa, ed è soprattutto un elemento fondamentale del nostro Servizio Sanitario Nazionale: quando si parla di disponibilità di sangue si parla di diritto alla salute. Senza il sangue, la cui raccolta in Italia per legge deve essere anonima, volontaria e non remunerata (dunque: se il vostro amico complottista vi dice che non dona il sangue perché “lo vendono”, spiegategli che non è vero), il SSN si bloccherebbe quasi del tutto. Sono pochissime le procedure mediche che non comportano alcun utilizzo di questo tessuto fondamentale, che siano globuli rossi concentrati trasfusi alla vittima di un incidente o a un trapiantato o farmaci emoderivati dal plasma.
La donazione di sangue, in Italia, come dicevo nell’articolo sopracitato, è regolata da varie leggi, tra cui la legge 21 ottobre 2005, n. 219, “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati”, così come l’attività delle Associazioni dei donatori, che, sempre per legge, hanno il compito di avvisare i donatori delle carenze. La disponibilità di sangue, infatti, è un diritto sancito dalla costituzione: rientra nel diritto alla salute enunciato nell’articolo 32, e il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale è stato una tappa importantissima nel percorso (comunque ancora lungo) di uguali diritti per tutti i cittadini anche da questo punto di vista.
Rispetto alla raccolta del sangue, i vari Servizi Sanitari Regionali sono leggermente – o molto – diversi tra di loro, sebbene le linee principali vengano tracciate dal Ministero della Salute: per esempio, in Friuli-Venezia Giulia la raccolta può essere effettuata solo dal Servizio Sanitario, mentre nelle altre regioni è possibile anche la raccolta associativa, che deve in ogni caso rispettare le stesse regole del SSR.
Inoltre, le diverse regioni hanno situazioni molto differenti per quanto riguarda la disponibilità di sacche e il numero di donatori. Quest’ultimo, per quanto abbia ovviamente delle caratteristiche simili in tutta Italia, varia per una ragione principale, che è determinata abbastanza casualmente (seguendo comunque passi simili) con il trascorrere del tempo, ed è la radicazione sul territorio delle Associazioni. La maggior parte dei donatori italiani, infatti, sono associati presso una delle quattro Associazioni principali, AVIS, FIDAS, Fratres e CRI, o presso un’Associazione minore.
L’Italia è un’eccellenza a livello mondiale per quanto riguarda la donazione di sangue, ed è autosufficiente dal 2000. Questo significa che, a livello nazionale, l’Italia, dal 2000, non ha più bisogno di importare dall’estero emazie concentrate (globuli rossi) o plasma: a livello regionale ci sono ancora delle carenze, ma sono più spesso dovute alle differenze a livello di Servizi Sanitari che alla mancanza vera e propria di donatori (ma su questo torniamo), e anche il caso particolare della Sardegna, dove la talassemia mediterranea, che è endemica, allo stesso tempo impedisce a moltissimi di donare e richiede che in moltissimi donino.
Come si spiega questa apparente incoerenza (autosufficienza nazionale ma non regionale)? Semplice: esiste una convenzione interregionale tale per cui le regioni che raccolgono sangue in eccedenza rispetto al proprio fabbisogno lo forniscono alle regioni a cui manca, con un meccanismo di compensazione che prevede che la regione ricevente copra i costi di produzione delle sacche. Questo, spesso, viene erroneamente dipinto come una “compravendita” del sangue: sbagliatissimo! I costi che devono essere compensati sono semplicemente quelli inevitabili di esami, materiale (le sacche, le etichette, le siringhe) e trasporto delle sacche.

Negli ultimi anni stiamo assistendo a due fenomeni principali: il calo del fabbisogno di emazie concentrate, significativo, costante nel tempo ma fisiologico, grazie al miglioramento delle tecniche mediche e chirurgiche che fanno sì che per operazioni che una volta richiedevano molto sangue ora ne sia necessario molto meno, e l’aumento del fabbisogno di plasma. Il plasma consente di ricavare, tramite la concentrazione di alcune sue proteine, diversi farmaci utilizzati nella cura di malattie gravi come quelle degenerative che si sviluppano soprattutto in età avanzata (ed è inevitabile il loro aumento finchè ci sarà un aumento dell’età media della popolazione) e le leucemie: alcune di queste proteine stanno venendo anche studiate per la loro applicazione nel trattamento dei sintomi di malattie ancora senza una cura.
Un terzo fenomeno, non legato direttamente a ragioni biologiche, è la difficoltà che le Associazioni di donatori incontrano nel reclutare nuovi volontari, donatori di sangue ma soprattutto di tempo. Infatti, sebbene, come evidenziato sopra, siano le associazioni a gestire la chiamata ai donatori, e dunque la scelta migliore sia associarsi, non è strettamente necessario farlo per donare – e in ogni caso associarsi non comporta obbligatoriamente un impegno all’interno dell’associazione: dunque la ricerca di nuovi donatori non è difficile di per sé, ma lo è se già si cominciano a cercare donatori informati e disposti a impegnarsi, come soci ma anche solo come donatori.
Per fare un esempio, alla fine del 2015 l’Italia ha (finalmente – dopo dieci anni) recepito la nuova normativa europea sui criteri per l’ammissione alla donazione, e molte persone che fino al 3 novembre potevano donare, dal 5 novembre non hanno più potuto, con loro disappunto ma soprattutto con un inevitabile calo delle donazioni (del quale ci si è affrettati un po’ troppo a dare la colpa alle associazioni). Bene, a questo punto, il donatore informato sa che quei criteri di ammissione alla donazione sono pensati per tutelare donatore e ricevente, mentre il donatore non informato, che a volte addirittura dona solo per farsi fare gli esami gratis (perché sono previsti – giustamente – una volta l’anno completi e tutte le altre volte che si dona parziali) o per avere la giornata libera pagata se è lavoratore dipendente, si arrabbia e se la prende, alternativamente, con l’Europa, con l’Associazione, con il medico, con chi gli capita di incontrare. Il compito delle associazioni è anche di spiegare a questo donatore queste ragioni, aumentando la coscienza collettiva sul tema, evitando di spaventarlo, ma con fermezza. E magari aiutarlo a trovare qualcuno che prenda il suo posto come donatore: anche se non tutti tutti possono donare, aumentare l’attuale percentuale nazionale di donatori – attorno al 4/5% – non è un compito impossibile.
Come si diceva prima, poi, c’è comunque in alcune zone una difficoltà a coinvolgere nuovi donatori dovuta non tanto al messaggio delle Associazioni che non passa, quanto al fatto che le carenze dei diversi SSR disincentivano chi ci prova, spesso involontariamente, maltrattando “genericamente” il donatore (o per via di strutture inadeguate), ma anche scartandolo più o meno arbitrariamente interpretando a modo loro i criteri (già peraltro sufficientemente rigidi).
Donare il sangue è semplice: la procedura dura meno di un’oretta, visita medica inclusa, per chi dona sangue intero, e poco più di un’oretta per chi dona il plasma, e da qualche tempo in moltissime regioni è possibile prenotare, telefonicamente o via internet, la donazione, per non doversi alzare alle 7 di mattina e fare la fila al centro di raccolta. Non è una cosa da prendere alla leggera, però: se non possiamo farlo vuol dire che sarebbe rischioso, e per quanto assurdo ci possa sembrare il criterio in base al quale siamo esclusi, dobbiamo ricordarci che l’unica ragione per cui viene applicato è la tutela del ricevente e nostra.
Donare il sangue è anche un compito fondamentale, un dovere civile che chiunque può dovrebbe svolgere in quanto cittadino italiano, come contributo concreto alla società e alla salute di tutti. E, se in questo periodo storico complesso, ci ricordassimo tutti il principio solidaristico alla base dell’atto della donazione di sangue (che arriva a uno sconosciuto, chiunque sia…) e degli Statuti delle Associazioni, forse potremmo essere un ottimo esempio per chi la solidarietà la guarda con disprezzo o con sospetto.
Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus
[fonte immagine di copertina: avis.it]